Se le “punte” più audaci dell’opera poetica di D’Annunzio ricalcano procedimenti tipici della rivoluzione simbolista, ancora più avveniristica pare la sua prosa, soprattutto quando si sgancia dai faticosi macchinari retorici e ideologici afferenti al genere “romanzo”. Le Prose di ricerca (titolo semplificato rispetto a quello autoriale, al quale faceva seguito l’ineffabile dizione di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni: secondo un piano editoriale che si compirà solo postumo, nel 1950) contengono, di d’Annunzio, tanto il meglio che il peggio. A insiemi nazionalistici, bellicistici, razzistici (e in sintesi fascistici), tipo L’Urna inesausta o Il sudore di sangue, fanno infatti riscontro altri insiemi, come le Faville del maglio, il Libro segreto (anzi, le Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele d’Annunzio tentato di morire) e il Notturno, che risultano perfettamente in linea con le “punte” della prosa narrativa europea del grande modernismo (Proust e Joyce). Ci troviamo di fronte all’invenzione della prosa allo stato puro: mercuriale fosforescenza di sensazioni, senza alcuna costrizione strutturale. Senza nessuna trama, ma con la più vibratile attenzione (teorizzata dallo stesso d’Annunzio, entro questo repertorio, nel Venturiero senza ventura) alle minutissime pieghe del fenomenico. Appunto Joyce, che non nasconderà il proprio entusiasmo per questo D’Annunzio, le chiamerà "epifanie".
Andrea Cortellessa è un critico letterario italiano, storico della letteratura e professore associato all'Università Roma Tre, dove insegna Letteratura Italiana Contemporanea e Letterature Comparate. Collabora con diverse riviste e quotidiani tra cui alfabeta2, il manifesto e La Stampa - Tuttolibri.