Costruire un generatore di corrente continua non è troppo difficile: è infatti sufficiente prendere un pezzo di rame e uno di alluminio e separarli per mezzo di un materiale poroso, ad esempio della carta, imbevuto con un po’ d’acqua, meglio se acidulata. Basta questo piccolo accorgimento per far sì che il rame si trovi a un potenziale elettrico più alto dell’alluminio, dando luogo a una cella elettrochimica. Se i due metalli vengono quindi messi in contatto attraverso un filo conduttore si genera una corrente elettrica. Quando inserita in un diagramma che rappresenti un circuito elettrico, la pila (o un generatore di corrente continua qualunque) viene rappresentata in questo modo:
Certo non bisogna essere troppo schizzinosi riguardo alle prestazioni: spesso le tensioni sono piuttosto piccole, superando difficilmente il mezzo Volt. Come si può ovviare a questo inconveniente? Il modo più semplice consiste nel collegare più celle elettrochimiche in serie. Si tratta di disporre in fila uno dopo l’altro i singoli elementi mettendo in contatto il polo negativo di ognuno di essi con il polo positivo di quello successivo. Dal momento che il modo più naturale di farlo è quello di impilare le varie celle una sull’altra il dispositivo che si ottiene viene detto pila elettrica. Il termine batteria nasce invece dall’accorgimento di collegare in serie, o come si usa dire in “batteria”, più pile tra loro. Col tempo però la distinzione tra un termine e l’altro è andato sfumandosi, tanto che le comuni pile elettriche che vengono commercializzate non meriterebbero tale denominazione, essendo costituite da una singola cella elettrochimica altamente ottimizzata.
Il semplice collegamento in serie di più celle non consente un controllo preciso dei valori di tensione prodotti. Questo perché tale procedura permette, nel migliore dei casi, di avanzare solo per salti discreti. Fortunatamente però alla base della produzione di energia elettrica nella maggior parte delle pile non è un fenomeno discreto ma continuo: una reazione chimica di ossido-riduzione. Si tratta di un tipo particolare di reazione che comporta lo spostamento di elettroni da un elemento chimico a un altro. Gli elementi coinvolti spesso sono metalli (come zinco e rame cui facevamo riferimento all’inizio) e i loro corrispondenti ioni solubili in acqua (da cui la necessità della soluzione acquosa). La differenza di potenziale prodotta ai capi della cella dipende dalle sostanze chimiche coinvolte e dalla concentrazione degli ioni. Variando questi parametri e scegliendoli in modo opportuno è quindi possibile controllare a proprio piacimento le tensioni prodotte.
Crediti immanige: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a1/Batterkps.svg