Introduzione
Se questo è un uomo descrive l’epopea vissuta da Levi, dalla deportazione in un campo di lavoro di Monowitz, un lager satellite di Auschwitz, alla successiva liberazione nel gennaio del 1945. Il libro, pensato come una testimonianza nei confronti dei “sommersi” (ovvero di chi non è sopravvissuto alle atroci condizioni di vita del campo), viene scritto di getto da Levi e, dopo essere stato rifiutato dall’editore Einaudi, viene pubblicato da De Silva nel 1947. Il successo arriverà nel 1958, quando Se questo è un uomo, con l’aggiunta di alcune pagine, verrà ripubblicato da Einaudi. Il testo è suddiviso in diciassette capitoli.
Riassunto per capitoli
Capitolo I, Il viaggio: Primo Levi si trova nel campo di transito di Fossoli, vicino Modena. Da qui i prigionieri vengono trasportati in treno in Polonia, attraversando prima il Brennero e poi l’Austria. Le condizioni che i prigionieri sono costretti a sopportare nei vagoni sono disumanee molti muoiono già prima dell’arrivo. Una volta ad Auschwitz i prigionieri vengono fatti scendere, divisi sia per sesso che per età o condizioni fisiche: spesso è semplicemente il caso di trovarsi in una fila e non in un’altra a determinare la condanna a morte o la salvezza di un essere umano. I selezionati salgono su degli autocarri dove vengono confiscati loro tutti gli averi.
Capitolo II, Sul fondo: All’arrivo i prigionieri vengono lavati e rasati, ricevono le divise e sono tatuati con un numero di riconoscimento sul braccio (Levi è così il prigioniero 174517). Vengono radunati e contati nella Piazza d’Appello, di cui viene data una descrizione. L’autore fin da subito capisce che l’unico modo per sopravvivere è seguire le regole del campo e evitare questioni: il tutto rimane scolpito nella memoria per l’agghiacciante scritta che accoglie i deportati, Arbeit macht frei (in tedesco: “Il lavoro rende liberi”). Il capitolo descrive pure la struttura e la disposizione dei diversi edifici del campo, così come la gerarchia che regola la vita dei prigionieri.
Capitolo III, Iniziazione: Il capitolo si concentra su due problemi fondamentali: il cibo e la lingua. Come è difficile procurarsi da mangiare - e pertanto il pane è un fondamentale oggetto di scambio - ugualmente è difficile comprendersi nella babele di linguaggi che affollano il campo, tanto che Monowitz appare agli occhi del protagonista una riedizione moderna e perversa della biblica Torre di Babele 1. Levi passa poi a descrivere l’igiene del campo, del tutto assente, e l’incontro avuto al lavatoio con un conoscente, che gli ricorda che smettere di lavarsi equivale a cominciare a morire.
Capitolo IV, Ka-Be: Il capitolo prende il nome dall’abbreviazione (dal tedesco Krankenbau, “ospedale”) con cui è designata l’infermeria del campo. Levi è condotto qui per curare una ferita al piede: può quindi godere di una tregua di venti giorni, con cibo assicurato e riparo dal freddo. Tuttavia, durante la convalescenza, confrontando il numero che ha tatuato sul braccio col numero relativamente esiguo dei prigionieri di Monowitz, capisce che gran parte dei deportati devono essere morti, e che il destino nel campo è, per gran parte degli uomini, senza speranza. Ciò gli viene confermato anche da altri deportati ebrei, che però ostentatno disprezzo nei confronti del protagonista, che non parla la loro lingua.
Capitolo V, Le nostre notti: Levi, terminata la convalescenza, viene assegnato al Block 45, dove trova il suo amico Alberto. Racconta le sue notti - che poi sono le notti di tutti i prigionieri - divise tra gli incubi e la veglia, in un sonno che non può mai essere considerato tale. I due sogni ricorrenti sono quelli di non essere creduto una volta tornato a casa e di vedersi sottratto il cibo.
Capitolo VI, Il lavoro: Il lavoro assegnato a Levi è trasportare le traversine di legno per la costruzione della ferrovia. L’autore non è avvezzo ai lavori pesanti e non è di forte costituzione, così rischia più volte di soccombere al lavoro. Per fortuna è affiancato da un compagno di camerata, il francese Resnyk, che lavora in coppia con lui aiutandolo in più occasioni.
Capitolo VII, Una buona giornata: Il capitolo si concentra su un momento di rottura della routine infernale del campo: in un giorno sereno, la razione di cibo per ogni prigioniero è il doppio del solito. Tuttavia l’angoscia della morte non abbandona gli internati, che all’orizzonte vedono il fumo delle ciminiere di Birkenau che bruciano i cadaveri dei morti (per lo più, donne, anziani e bambini).
Capitolo VIII, Al di qua del bene e del male 2: L’analisi dei commerci tra i prigionieri sono regolati da una sorta di borsa clandestina e prevedono gli scambi di beni di prima necessità come vestiti, cibo e utensili. Ad esempio, il valore dei vestiti scambiati varia in base al cambio della biancheria organizzato dai tedeschi. Spesso è necessario avere degli scambi con i civili, ma questa è una pratica rischiosa poiché essere scoperti significa venir mandati a lavorare nelle miniere di carbone.
