Vita e opere
Johann Christoph Friedrich Schiller, poeta annoverato fra i massimi esponenti dello Sturm und Drang, nasce nel 1759 a Marbach e nella sua formazione culturale si ispira alle speculazioni di Kant, con cui ha in comune la formazione pietistica, ma non le vicende giovanili, che lo vedono come medico militare nell’esercito del ducato (1780). Nutrito dalle letture di Lessing, Klopstock, Shakespeare e Rousseau, nel 1781 redige un dramma libertario, I masnadieri, in cui si narra la storia di un giovane diseredato, al quale un fratello crudele impedisce ogni tipo di riscatto. Lasciato il servizio militare, Schiller si sposta prima a Mannheim, poi a Lipsia e infine a Dresda dove scrive il Don Carlos, tragedia del teatro preromantico in cui la profondità psicologica si fonde con la riflessione politica. Il Don Carlos prende le mosse dal conflitto tra il re spagnolo Filippo II e suo figlio Carlos, che si contendono l’amore di Elisabetta di Valois, moglie del sovrano, e si dipana in un’aspra critica all’assolutismo.
Trasferitosi a Weimar, dove stringe amicizia con i membri dello Sturm und Drang, Schiller ottiene, grazie all’intervento di Goethe, la nomina di professore universitario: e in questa occasione tiene pubblicamente la propulsione sul tema Che cosa significa e a qual fine si studia la storia universale. In questi anni conosce Reinhold e dà inizio alla sua riflessione sull’estetica, in cui tenta di conciliare la concezione rigoristica dell’etica kantiana con il sentimentalismo di Shaftesbury. Frattanto compone Sul fondamento del piacere prodotto da oggetti tragici (1791), Sull’arte tragica (1792), Sul sublime (1793) e le Lettere sull’educazione estetica dell’uomo (1795). Nel 1799 lascerà l’insegnamento per ritirarsi definitivamente a Weimar dove lavorerà ai suoi ultimi drammi, fino al 1805, anno del decesso.
Pensiero
La maturità filosofica di Schiller si inaugura con il saggio Sulla grazia e la dignità, in cui promuove l’unità armonica tra natura e spirito, in opposizione alla concezione kantiana di una ragione contrapposta all’istinto. In particolare Schiller introduce la dottrina dell’anima bella, nella quale trionfa la dignità della legge senza che ciò vada a scapito della grazia, ossia dello sviluppo armonico e organico di ogni facoltà dell’uomo. Scrive così:
Non ho un buon concetto dell’uomo che si può così poco fidare della voce dell’istinto e che deve farlo ogni volta tacere davanti alla legge morale; e piuttosto rispetto e stimo chi si abbandona con una certa sicurezza all’istinto, senza pericolo che questo lo svii: perché ciò dimostra che in lui i due principi si trovano già in quell’armonia che è il contrassegno dell’umanità compiuta e perfetta.
La dottrina dell’anima bella riceverà successivamente una forte critica da parte di Hegel, il quale scorgerà in essa l’atteggiamento di coloro che, per timore di venire macchiati dalle azioni, piuttosto si rinchiudono nella soggettività 1.
Il tema dell’unità fra natura e spirito trova in Schiller la sua migliore espressione nelle Lettere sull’educazione estetica (1793-1795), opera in cui viene sostenuta la doppia natura dell’uomo: quella di uomo fisico, da cui deriva l’istinto sensibile che lega alla materia e al tempo; e quella di uomo morale, da cui deriva l’istinto razionale, ovvero la tendenza all’affermazione della propria libertà. Tuttavia secondo Schiller nessuno di questi due istinti deve venir sacrificato, poiché se si sacrificasse quello razionale non potrebbe esserci un “io” e l’uomo rimarrebbe disperso nella materia e nel tempo; allo stesso modo se si sacrificasse l’istinto sensibile (come vorrebbe il rigorismo kantiano) l’uomo diverrebbe pura forma senza realtà. Occorre dunque conciliare i due istinti in modo che uno limiti l’altro e dar luogo all’istinto del giuoco, che porta la forma nella materia e la realtà nella forma razionale.
A questo punto della sua riflessione, Schiller unisce etica ed estetica attraverso il concetto della bellezza: infatti è attraverso quest’ultima che la natura umana trova la sua completa attuazione nel mondo. Attraverso l’azione della bellezza l’uomo sensibile è guidato alla forma e al pensiero e l’uomo spirituale è, invece, riportato alla materia. Inoltre, la presenza di questi due istinti è ciò che permette la libertà, intesa come uno stato di indeterminazione nel quale l’uomo non si trova costretto né fisicamente né moralmente. Difatti finché l’uomo è sottoposto all’istinto sensibile non può essere libero, ma lo diventa solo nel momento in cui, affermandosi anche l’altro istinto, si giunge a una condizione di opposizione tra i due. Pertanto, il problema inerente il raggiungimento della formazione integrale della personalità umana, potrà essere risolto solamente con un’educazione estetica che permetta all’uomo di separarsi dal mondo e, attraverso il gioco, di sviluppare la tendenza ad agire in modo libero secondo le leggi.
In un altro scritto fondamentale, Sulla poesia ingenua e sentimentale, l’autore distingue tra poesia ingenua e poesia sentimentale, dove con la prima si intende lo stato primitivo di armonia tra l’uomo e la natura,e con la seconda la moderna condizione della ricerca dell’armonia perduta come ideale irraggiungibile.
1 Hegel, nella Fenomenologia dello spirito, scrive: “La coscienza vive nell'ansia di macchiare con l'azione e con l'esserci l'onestà del suo interno; e, per conservare la purezza del suo cuore, fugge il contatto dell'effettualità e s'impunta nella pervicace impotenza di darsi sostanzialità, ovvero di mutare il suo pensiero in essere. Quel vuoto oggetto ch'essa si produce la riempie ora dunque della consapevolezza della vuotaggine: il suo operare è l'anelare che non fa se non perdersi nel suo divenir oggetto privo di essenza, e che ricadendo, oltre questa perdita, in se stesso, si trova soltanto come alcunché di perduto: in questa trasparente purezza di tali momenti, una infelice anima bella, come la si suol chiamare, arde in se stessa e dilegua qual vana caligine che si dissolve nell'aria”.