In presenza di un campo elettrico $\vec{E}$, una carica $q$ è soggetta ad una forza $ \vec{F} = q \vec{E} $ e quindi, per la legge fondamentale della dinamica, accelera, iniziando a muoversi. Se una forza si applica durante uno spostamento, si ha del lavoro, dato dal prodotto scalare tra la forza e lo spostamento effettuato. Il lavoro è una trasmissione o una trasformazione di energia: la carica $q$, accelerando, acquista energia cinetica, che viene “prelevata” dalla forza $\vec{F}$ (tramite il lavoro) da una “riserva energetica” della carica $q$, detta energia potenziale. Definiamo l’energia potenziale elettrostatica, posseduta dalla carica $q$ in un certo punto $A$, il lavoro svolto dalla forza di Coulomb $q\vec{E}$ sulla carica $q$ quando questa viene spostata da $A$ sino un certo altro punto preso come livello di riferimento: chiamiamo questo valore $ U_q (A) $ (in seguito porremo il livello di riferimento come un punto infinitamente lontano). Analongamente, possiamo definire l’energia potenziale nel punto $B$ come il lavoro che la forza elettrostatica svolgerebbe per spostare la carica $q$ da $B$ al medesimo livello di riferimento, e chiamiamo questa quantità $ U_q (B) $. Avendo a disposizione questa energia potenziale, possiamo facilmente calcolare il lavoro compiuto dalla forza per spostare la carica da $A$ a $B$: infatti, $\mathcal{L}_{A \to B} = U_q (A) - U_q (B)$
Questa definizione però ha un difetto: supponiamo di voler calcolare $U_q(A)$. Per farlo, dobbiamo calcolare un lavoro. Che cosa succederebbe se facessimo seguire alla carica $q$ dei percorsi differenti? A priori, calcolando il lavoro lungo percorsi diversi otterremmo valori diversi. Dobbiamo allora mostrare che questo non succede: dobbiamo dimostrare che il lavoro compiuto dalla forza elettrostatica non dipende dal cammino seguito. In altre parole, ci occorre che la forza elettrostatica sia conservativa.
Effettuare un calcolo nel caso generale può essere complicato: iniziamo quindi con un caso semplice. Supponiamo allora che il campo $\vec{E}$ sia uniforme e stazionario, cioè che in ogni punto dello spazio e in ogni istante il campo elettrico sia dato da un vettore fisso $\vec{E}$; supponiamo inoltre che la carica $q$ si sposti proprio parallelamente e concordemente a questo vettore $\vec{E}$, cioè nella stessa direzione e nello stesso verso, da un certo punto $A$ (posto ad una certa distanza $z_A$ da una posizione di riferimento) a un altro punto $B$ (alla distanza $z_B$ dalla stessa posizione di riferimento):
Il lavoro effettuato dalla forza di Coulomb è quindi pari a $$ \mathcal{L} = \vec{F} \cdot \overrightarrow{AB} = q \vec{E} \cdot \overrightarrow{AB} = q E \overline{AB} = qE (z_A - z_B)$$ Sempre considerando un campo elettrico uniforme e stazionario, ora supponiamo di spostarci da $A$ a $B$ lungo un percorso un po’ casuale, costituito da una spezzata poligonale, come illustrato in figura:
Chiamiamo il punto di partenza $A_0$; i segmenti paralleli ad $\vec{E}$ saranno $A_0A’_0$, $A_1A’_1$, eccetera, mentre quelli perpendicolari ad $\vec{E}$ saranno $A’_0A_1$, $A’_1A_2$ e così via. Indichiamo inoltre con $z_{A_0}$, $z_{A’_0}$, $z_{A_1}$, eccetera, la distanza da una posizione di riferimento dei punti $A_0$, $A’_0$, $A_1$ e così via. Notiamo che, ad esempio, che $A_0’$ e $A_1$ hanno la stessa distanza dal livello di riferimento: quindi $z_{A_0’} = z_{A_1}$. Questo succede con tutti gli estremi dei segmenti posti perpendicolarmente al campo: possiamo quindi affermare che $z_{A_i’} = z_{A_{i+1}}$.
