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La "Pentecoste" di Manzoni: analisi e commento
La Pentecoste è l’ultimo degli Inni Sacri che Manzoni compone e venne composto in forma definitiva nel ’22, dopo che lo aveva iniziato nel 1817, interrotto e poi ripreso nel 1819. La Pentecoste celebra l’avvenimento miracoloso della discesa dello Spirito Santo dopo i 50 giorni dalla resurrezione di Cristo, discesa appunto dello Spirito Santo sugli apostoli. Il miracolo agli occhi di Manzoni acquista un particolare significato, aldilà della centralità nella storia sacra, in quanto è un miracolo che ha a che fare con la comunicazione. In effetti il Manzoni nell’affrontare gli Inni Sacri in generale, ed in particolare, appunto, la Pentecoste, aveva come obiettivo quello di rinnovare le forme della lirica italiana. D’un colpo Manzoni quando si cimenta con gli Inni Sacri abbandona la tradizione petrarchistica, la tradizione di un linguaggio che facendo perno sull’io ricercava forme equilibrate, forme armoniche che risultavano anche forme di compiaciuta esibizione della propria individualità a vantaggio di un bisogno di comunicazione totale, universale, che lo porta a sostituire l’io come termine di riferimento, al noi. In effetti la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli istituisce la Chiesa, la ecclesia, cioè la comunità dei fedeli, che vengono messi in grado dallo Spirito Santo di comprendere la predicazione apostolica, questo infatti l’evento a cui rimanda l’episodio della Pentecoste, e vengono messi in grado appunto di comprendere il messaggio evangelico e di comunicare senza nessun problema fra di loro. Insomma la discesa dello Spirito Santo crea una comunità, quella comunità di cui Manzoni vuole far parte, quella comunità in cui vuole confondersi, perchè è solo nella collettività dei fedeli che ti puoi trovare una vera armonia, un vero significato, una piena realizzazione dell’individuo, che in questo modo è posto in condizioni di opporsi alla frammentazione che altrimenti la storia presenta. L’inizio dell’inno è abbastanza drammatico: ricorda la situazione della Chiesa che, impaurita dopo la morte di Cristo, sta nascosta, perchè non ha il coraggio di presentarsi agli altri. E’ chiusa, proprio lei che come dice il Manzoni era stata testimone della vita del maestro, era stata compagna della sofferenza del Salvatore, proprio lei era, come dice appunto il poeta, chiusa in un angolo, senza capacità e possibilità di comunicare. La prima parte dell’Inno infatti si concentra sulla situazione di sbandamento in cui si trova la Chiesa delle origini, ma ecco che nella dinamica all’interno dlel’inno, una similitudine introduce la seconda parte, dopo la rievocazione dell’evento sacro, una similitudine particolarmente significativa proprio sotto l’aspetto della nuova possibilità di comunicare che la discesa dello Spirito Santo consente agli apostoli e quindi alla Chiesa. Dice infatti il poeta: “Come luce rapida piove di cosa in cosa, e i color vari suscita dovunque si riposa; tal risonò moltiplice la voce dello spiro: L’Arabo, il Parto, il Siro In suo sermon l’udì.” La similitudine è realmente significativa perchè paragona la capacità degli apostoli di attuare una predicazione comprensibile a tutti, indipendentemente dall’idioma parlato, a un fenomeno per cui la luce piovendo dà colore alle cose. Ora sapete benissimo che il colore non tocca agli oggetti, ma appunto è un effetto ottico, quasi a dire che la possibilità di instaurare una comunicazione effettiva, profonda, delle supreme verità che essi comunicano appunto alla generalità delle persone è il frutto di un atto d’amore dello Spirito Santo, che si qualifica come una forza che elimina la separazione tra divino ed umano. Gli uomini sono messi in grado di comprendere il messaggio di Dio e quindi di comprendersi fra di loro, di ritrovarsi in un’autentica comunità proprio perchè un atto di amore di Dio fa si che si colmi quella separazione tra piano divino e piano umano che appunto, senza l’intervento dello Spirito Santo, non sarebbe possibile. La discesa dello Spirito Santo comporta allora un rinnovamento profondo della società, un rinnovamento profondo che si esprime innanzitutto in una dimensione di reale ed effettiva uguaglianza. Nella seconda parte dell’inno, infatti, a partire dal verso 5 il poeta si chiede: "Perché, baciando i pargoli, la schiava ancor sospira? E il sen che nutre i liberi Invidiando mira? Non sa che al regno i miseri seco il Signor solleva? Che a tutti i figli d’Eva nel suo dolor pensò?”