2'

Pascoli, "La vertigine": testo e commento

La vertigine è un componimento risalente al 1909, che appare nella raccolta Nuovi Poemetti di Giovanni Pascoli. La lirica è caratterizzata anche in questo caso da strofe divise in terzine dantesche, e il poemetto è strutturato in due canti. Il tema principale si riconferma quello dell'angoscia esistenziale che scaturisce dal confronto dell'uomo con la natura, rappresentata in questo caso dall'universo cosmico e non dalla campagna. L'orizzonte quindi si amplia enormemente, e con esso cresce il sentimento di smarrimento e di paura di Pascoli. La Terra fluttua per lo spazio senza una direzione precisa, senza una guida da parte del Creatore che si ponga come elemento consolatorio nei confronti dell'uomo. La vertigine è quindi la sensazione che il poeta prova affacciandosi alla vita; non è un caso che Pascoli non riesca mai a vivere pienamente i suoi giorni, rinunciando all'amore, ma si limiti ad osservarli.


Segue il primo canto del poemetto:


Uomini, se in voi guardo, il mio spavento


cresce nel cuore. Io senza voce e moto


voi vedo immersi nell'eterno vento;

 

voi vedo, fermi i brevi piedi al loto,


ai sassi, all'erbe dell'aerea terra,


abbandonarvi e pender giù nel vuoto.

 

Oh! voi non siete il bosco, che s'afferra


con le radici, e non si getta in aria


se d'altrettanto non va su, sotterra!


Oh! voi non siete il mare, cui contraria


regge una forza, un soffio che s'effonde,


laggiù, dal cielo, e che giammai non varia.


Eternamente il mar selvaggio l'onde


protende al cupo; e un alito incessante


piano al suo rauco rantolar risponde.


Ma voi... Chi ferma a voi quassù le piante?


Vero è che andate, gli occhi e il cuore stretti


a questa informe oscurità volante;

 

che fisso il mento a gli anelanti petti,


andate, ingombri dell'oblio che nega,


penduli, o voi che vi credete eretti!


Ma quando il capo e l'occhio vi si piega


giù per l'abisso in cui lontan lontano


in fondo in fondo è il luccichìo di Vega...?


Allora io, sempre, io l'una e l'altra mano


getto a una rupe, a un albero, a uno stelo,


a un filo d'erba, per l'orror del vano!


a un nulla, qui, per non cadere in cielo!