Dopo il periodo trascorso a Napoli dal 1891 al 1893, in cui lo scrittore approfondisce la conoscenza del pensiero di Nietzsche e Wagner (veri e propri capisaldi della sua ideologia ed estetica dannunziana di quegli anni), l’autore del Piacere porta a compimento un nuovo romanzo “a tesi”, Le vergini delle rocce , che, recuperando (e in parte distorcendo) la teoria del “superuomo”, crea una nuova proiezione biografica dello scrittore.
Il volume di Treves (1895), che segue la pubblicazione dell’anno prima sulla rivista «Il Convito» di Alfredo de Bosis, propugna nel senso più pieno la nuova filosofia di vita di cui D’Annunzio vuole farsi alfiere: dopo una lettura abbastanza superficiale dell’Also sprach Zarathustra (Così parlò Zarathustra, 1883-1884) del filosofo tedesco, D’Annunzio fa del protagonista del nuovo romanzo, Claudio Cantelmo, l’emblema del rifiuto radicale (con una forte presa emotiva sul pubblico medio) di tutti i gusti, le convenzioni, i valori borghesi, di cui egli avverte ormai l’esaurimento interno. Prevale allora l’individualismo assoluto e totalizzante di un “io” che rifiuta il confronto con il mondo quotidiano, cui sostituisce l’imposizione volitiva della sua personalità superiore. Claudio è un aristocratico, ultimo esponente di una famiglia eletta, disgustato dalla mediocrità che vede attorno a sé e al tempo stesso desideroso di imprimere una svolta all’intera nazione italiana; così, dopo aver conosciuto tre “vergini inquiete” e sorelle (Massimilla, Anatolia, Violante), egli concepisce il progetto per cui sarà suo figlio (ovviamente partorito dalla più degna delle tre) a rivoluzionare quel “grigio diluvio democratico odierno” contro cui già polemizzava Andrea Sperelli nel Piacere. Il restauro dei valori classico-nobiliari (la forza, l’onore, la capacità di guidare imperiosamente il popolo di sangue “latino”) impone che Claudio abbandoni Roma, città devastata dai vizi, e si ritiri in campagna, dove appunto si trovano le tre donne, figlie di un principe borbonico e simboleggianti rispettivamente la passione sensuale (Violante), la purezza spirituale (Massimilla), il culto dei valori familiari (Anatolia).
Per realizzare tale progetto di una nuova e superiore umanità, Cantelmo si sottopone ad uno specifico percorso di formazione, in cui si convergono tutti gli interessi dannunziani. Lo stile ricercato e prezioso del romanzo (che in certe pagine diviene quasi lirico e sinfonico, con forti suggestioni della wagneriana “opera d’arte totale”) traduce nella vita “inimitabile” del protagonista i precetti e le suggestioni della filosofia nietzschiana, quale quello della “libertà negativa”, in cui è il principio apollineo dell’esistenza (e cioè, l’ordine e l’armonia) a prevalere su quello dionisiaco (rappresentate del caos e dell’istintualità della vita). Altro “maestro” ripreso e rielaborato ai propri fini è Leonardo da Vinci, le cui frasi scandiscono l’esergo dei diversi capitoli, quasi a rappresentare le pietre miliari della maturazione del superuomo, che racconta in prima persona le sue imprese. Ecco, ad esempio, l’incipit del primo capitolo del libro:
Non si può avere maggior signoria che quella di sè medesimo.
Leonardo da Vinci.
E se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo.
Lo stesso.
Domati i necessari tumulti della prima giovinezza, battute le bramosie troppo veementi e discordi, posto un argine all'irrompere confuso e innumerevole delle sensazioni, nel momentaneo silenzio della mia coscienza io aveva investigato se per avventura la vita potesse divenire un esercizio diverso da quello consueto delle facoltà accomodative nel variar continuo dei casi; ciò è: se la mia volontà potesse per via di elezioni e di esclusioni trarre una sua nuova e decorosa opera dagli elementi che la vita aveva in me medesimo accumulati.
Il protagonista, come in molti altri casi in D’Annunzio, è vittima del suo stesso desiderio; indeciso tra le tre, rifiutato da Anatolia ed indirizzato da lei stessa a sposare la sorella Violante, Cantelmo non svela nel finale del romanzo su chi ricadrà la sua scelta. Il progetto dannunziano doveva infatti (sul modello della trilogia dei “romanzi della Rosa”: Il Piacere, L’innocente, Il trionfo della morte) confluire in un ciclo più ampio, quello dei “romanzi del Giglio”,che avrebbero portato a degno compimento la parabola del superuomo; ma l’impegno poetico, che a cavallo dei due secoli vedrà D’Annunzio lavorare alle Laudi, impedirà all’autore di scrivere anche La Grazia e L’annunciazione.