. In realtà lo Spirito Santo inaugura una vera ed autentica dimensione democratica, perchè l’amore di Dio mette tutti gli uomini su un piano di vera ed autentica uguaglianza. Questo ha comportato un rinnovamento profondo della condizione dell’uomo. Dice infatti nella strofa successiva a quella che abbiamo letto ora, una specie di rincorrersi dell’aggettivo “nuovo”: “Nova franchigia annunziano I cieli, e genti nove; nove conquiste, e gloria vinta in più belle prove; nova, ai terrori immobile e alle lusinghe infide, pace, che il mondo irride, ma che rapir non può”. Lo Spirito comporta il rinnovamento totale della dimensione umana, un rinnovamento totale che promuove non solo uguaglianza ma anche una nuova libertà, “nova franchigia annunziano i cieli, e genti nove”. E non bisogna passare sotto silenzio l’espressione “e gloria Vinta in più belle prove”. In effetti l’inno della Pentecoste perchè sia compreso fino in fondo va confrontato con un altro testo che il Manzoni aveva composto nel 1821e cioè il Cinque maggio. Nel Cinque Maggio, come si vedrà più avanti, l’autore aveva tematizzato il massimo della grandezza umana ed il fallimento della grandezza umana colta nel suo massimo: Napoleone, un nome che aveva saputo unire appunto, come aveva detto Manzoni, “due secoli l’un contro l’altro armato”. Napoleone appunto aveva plasmato la storia con la sua grandezza, eppure aveva fallito. La grandezza umana da sola non basta, e la morte comporta il fallimento di ogni dimensione umana se questa dimensione umana non è rapportata alla dimensione dell’eterno. La Pentecoste quindi d’un balzo, in maniera definitiva, fa giustizia, rimuovendolo, della falsità dell’ideale aloico. La “gloria vinta in più belle prove” sono le vittorie che nascono dalla lotta per il trionfo del messaggio cristiano, dalla lotta che porta alle vittorie spirituali con cui si vince la struttura errata del mondo, con cui si vincono le frammentazioni della storia, con cui si vince quella perversione, che Manzoni aveva focalizzato in più di un’occasione fra il piano dell’essere ed il piano del dover essere. Questo comporta il dono di una pace, di una pace nuova, di una pace straordinaria appunto che il mondo irride, ma che non può rapire e che quindi si qualifica come una vittoria sul mondo. Ecco che allora un altro elemento che avvicina la Pentecoste al Cinque maggio è la questione del movimento. Tutta la Pentecoste è caratterizzata dalla presenza di un duplice movimento, verticale, che è il movimento che collega il piano divino al piano della storia e orizzontale, la Chiesa militante, che combatte, che soffre, che prega e che attraverso questa lotta riesce ad unificare e ad abbracciare in sè tutti gli uomini. E’ significativo invece che nel Cinque maggio il movimento sia solo orizzontale. Il correre dall’uno all’altro mare, un verso che torna identico nella Pentecoste e nel Cinque maggio. Infatti la Pentecoste presenta al verso 8 l’espressione “dall’uno all’altro mar”, anzi leggiamo insieme dei versi:"Tu che, da tanti secoli, Soffri, combatti e preghi, che le tue tende spieghi dall’uno all’altro mar” e non bisogna qui passare sotto silenzio il linguaggio militare, “Campo di quei che sperano; Chiesa del Dio vivente, dov’eri mai?”. E quel verso “dall’uno all’altro mar” torna identico nel Cinque maggio al verso 30, ma è ben diversa questa estensione della predicazione della Chiesa all’estensione dell’azione di Napoleone. L’azione di Napoleone finisce nel fallimento, Napoleone finisce a Sant’Elena, privo di qualsiasi significato umano legato alla sua antica dimensione eroica. La Pentecoste invece sancisce che il vero eroismo è l’eroismo quotidiano, è l’eroismo delle imprese della Chiesa, che è l’insieme delle persone. Ed ecco che allora la conclusione della Pentecoste vede una preghiera allo Spirito Santo, perchè possa dare finalmente l’esatta dimensione umana rivelata all’uomo stesso, una dimensione in cui viene abbandonato ogni conflitto di classe, una dimensione in cui ognuno ritrova l’autentico significato della sua vita, una dimensione in cui anche nell’atto della morte lo Spirito di Dio brilla e consente di mantenere viva la speranza, che è quella che arriverà appunto a Napoleone e che proprio nel momento del massimo fallimento segnerà invece la vera acquisizione della grandezza umana, il vero dies natalis che è il giorno della morte, la sua morte alla storia che falsifica e frammenta e la sua rinascita all’assoluto e a Dio che da senso.