Il Manifesto del futurismo, pubblicato in francese su "Le Figaro" il 20 febbraio 1909 con il titolo Le Futurisme, era stato inviato in forma di volantino a vari intellettuali e scrittori italiani e già pubblicato il 5 febbraio sulla "Gazzetta dell'Emilia".
A motivo di questo primo manifesto e dei trenta redatti nell'arco dei successivi vent'anni (la gran parte compresi tra il 1909 e il 1917), emerge chiara l'intenzione di voler plasmare, distruggendola e rifondandola, una nuova concezione della vita e dell'arte. La Belle Époque, i cui limiti cronologici vanno dalla fine dell'Ottocento alla Prima Guerra Mondiale, vede un susseguirsi di scoperte scientifiche ed invenzioni tecniche che mutano radicalmente ed in modo assai veloce la concezione della vita nelle città: l'introduzione dell'automobile, dell'elettricità, della rete ferroviaria, assieme allo sviluppo dell'aviazione e all'espansione dell'industria, crea, secondo i futuristi, l'urgenza di rifondare alcuni modelli estetici sulle nuove percezioni e concezioni dell'esistenza e di ripensare a nuove modalità di linguaggio per le generazioni future, destinate a vivere in un'epoca caratterizzata da una profonda rottura con i valori del passato.
I primi futuristi, Paolo Buzzi, Aldo Palazzeschi, Enrico Cavacchioli, Corrado Govoni, Libero Altomare, Folgore, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini, Balilla Pratella, Antonio Sant'Elia, e naturalmente Filippo Tommaso Marinetti, l'ispiratore, fondatore e finanziatore di tutta l'impresa, propongono nuove concezioni alla base della pittura (Manifesto dei Pittori futuristi, 1910); della musica (Manifesto dei Musicisti futuristi, 1911); della drammaturgia (Manifesto dei drammaturghi futuristi, 1911); della scrittura (Manifesto tecnico della letteratura futurista, 1912 e Distruzione della sintassi. L'immaginazione senza fili e le Parole in libertà, 1913); dell'architettura (Manifesto dell'architettura futurista, 1914) e di tanti altri ambiti, a partire dalle posizioni generali già dichiarate nel manifesto fondativo del 1909. Mossi in primo luogo dal desiderio, condiviso da gran parte della loro generazione, che l'Italia sfrutti l'occasione storica di conquistarsi il ruolo di grande potenza, i futuristi propongono negli 11 punti del primo manifesto una rottura col passato dal carattere energico e aggressivo:
1. Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerarietà.
2. Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
Una nuova categoria estetica che sostituisca il languore “antiquario” dell'arte dei secoli precedenti:
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità [...]
L'eroismo bellico che porta alla rigenerazione sociale (la tragedia della Prima Guerra Mondiale deve ancora avvenire), e il disprezzo per il sentimentalismo romantico che lega l'immaginario collettivo ad abitudini e a valori obsoleti:
9. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il pattriottismo, il gesto distruttore dei libertari […] e il disprezzo della donna.
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie [...]
Ed infine, l'intenzione di “cantare” il presente e la nuova realtà nella quale l'uomo contemporaneo vive e si prodiga:
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne […]; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi […]; i piroscafi […]; le locomotive […]; e il volo scivolante degli aeroplani [...]