La prima raccolta poetica di Gabriele D’Annunzio - Primo vere, pubblicata a Chieti a spese del padre nel 1879, quando l’autore è quindi appena sedicenne - porta con sé già alcuni indizi salienti della poliedrica figura che sarà il D’Annunzio poeta e prosatore affermato. Innanzitutto, l'opera è interessante per la strategia promozionale allestita dall’autore stesso che, evidentemente già consapevole dei meccanismi pubblicitari che stanno dietro al successo di un libro sul mercato, diffonde in contemporanea con l’uscita della sua creazione la notizia di una sua precocissima morte a causa di un incidente a cavallo.
E tuttavia Primo vere (pur nella sua natura di raccolta giovanile, composta sui banchi dell’esclusivo collegio Cicognini di Prato) illustra anche un’altra tendenza, poi tipicamente dannunziana: e cioè quella di impossessarsi di un modello letterario per riutilizzarlo in maniera personale; qui, il punto di riferimento sono le Odi barbare di Giosuè Carducci, cui si sommano autori contemporanei quali Hugo, Baudelaire e Zola, passando per il classici Orazio, Catullo, Tibullo ed Omero. Stilisticamente, ritroviamo qui quelli che saranno veri “fili rossi” della lirica dannunziana: la predilezione per la parola rara e non comune (spesso con il ricorso alla ricerca su dizionari specialistici), la fusione dell’io poetico nella Natura sensualisticamente percepita, il gioco coloristico di immagini preziose ed evocative al tempo stesso, una considerevole padronanza degli strumenti tecnici del verseggiare. D’Annunzio si conferma da subito, insomma, autore non affatto sprovveduto o poco attento al “prodotto” da offrire al proprio lettore: lo conferma pure il puntuale lavoro di revisione cui egli sottopone Primo vere nel 1880, quando l’editore Carabba si offre di pubblicare la seconda edizione del volumetto dell’anno precedente. Alla fama crescente si affianca allora un processo di accrescimento e selezione della propria opera: i componimenti passano da ventisei a cinquantasette, cui s’affiancano diciannove traduzioni da autori classici (erano quattro nella prima edizione) e le tematiche si ampliano in direzione della celebrazione dell’amore, dell’Abruzzo natìo e della figura materna.
Passo successivo è allora quello di Canto novo, edito da Sommaruga nel 1882; e, nel frattempo, sono intervenute novità consistenti nella vita del poeta: il trasferimento a Roma per studiare Lettere e per frequentare la vita mondana della Capitale, la prima prova prosastica - Terra Vergine, modellata sull’esempio del verismo verghiano -, l’inizio dell’esperienza come giornalista per riviste e quotidiani. Parallelo a tutto ciò, corre l’affinamento stilistico (sempre in direzione della parola lirica ed iperletteraria) e la ricerca di altri modelli (Keats, Shelley, e l’immaginario parnassiano), assieme alla riproposizione del tema del rapporto di fusione panica con la Natura, in cui il poeta ama immergersi per saggiare al tempo stesso la sua virtuosistica abilità descrittiva.
Dedicato a tale E.Z. (Elda Zucconi, trasfigurata dal senhal di Lalla), Canto novo si compone nel 1882 di sessantatré componimenti, metricamente suddivisi tra sonetti e rime “barbare”, che richiamano ancora il prototipo carducciano di Primo vere. Più avanti D’Annunzio rivedrà radicalmente questo libro, che verrà ripubblicato da Treves (con soli ventisette componimenti, e riscritture di molti testi) nel 1896, all’alba una stagione poetica che, complice un viaggio in Grecia nel 1895 e i nuovi influssi culturali operanti su D’Annunzio (il mito di Wagner, la scoperta di Schopenhauer e di Nietzsche), prelude già alla grande stagione delle Laudi e di Alcione.
L’apprendistato poetico di D’Annunzio, che nel frattempo si esercita anche nella scrittura romanzesca, conosce così un’ultima tappa a metà degli anni Ottanta dell’Ottocento: l’Intermezzo di rime (1884), in maniera molto dannunziana, punterà sulla provocazione della tematica amoroso-erotica.