Introduzione
L’Ode al vento dell’Ovest (Ode to the West Wind, nel titolo originale) è tra le liriche più celebri di Percy Bysshe Shelley (1792-1822), marito di Mary Shelley, autrice del romanzo horror Frankenstein (1818). Shelley, insieme a Lord Byron (1788-1824) e John Keats (1795-1821), è considerato uno dei massimi poeti della seconda generazione romantica inglese.
Questa poesia fu composta nel 1819 nei pressi di Firenze durante un lungo viaggio per l’Italia e poi pubblicata insieme col “dramma lirico” Prometeo liberato nel 1820. L’ode è divisa in cinque strofe e descrive gli effetti del vento impestuoso dell’ovest sulla Natura, interpretabile come simbolo dell’ispirazione poetica e del cambiamento radicale portato nel mondo dalla poesia e dalla figura protefica del poeta.
Traduzione e parafrasi
Metro: cinque stanze di pentametri giambici in terzine (schema ABA, BCB, CDC, DED…) con un distico finale a rima baciata. Qualche verso presenta una sillaba in più.
- [I] O wild West Wind, thou breath of Autumn's being,
- thou, from whose unseen presence the leaves dead
- are driven, like ghosts from an enchanter fleeing,
- yellow, and black, and pale, and hectic red,
- pestilence-stricken multitudes: O, thou,
- who chariotest to their dark wintry bed
- the winged seeds, where they lie cold and low,
- each like a corpse within its grave, until
- thine azure sister of the spring shall blow
- her clarion o'er the dreaming earth, and fill
- (driving sweet buds like flocks to feed in air)
- with living hues and odours plain and hill:
- wild Spirit, which art moving every where;
- destroyer and preserver; hear, O, hear!
- [II] Thou on whose stream, 'mid the steep sky's commotion,
- loose clouds like earth's decaying leaves are shed,
- shook from the tangled boughs of Heaven and Ocean,
- angels of rain and lightning: there are spread
- on the blue surface of thine airy surge,
- like the bright hair uplifted from the head
- of some fierce Mænad, even from the dim verge
- of the horizon to the zenith's height
- the locks of the approaching storm. Thou dirge
- of the dying year, to which this closing night
- will be the dome of a vast sepulchre,
- vaulted with all thy congregated might
- of vapours, from whose solid atmosphere
- black rain, and fire, and hail will burst: O, hear!
- [III] Thou who didst waken from his summer dreams
- the blue Mediterranean, where he lay,
- lulled by the coil of his crystalline streams,
- beside a pumice isle in Baiæ's bay,
- and saw in sleep old palaces and towers
- quivering within the wave's intenser day,
- all overgrown with azure moss and flowers
- so sweet, the sense faints picturing them! Thou
- for whose path the Atlantic's level powers
- cleave themselves into chasms, while far below
- the sea-blooms and the oozy woods which wear
- the sapless foliage of the ocean, know
- thy voice, and suddenly grow grey with fear,
- and tremble and despoil themselves: O, hear!
- [IV] If I were a dead leaf thou mightest bear;
- if I were a swift cloud to fly with thee;
- a wave to pant beneath thy power, and share
- the impulse of thy strength, only less free
- than thou, O, uncontroulable! If even
- I were as in my boyhood, and could be
- the comrade of thy wanderings over heaven,
- as then, when to outstrip thy skiey speed
- scarce seemed a vision; I would ne'er have striven
- as thus with thee in prayer in my sore need.
- Oh! lift me as a wave, a leaf, a cloud!
- I fall upon the thorns of life! I bleed!
- A heavy weight of hours has chained and bowed
- one too like thee: tameless, and swift, and proud.
- [V] Make me thy lyre, even as the forest is:
- what if my leaves are falling like its own!
- The tumult of thy mighty harmonies
- will take from both a deep, autumnal tone,
- sweet though in sadness. Be thou, spirit fierce,
- my spirit! Be thou me, impetuous one!