Capitolo IX, I sommersi e i salvati: In un capitolo fondamentale di Se questo è un uomo 3 Levi fa una distinzione tra i “sommersi” e i “salvati”, corredandola con le storie di quattro prigionieri. I sommersi, o “musulmani” (dal tedesco Muselmann, probabilmente per analogia tra un uomo collassato a terra dallo sfinimento e un fedele islamico in preghiera), sono coloro che si attengono pedissequamente alle regole ufficiali, finendo per essere i primi a indebolirsi e morire. I salvati invece sono coloro che lottano per la sopravvivenza cercando di emergere e guadagnarsi una posizione di lavoro privilegiato, come quella di Kapo (ovvero, di comandante e controllore di altri internati).
Capitolo X, L’esame di chimica: Nel campo viene istituito un laboratorio di chimica. Primo Levi e Alberto inizialmente partecipano trasportando cloruro di magnesio, poi, in seguito ad un esame, sono ammessi a lavorare nel laboratorio. L’esame è particolarmente difficile perché è solamente in tedesco, ma superarlo significa garantirsi un lavoro importante all’interno del lager e quindi una pur minima possibilità di sopravvivenza.
Capitolo XI, Il canto di Ulisse: Levi, durante il trasporto di una cisterna di zuppa, cerca di ricordarsi i versi canto XXVI dell'Inferno di Dante per recitarli ad un compagno francese, Jean Picolo. Lo sforzo di trasmettere ad un ascoltatore straniero il significato e la profonda bellezza del canto dantesco diventano, nel contesto assurdo ed alienante del capo di concentramento, una metafora dell’esperienza della prigionia.
Capitolo XII, I fatti dell’estate: Sul finire del secondo conflitto mondiale, i bombardamenti alleati costringono a interrompere i lavori nel campo. Se da un lato le vaghe notizie del nuovo corso che sta prendendo la guerra accendono una pallida speranza nei prigionieri, dall’altro il timore maggiore è quello di venir bombardati. Levi conosce Lorenzo, un civile italiano che gli porta del pane risvegliando in lui un minimo di fiducia.
Capitolo XIII, Ottobre 1944: L’arrivo dell’inverno e la quantità di prigionieri che sono arrivati nel campo implicano il ripetersi delle selezioni per il crematorio, temute da tutti i deportati. Una domenica pomeriggio tocca anche a Levi parteciparvi: si tratta di spogliarsi e fare una corsa davanti a un funzionario che delibera la sorte del prigioniero.
Capitolo XIV, Kraus: Levi descrive le condizioni del lager, che con l’inverno sono peggiorate, e fa il ritratto di un prigioniero, Kraus.
Capitolo XV, Die drei Leute vom Labor (in tedesco, “Le tre persone del laboratorio”): Levi viene scelto come specialista per il laboratorio di chimica. Lavorare in laboratorio significa poter passare la giornata al caldo ed entrare a contatto con oggetti utili per il baratto. Il personale civile del laboratorio (tra cui anche tre donne) conversa liberamente della propria vita nel mondo libero, generando un contrasto paradossale con le condizioni dei prigionieri.
Capitolo XVI, L’ultimo: Il capitolo è per gran parte dedicato alla figura di Alberto (cui corrisponde la figura reale di Alberto Dalla Volta, un giovane ebreo bresciano che nel campo diventerà il miglior amico dello scrittore), che è una figura ricordata per l’ingegno e l’inventiva, nonché per la capacità di adattarsi alla tremenda vita del campo. Viene poi raccontata l’impiccagione a scopo dimostrativo di un prigioniero che aveva partecipato a un assalto a un forno crematorio e a cui i prigionieri sono costretti ad assistere. Prima di morire il prigioniero grida: “Compagni, io sono l’ultimo!”.
Capitolo XVII, Storia di dieci giorni: Con l’avanzata dell’Armata Rossa i nazisti decidono di evacuare i prigionieri sani e lasciare al loro destino i malati. Levi, che ha la scarlattina, rimane in infermeria, mentre Alberto parte per quella che sarà la marcia della morte: di fatto, i tedeschi sterminano i prigionieri rimasti nel corso dell’esodo. Levi si dà da fare per aiutare i prigionieri che stanno peggio; ormai al campo sono rimasti solo i prigionieri malati, che danno fondo alle scorte per sopravvivere mentre i bombardamenti russi si avvicinano al lager. Alcune baracche vengono colpite e, mancando i tedeschi, non ci sono più acqua, elettricità o riscaldamento. Il gelido inverno polacco fa morire molti prigionieri e impedisce ai vivi di seppellirli. Levi e alcuni altri prigionieri riescono ad organizzarsi in una baracca e a sopravvivere fino all’arrivo dei russi: è il 27 gennaio 1945 4.
1 L’episodio della Torre di Babele è descritto in Genesi, 11, 1-9.
2 il titolo del capitolo è un’evidente citazione capovolta di un’opera di Nietzsche, Al di là del bene e del male (1886), che sviluppa alcuni temi di Così parlò Zarathustra. Questo capitolo dimostra come l’uomo del campo di concentramento sia programmaticamente ridotto al nulla, e non un Freigeist (“spirito libero”) come nella filosofia nietzschiana.
3 Il titolo verrà poi ripreso in un famoso saggio di Levi del 1986.
4 Per commemorare tutte le vittime dell’Olocausto nazista, nel 2005 il 27 gennaio è diventato il Giorno della Memoria.