Siccome $\vec{F} = q \vec{E}$, la forza elettrostatica $\vec{F}$ è parallela al campo $\vec{E}$, e quindi l’angolo $\theta$ formato dalla forza $\vec{F}$ con il vettore spostamento è pari all’angolo formato dal campo elettrico $\vec{E}$ con lo stesso vettore spostamento; ricordando la definizione di prodotto scalare, il lavoro può essere quindi calcolato come $ \mathcal{L} = \vec{F} \cdot \vec{s} = q \vec{E} \cdot \vec{s} = qE s \cos( \theta ) $. Calcoliamo il lavoro complessivo come somma dei vari lavori lungo tutti i tratti della spezzata poligonale:
Lungo gli spostamenti paralleli a $\vec{E}$, vale $ \theta =0 $, e dunque è $cos(\theta) = 1$. Per esempio, prendiamo il tratto $A_1A’_1$ svolto dalla forza elettrostatica lungo questo tratto è $\mathcal{L}_{A_1 \to A'_1} = q E \overline{A_1 A'_1} \cos(\theta) = q E \overline{A_1 A'_1} $. Lungo un generico tratto $A_iA’_i$ si avrà dunque $\mathcal{L}_{A_i \to A'_i} = q E \overline{A_i A'_i}$
Lungo gli spostamenti perpendicolari a $\vec{E}$ invece è $ \theta = 90^\circ $, da cui $\cos(\theta) =0$: di conseguenza, lungo ciascuno di questi tratti $A'_i \to A_{i+1} $ il lavoro sarà nullo, $\mathcal{L}_{A'_i \to A_{i+1} } = 0 $
Ora, per ottenere il lavoro svolto dalla forza $\vec{F}$ sulla carica $q$ lungo la spezzata poligonale, sommiamo tutti i contributi appena calcolati: $$ \mathcal{L}_{A \to B} = \mathcal{L}_{A_0 \to A’_0} + \mathcal{L}_{A’_0 \to A_1} + \mathcal{L}_{A_1 \to A’_1} + \mathcal{L}_{A’_1 \to A_2} + \cdots = \mathcal{L}_{A_0 \to A’_0} + \mathcal{L}_{A_1 \to A’_1} + \cdots = qE \left( \overline{A_0A’_0} + \overline{A_1A’_1} + \dots \right) $$Le varie lunghezze $\overline{A_iA’_i}$ possono essere calcolate mediante la differenza delle distanze dei due estremi dal livello di riferimento: $\overline{A_iA’_i} = z_{A_i} - z_{A’_i}$. Sostituendo nella formula precedente, otteniamo$$ \mathcal{L}_{A \to B} = qE \left( z_{A_0} - z_{A’_0} + z_{A_1} - z_{A’_1} + z_{A_2} - z_{A’_2} +\dots \right) $$Ma ricordandoci che $z_{A’_i} = z_{A_{i+1}}$, arriviamo alla formula$$ \mathcal{L}_{A \to B} = qE \left( z_{A_0} - z_{A_1} + z_{A_1} - z_{A_2} + z_{A_2} - z_{A_3} + z_{A_3} \dots +z_{B} \right) = qE \left( z_{A} - z_{B} \right)$$Ma questo è esattamente il risultato che abbiamo ottenuto nel caso precedente! In effetti, i tratti perpendicolari al campo $\vec{E}$ non hanno contribuito al calcolo del lavoro: contano solo i tratti paralleli al campo. Ottenere un campo elettrico uniforme e stazionario, però, non è proprio facile: abbiamo bisogno di uno strumento noto come condensatore piano. L’espressione della legge di Coulomb implica che il campo elettrico generato da una singola carica $Q$ diminuisce, in modulo, con il quadrato della distanza: avremo quindi a che fare, in generale, con un campo variabile nello spazio, di punto in punto.
Essendo la forza elettrostatica $F$ pari a un multiplo del campo elettrico, anch’essa sarà variabile. Come calcolare il lavoro di una forza non costante? Senza addentrarsi in calcoli che esulerebbero dallo scopo di questa lezione (si tratta di un integrale, nulla di complicato, ma lungo da spiegare), si può dimostrare che il lavoro compiuto dalla forza di Coulomb per spostare una carica esploratrice $q_0$ da un punto $A$ posto alla distanza $r_A$ da $Q$ ad un punto $B$ posto alla distanza $r_B$ da $Q$ (attraverso il vuoto) è dato dalla formula $$ \mathcal{L}_{A \to B} = \frac{1}{4 \pi \varepsilon_0} q_0 Q \left( \frac{1}{r_A} - \frac{1}{r_B} \right) $$ Ponendo il punto $B$ all’infinito, di modo che $r_B \to \infty$, e quindi $\frac{1}{r_B} \to 0$ (come previsto dalla teoria dei limiti), si ottiene $$ \mathcal{L}_{A \to \infty} = \frac{q Q}{4 \pi \varepsilon_0} \frac{1}{r_A} $$ Abbiamo definito l’energia potenziale elettrica in un punto come il lavoro che la forza deve svolgere sulla carica $q$ per spostarla sino a quel punto, partendo da un altro punto prestabilito, preso come punto di riferimento: per definire l’energia potenziale elettrica di una carica $q$ immersa nel campo elettrico generato da un’altra carica $Q$, si è soliti porre come livello di riferimento l’infinito, di modo che si abbia proprio, per una carica $q$ posta a distanza $r$ da $Q$ $$ U_q (r) = \frac{q Q}{4 \pi \varepsilon_0} \frac{1}{r} $$