- Drive my dead thoughts over the universe
- like withered leaves to quicken a new birth!
- And, by the incantation of this verse,
- scatter, as from an unextinguished hearth
- ashes and sparks, my words among mankind!
- Be through my lips to unawakened earth
- the trumpet of a prophecy! O, wind,
- if Winter comes, can Spring be far behind?
- [I] O selvaggio vento dell’Ovest, tu alito dell’essenza
- dell’Autunno, dalla cui presenza invisibile sono mosse
- le foglie morte, come fantasmi in fuga da un incantatore,
- gialle, e nere, e pallide, e rosse di febbre,
- moltitudini afflitte da pestilenza: o, tu,
- che trasporti al loro cupo, invernale letto
- i semi con le ali, dove giacciano gelidi e in profondità,
- come un cadavere nella sua tomba, finché
- la tua azzurra sorella, la Primavera, suonerà
- sopra la Terra in sogno la sua tromba, e riempirà
- (conducendo dolci semi nell’aria come greggi al pascolo)
- con colori e profumi sgargianti, collina e pianura:
- spirito selvaggio, che ti muovi per ogni dove;
- distruttore e preservatore; ascolta, ascolta!
- [II] Tu, sul cui flusso, in mezzo al tumulto del cielo,
- nuvole passeggere sono disperse come foglie della Terra in decomposizione,
- agitate dagli intricati rami di Cielo e Oceano,
- angeli di pioggia e di fulmine; lì sono sparsi
- sull’azzurra superficie del tuo mare d’aria,
- come limpidi capelli sollevati sul capo
- di qualche fiera baccante, persino dall’incerto margine
- dell’orizzonte nel punto dello zenit,
- i riccioli della tempesta che giunge. Tu, litania funebre
- dell’anno che muore, a cui questa notte che finisce
- sarà la cupola d’un vasto monumento sepolcrale,
- sovrastato da tutto il tuo potere accumulato
- di vapori, dalla cui atmosfer solida esploderà
- pioggia nera, e fuoco, e grandine: o, ascolta!
- [III] Tu, che hai destato dai suoi estivi sonni
- il Mediterraneo azzurro, dove egli giace,
- cullato dal flutto delle onde cristalline,
- accanto ad un’isola di pomice del golfo di Baia,
- e hai visto nel sonno antichi palazzi e torri
- tremolanti nella luce diurna più splendente dell’onda,
- ricoperti tutti di muschio azzurro e fiori
- così dolci, che la percezione si perde a descriverli!
- Tu, per la cui via le indomite superfici dell’Atlantico
- si squarciano in abissi, mentre molto più giù
- i fiori del mare e i boschi di fanghiglia che vestono
- le alghe prive di vita dell’oceano scoprono
- la tua voce, e subito diventano grigi d’orrore
- e tremano e si spogliano: oh, ascolta!
- [IV] S’io fossi una foglia morta che tu potessi condurre;
- s’io fossi una nuvola rapida che volasse con te;
- un’onda per vibrare al tuo potere, e condividere
- l’impulso della tua resistenza, solo meno libero
- di te, o incontenibile! Se anche io fossi
- come da bambino, e fossi
- il compagno del tuo vagabondare in Cielo,
- come allora, quando sopravanzare la tua velocità celeste
- pareva quasi una visione; mai avrei combattuto
- in preghiera con te nella mia disperazione.
- Oh! Sollevami come onda, come foglia, come nuvola!
- Crollo sulle spine della vita! Sanguino!
- Un incombente peso ha incatenato e curvato
- qualcuno a te troppo simile: senza paura, e rapido, e orgoglioso.
- [V] Fai di me la tua lira, com’è già della foresta:
- nessun problema se le mie foglie cadono come le sue!
- Il tumulto delle tue immani armonie
- solleverà per entrambi un profondo, autunnale canto,
- dolce seppure triste. Sii tu, spirito fiero,
- il mio spirito! Sii me, spirito impetuoso!
