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D'Annunzio e le prime opere in prosa: "Terra vergine", "San Pantaleone", "Il libro delle vergini"

Nel momento in cui muove con le raccolte poetiche Primo vere e Canto novo i primi passi di una lunga e remunerativa carriera letteraria, Gabriele D’Annunzio non perde d’occhio le possibilità di affermazione e successo assicurate dalla scrittura in prosa. Già con il trasferimento a Roma l’autore coglie l’occasione di intraprendere una serie di collaborazioni a giornali mondani e riviste letterarie (quali il «Fanfulla della Domenica», il «Capitan Fracassa», la «Tribuna» o la «Cronaca bizantina») che diffondono a macchia d’olio il nome e la “firma” di D’Annunzio.

 

Come per l’ispirazione carducciana di Primo vere, anche la prima raccolta di novelle si ispira al modello di maggior fama di quegli anni: Terra vergine, pubblicato da Angelo Sommaruga nel 1882, riprende chiaramente Verga e Vita dei campi, edita due anni addietro. Ma all’imitazione si aggiunge (come quasi sempre in D’Annunzio...) lo scarto, l’invenzione personale: rispetto all’indagine sociale desunta dal naturalismo francese e al posto dell’impassibilità che contraddistingue la “voce” del narratore verista, D’Annunzio nei suoi “bozzetti” abruzzesi non vuole affatto descrivere nella maniera più oggettiva possibile un mondo “altro” (quale quello contadino pre-moderno), quanto sottolineare per contrasto la bestialità ferina delle figure popolari che compaiono sulla pagina. Torna anche qui (a sottolineare ulteriormente la distanza che separa l’operazione dannunziana da quella verghiana)  il fascino sensuale per una Natura ancestrale ed ignota e lo stile letterariamente sostenuto che caratterizza le prove poetiche contemporanee. Questa linea di scrittura prosegue di lì a poco, nel 1886, con un’altra raccolta di novelle, San Pantaleone; anche qui, l’ambientazione in una realtà popolare e rurale è solo un pretesto per mettere in scena il gusto dannunziano per il folklore, per la parola ricercata ed esibita, per l’effetto speciale (grottesco, orrorifico o malizioso) che colpisca e sorprenda il suo lettore.
Sia Terra vergine che San Pantaleone confluiranno poi, riviste e rielaborate, nelle Novelle della Pescara (1902), approfondendo, al posto della rappresentazione di un mondo mitico e primitivo, l’analisi interiore e la rappresentazione sfumata delle psicologie dei personaggi (vero e proprio Leitmotiv de Il piacere e Il fuoco), e confermando quella tendenza tipica dell’autore a riscrivere e risistemare la propria produzione per assecondare gusti e mode del momento. Un’attenzione tutta “moderna” al mercato editoriale che viene ribadita da un altro libro della fase “giovanile” dello scrittore: quel Libro delle vergini (che raccoglieva i quattro racconti di ispirazione zoliana Le vergini, Favola sentimentale, Nell’assenza di Lanciotto e Ad altare dei) che fece scandalo per una copertina osée (voluta in realtà dall’abilissimo editore Sommaruga, e su cui D’Annunzio avrà molto di ridire), in cui comparivano tre ninfe nude.