Ricordiamo ora la definizione di circuitazione di un campo elettrico: si tratta della somma di tutti i prodotti scalari del tipo $\vec{E}_i \cdot \Delta \vec{s}_i$, dove i vari spostamenti $\Delta \vec{s}_i$, composti, formano un percorso chiuso (appunto, un circuito). Come già mostrato, la circuitazione del campo elettrico è nulla: $ \sum_{i} \vec{E}_i \cdot \Delta \vec{s}_i = 0 $, oppure, considerando il caso generale di una linea curva chiusa, $$ \oint \vec{E} \cdot d \vec{s} = 0 $$Abbiamo definito l’energia potenziale elettrica come lavoro da compiere per spostare a partire da un determinato punto una carica $q$ sino all’infinito; ma, così come il campo elettrico $\vec{E}$ non dipende dalla carica $q$ che vi è immersa, vorremmo trovare una quantità che non dipenda dalla carica di prova $q$ e che renda conto dell’energia intrinseca del campo elettrico $\vec{E}$. Tale grandezza è detta potenziale elettrico. Così come il campo elettrico è stato calcolato dividendo la forza $\vec{F}$ da esso esercitata su di una carica di prova $q_0$ per la stessa carica esploratrice $q_0$, calcoliamo il potenziale elettrico generato dal campo elettrico $\vec{E}$ nel punto $P$ come il rapporto tra l’energia potenziale elettrica $ U_{q_0} (P) $ posseduta da una carica di prova $q_0$ immersa nel campo, posta nella posizione $P$, e la carica $q_0$: $$ V (P) = \frac{U_{q_0} (P)}{q_0} $$Sfruttando le espressioni per l’energia potenziale elettrica trovate in precedenza, possiamo scrivere l’espressione del potenziale elettrico di un campo uniforme e stazionario $\vec{E}$ in un punto posto a distanza $z$ da un livello di riferimento: $$ V(z) = E z $$E possiamo anche esplicitare quella del potenziale elettrico di un campo elettrico generato da una carica $Q$ in un punto posto a distanza $r$ dalla carica generatrice: $$ V(r) = \frac{Q}{4 \pi \varepsilon_0} \frac{1}{r} $$In generale, se sono presenti più cariche generatrici, il campo elettrico generato da questo insieme di cariche è dato dalla somma vettoriale dei campi elettrici generati dalle singole cariche: $$ \vec{E}_{\text{TOT}} = \vec{E}_1 + \vec{E}_2 + \dots + \vec{E}_N $$ Similmente, il potenziale elettrico generato da un sistema di cariche è la somma dei singoli potenziali: $$ V_{\text{TOT}} = V_1 + V_2 + \dots + V_N $$ Per distribuzioni continue di cariche, come la carica distribuita sulla superficie delle armature di un condensatore, occorre sommare i contributi infinitesimi delle singole (infinite) porzioni di carica considerate: come sappiamo dai corsi di analisi matematica, la somma infinita di contributi infinitesimi risulta in un integrale.
L’unità di misura del potenziale elettrico si ottiene dall’espressione che lo definisce, $ V = \frac{U_q}{q} = \frac{\text{energia potenziale}}{\text{carica elettrica}} $, e quindi, nel sistema internazionale, è $\frac{\text{joule}}{\text{coulomb}}$. Tale unità di misura prende il nome di Volt, indicato dalla lettera $\text{V}$: $$ 1 \text{V} = \frac{1 \text{ J}}{1 \text{ C}} $$ Il nome è dovuto allo scienziato italiano Alessandro Volta. Otteniamo quindi che $1 \text{ J} = 1 \text{ C} \cdot 1 \text{ V}$.
Ma come si misura il potenziale elettrico? Prendiamo ora in esame, per semplicità, l’espressione del campo elettrico uniforme e costante e quella del relativo potenziale. Ora poniamoci in due punti differenti: $A$ e $B$, posti rispettivamente a distanze $z_A$ e $z_B$ da un certo livello di riferimento: supponiamo che queste distanze siano differenti, di modo che il valore del potenziale elettrico, nei due punti considerati, sia differente.