- Guida i miei morti pensieri per l’universo
- come foglie ingiallite che stimolino una nuova nascita!
- E, per l’incanto di questa ode,
- diffondi, come ceneri e scintille da un cuore
- inesausto, la mia profezia tra tutta l’umanità!
- E sii attraverso la mia voce per la Terra dormiente
- la tromba della profezia! O vento,
- se giunge l’Inverno, può essere la Primavera così distante?
Forma e struttura
L’ode è una forma poetica che ha radici nella letteratura classica e che ha i suoi modelli in Grecia con Pindaro (522-442 a. C.) e a Roma con Orazio (65-8 a.C.). Se in Pindaro l’ode sviluppa temi solenni e pubblici con elevatezza di stile 1, nel poeta latino l’ode assume un tono più intimo e colloquiale. Nell’Inghilterra del Settecento la prima grande ode formale è l’Ode for St. Cecilia’s Day di John Dryden (1631-1700), che costituisce un punto riferimento per le generazioni letterarie successive, così che l’ode diventa il mezzo per l’espressione e la celebrazione di pensieri e sentimenti alti in un registro formale. L’Ode al vento occidentale presenta appunto queste caratteristiche, fondendole con la sensibilità romantica e lo spirito anarchico del poeta, che celebra il vento come forza rigeneratrice della Natura e dell’umanità stessa attraverso lo strumento del suo canto.
Le cinque strofe (ciascuna composta di quattordici versi in quattro terzine con distico finale 2) suddividono così l’invocazione e l’inno del poeta al vento dell’Ovest secondo una progressione tematica; la struttura formale, molto curata, prova a riprodurre sulla pagina sia le sensazioni e le impressioni scatenate dall’effetto del vento sia l’ispirazione inconscia che, attraverso il vento, fa del poeta una sorta di profeta che parla a tutti gli uomini per invitarli al rinnovamento profondo della realtà.
Strofa I: il poeta si rivolge direttamente al vento, esaltandone, nei modi propri dell’ode, il potere che è insieme distruttivo e vivificante (“destroyer and preserver”, v. 14), perché sconvolge la Natura ma allo stesso tempo la perpetua nel tempo e nelle stagioni, trasportando 3 sulla terra i semi che “risorgeranno” dalle loro tombe, cioè dalla terra, in primavera. La conclusione del distico finale, “Ascolta!” è ripetuta anche nelle due sezioni successive, che sono strettamente connesse alla prima: il poeta invoca il vento - quasi che fosse una divinità greca - per veder esauditi i propri desideri.
Strofa II: continua l’apostrofe al vento, amplificata nella similitudine con la chioma scomposta di una menade, cioè di una seguace del culto di Dioniso, dio dell’ebbrezza 4. Riprendendo il tema della morte annunciato nella prima sezione, tra la terza e la quarta terzina Shelley assimila le “urla” del vento al “lamento dell’anno che muore”; “questa notte”, cioè la fine dell’anno, sarà Tempo che diventerà Spazio: salendo verso il cielo, i vapori del vento creeranno un’ampia volta di una grande tomba (“the dome of a vast sepulchre”, v. 25) da cui cadrà pioggia, grandine e fuoco. Il vento partecipa dunque attivamente e in modo vigoroso al ciclo di vita-morte intrinseco al mondo stesso.
Strofa III: a differenza della sezione precedente, la cui disordinata sintassi sembra quasi riflettere il caos provocato dalla forza del vento, questa sezione ha invece un andamento più piano, meno convoluto. Qui il vento incontra il mare: prima il Mediterraneo, risvegliandolo dal dolce torpore dell’estate, poi l’Atlantico, sulle cui sponde il vento esercita la sua furia, terrorizzando i fiori marini e i boschi fangosi (vv. 40-41). Il potere del vento occidentale supera lo spazio e si distende nei secoli, come una forza imperitura.
