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La "Comedia delle ninfe fiorentine" di Boccaccio: analisi di un estratto

Il testo XVII della Comedia delle ninfe fiorentine, opera boccacciana che canta la bellezza delle nobili donne fiorentine e conosciuta anche col nome di Ninfale d’Ameto, descrive il momento in cui le ninfe, dietro esortazione di una tale Lia, si riuniscono per cantare i loro amori. Le giovani e bellissime donne scelgono di ritrovarsi a narrare le loro vicende amorose durante il momento più ardente e afoso della giornata, in cui ogni attività, tranne quella intellettuale, deve cessare:

 

Lia così cominciò con le donne: "Giovani, il sole tiene ancora il dì librato: per che la sua calda luce ne vieta di qui partirci; i pastori dormono, le cui sampogne poco avanti ne feciono festa, e ogni maniera di diletto infino alla bassa ora c'è tolto, fuori solamente quello che i nostri ragionamenti ne posson dare; i quali di niuna cosa conosco così convenevoli, considerata l'odierna solennità, come li nostri amori narrare”.

Colui che modera questo circolo e scandisce le narrazioni delle ninfe è Ameto, il pastore macedone innamorato della ninfa Lia:

 

avendo in mezzo messo Ameto, rimettono, ridendo, nello arbitrio di lui che egli comandi come gli pare qual sia la prima i suoi amori narrante; il quale, lieto di tanto oficio, tirandosi d'una parte, acciò che tutte le vegga, a quella che al suo destro lato sedea, bellissima e di rosato vestita, la prima narrazione impone sorridendo.

Questa esperienza, che si svolge nel giorno dei festeggiamenti dedicati alla dea dell’amore Venere, purifica il pastore, spiegando bene pure il carattere didattico dell’opera. Ameto infatti, dopo l’incontro con le ninfe che incarnano le virtù cui l’essere umano deve tendere, comprende le proprie mancanze morali. Il Ninfale d’Ameto, caratterizzato da un forte sapore moraleggiante e allegorico, introduce quella che sarà la struttura del Decameron, l’opera più celebre di Boccaccio: anche qui infatti i racconti delle ninfe sono inseriti in una cornice e tutto si apre con un proemio dell’autore stesso.