Possiamo allora considerare la differenza di potenziale elettrico $\Delta V = V(B) - V(A) $ e calcolarla: riprendendo l’espressione trovata in precedenza, otteniamo $$ V(B) - V(A) = E z_B - E z_A = E(z_B - z_A) = - E(z_A - z_B) = - E \cdot \overline{AB} $$ Notiamo che questa formula mantiene la sua validità qualunque sia il livello preso come riferimento. Ad ogni modo, considerando che è stato compiuto uno spostamento da $A$ a $B$ $\Delta s = \overrightarrow{AB}$, cioè il segmento $\overline{AB}$ orientato da $A$ a $B$, possiamo giungere all’equivalenza $$ \boxed{ E = - \frac{\Delta V }{\Delta s} } $$Questa espressione è valida unicamente per un campo elettrico uniforme e stazionario; in generale non siamo così fortunati: avremo a che fare con un sistema di cariche generatrici, o, peggio ancora, con una distribuzione continua di carica su di un oggetto. Perchè tale formula abbia ancora un significato, bisogna effettuare spostamenti infinitesimi $d s$, lungo i quali il potenziale elettrico subisce variazioni minime $d V$; ma questi spostamenti avvengono, in generale, nello spazio: il computo non è facile. La formula corretta è $ \vec{E} = - \vec{\nabla} V $, dove l’espressione “$\vec{\nabla}$” significa il gradiente del potenziale elettrico $V$, ed è il vettore (tridimensionale) che rende conto delle variazioni infinitesime del potenziale stesso nelle tre dimensioni.
Una volta constatata questa conseguenza del potenziale elettrico, il fatto che un campo elettrico crei una differenza di potenziale può anche essere letta all’incontrario: in presenza di una differenza di potenziale elettrico, si crea un campo elettrico, capace di accelerare cariche poste al proprio interno.
Una carica di $1 \text{ C}$, soggetta ad una differenza di potenziale di $1 \text{ V}$, acquisisce un’energia pari a $1 \text{ C} \cdot 1 \text{ V} = 1 \text{ J}$, che può essere intesa come l’energia necessaria ad accelerare di $1 \text{ m} / \text{s}^2$ un corpo di $1 \text{ kg}$. Tuttavia, quando si ha a che fare con particelle subatomiche (come ad esempio elettroni e protoni), le cariche e le masse in gioco sono di ordini di grandezza molto inferiori al coulomb o al kilogrammo: basti pensare che la carica di un elettrone è pari a $1,6 \cdot 10^{-19} \text{ C}$ e la sua massa di $ 9,1 \ 10^{-31} \text{ kg}$. Sembra essere poco agevole eseguire i calcoli con energie espresse in joule. Si preferisce, per motivi pratici, definire una nuova unità di misura dell’energia: si tratta dell’elettronvolt, simbolo $\text{eV}$, ed è definito come l’energia acquisita da un elettrone sottoposto ad una differenza di potenziale elettrico di $1 \text{ V}$; se si indica con $\text{e}$ la carica dell’elettrone, l’energia acquisita è proprio $\text{eV}$, da cui il simbolo.
Essendo possibile misurare il potenziale elettrico in ogni punto dello spazio, ci si potrebbere chiedere quali siano i punti che hanno tutti lo stesso potenziale elettrico in presenza di un determinato campo elettrico: si verifica che questo insieme, per ogni valore fissato del potenziale, costituisce una superficie nello spazio. Questa superifice, ossia la collezione di tutti i punti dello spazio aventi lo stesso potenziale elettrico, si chiama superficie equipotenziale (in realtà è anche possibile che l’insieme costituito dai punti allo stesso potenziale abbia una forma più stramba: una linea curva, qualche punto isolato, l’insieme vuoto; questi casi sono però più rari).
Avendo il medesimo potenziale elettrico, tra punti sulla stessa superficie equipotenziali le differenze di potenziale sono nulle: per un semplice ragionamento geometrico, il lavoro svolto dalla forza di Coulomb per spostare una carica tra due punti posti sulla stessa superficie equipotenziale è nullo. Essendo il lavoro nullo quando forza e spostamento sono tra loro perpendicolari, ne deduciamo che il vettore forza $\vec{F}$ è sempre perpendicolare alle superfici equipotenziali; a sua volta, essendo il campo elettrico $\vec{E}$ parallelo ad $\vec{F}$, esso sarà perpendicolare alle superfici equipotenziali.
Ricordiamo la definizione di linea di campo: dato un campo vettoriale $\vec{V}$, una linea di campo per il campo $\vec{V}$ è una linea, in generale curva, la cui direzione tangente è indicata, punto per punto, dalla direzione che assume il campo vettoriale $\vec{V}$. In parole povere, le linee di campo sono quelle linee che vengono “disegnate” pensando di seguire, con un tratto, la direzione indicata dal campo vettoriale.
Per il campo elettrico $\vec{E}$, essendo esso sempre perpendicolare alle superfici equipotenziali, accadrà il seguente fatto: le linee di campo del campo elettrico sono sempre perpendicolari alle superfici equipotenziali.