Strofa IV: la prima terzina riassume verso per verso gli effetti del vento sulla terra, sul cielo e sul mare, richiamandosi a ciascuna delle tre sezioni precedenti, attraverso una precisa architettura poetica. Il poeta esplicita la sua presenza (“S’io fossi una foglia morta […] una nuvola rapida […] un’onda”, vv. 43-45) e spiega i motivi della sua invocazione al vento: se egli avesse avuto la sua forza, non lo avrebbe certo piegato a venire in suo aiuto (“I would ne’er have striven | as thus with thee in prayer in my sore need”, vv.51-52) ed è per ottenere questa forza e liberarsi da un lungo peso che egli lo ha invocato. Questo peso, come è tipico di molti poeti romantici, è la realtà quotidiana e “prosaica” rispetto al mondo ideale della “poesia”, una realtà triste che ha incatenato il poeta, che tanto somiglia (o vorrebbe somigliare) al vento (“one [man] too like thee”, v. 56).
Strofa V: dopo aver sconvolto la natura, adesso il vento viene invocato per sconvolgere l’animo dell’uomo, al punto che il poeta chiede: “fa’ di me la tua lira” (v. 57) 5 e, più avanti, “Sii tu me, o impetuoso” (v. 62). Questa richiesta di comunione col vento si collega direttamente con la figura della menade, che danzava freneticamente sentendosi invasa dal dio. Il poeta vuole immedesimarsi nel vento al punto da diventare come lui perché è dalla forza del vento, presentata nelle strofe precedenti, che egli cerca ispirazione. A differenza del modello “classico”, in cui l’ispirazione poetica giunge dalle Muse (si pensi ad esempio all’invocazione alle dee nel proemio dell’Iliade o dell’Odissea o nella quarta Bucolica di Virgilio), qui il protagonista assoluto è proprio l’elemento naturale, che è allegoria della poesia stessa: negli ultimi versi il vento è appunto “tromba della profezia” che il poeta declama per l’intera umanità.
Bibliografia:
Oltre alle opere citate in nota, si veda:
E. Cecchi, Percy Bysshe Shelley, in I grandi romantici inglesi, 2 voll., Milano, Adelphi, 1981, II, pp. 345-408.
F. R. Leavis, Da Swift a Pound: Saggi di critica letteraria, Torino, Einaudi, 1973, pp. 21-48.
M. Praz, Storia della letteratura inglese, Firenze, Sansoni, 1979, pp. 449-455.
P. B. Shelley, Opere, a cura di F. Rognoni, Torino, Einaudi-Gallimard, 1995.
1 L’ode era ad esempio la forma poetica per celebrare una vittoria sportiva.
2 La scelta del metro, influenzata anche dai sonetti shakespeariani (di cui i quattordici versi con distico richiamano la struttura), è un palese omaggio al metro utilizzato da Dante nella Commedia (e più in generale alla poesia italiana); non si dimentichi che Shelley dichiarò di aver avuto l’ispirazione per quest’ode mentre si trovava al Parco delle Cascine a Firenze; lo stesso Shelley descrive così la situazione in cui compose l’ode: “[...] un giorno in cui quel vento agitato, la cui temperatura è insieme tiepida e rinvigorente, raccoglieva i vapori che avrebbero fatto scrosciare le piogge autunnali” (H. Bloom [a cura di], Percy Bysshe Shelley, New York, Infobase Publishing, 2001, p. 50).
3 Il verbo usato da Shelley è molto efficace: “to chariot” significa infatti “trasportare su una biga”.
4 La “baccante” in arte e in letteratura viene spesso rappresentata nell’atto di una danza incontrollata e sfrenata, con i capelli sciolti; da qui anche il riferimento ai “riccioli della tempesta che giunge” (“the locks of the approaching storm”, v. 23).
5 La lira era uno strumento di alto valore simbolico per i poeti romantici; si veda la poesia di Samuel Taylor Coleridge (1772-1834) L’arpa eolica (1796).