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Verga, "Vita dei campi": introduzione alla raccolta

Introduzione

 

Vita dei campi è una raccolta di otto novelle (nell’ordine: Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso Malpelo, Cavalleria rusticana, La lupa, L’amante di Gramigna, Guerra di santi, Pentolaccia) di Giovanni Verga pubblicata dall’editore milanese Treves nel 1880. Oltre a contenere una delle novelle più note dell’auotre siciliano, è considerata un anello di congiunzione fondamentale tra le prime opere verghiane (come Storia di una capinera, Eva o Nedda) e il ciclo romanzesco dei “vinti”, aperto da I Malavoglia nel 1881.

 

Tematiche, modelli e contenuti

 

Preceduta da una raccolta di carattere intermedio come Primavera e altri racconti (Brigola, 1876), in cui comunque l’autore manifestava il suo favore per le posizioni del realismo letterario, Vita dei campi riunisce testi già usciti su rivista nel biennio 1878-1880 1. Nel corso degli anni l’autore rivede più volte Vita dei campi, aggiungendo o togliendo testi e intervenendo spesso sulla forma delle novelle stesse; tuttavia, è la prima edizione del 1880 a riassumere al meglio i criteri e le linee portanti del “metodo” verista.

Le trame delle novelle ricostruiscono allora il microcosmo di un mondo arcaico ed ancestrale, che spesso risulta del tutto alieno rispetto alle abitudini urbane e borghesi dei lettori (come spiega Fantasticheria, il testo di apertura che ha un’importante funzione di introduzione e prefazione complessiva). I temi portanti della raccolta sono così la radicale distanza tra il mondo moderno e l’incontaminato mondo di natura siciliano (come in Jeli il pastore), l’analisi impietosa delle leggi di sopraffazione del più debole (come in Rosso Malpelo), i drammi dell’amore e della gelosia (come in Cavalleria rusticana, La lupa o Guerra di santi), senza dimenticare l’importanza di chiarire i risvolti teorici della propria scrittura (la Prefazione all’Amante di Gramigna).

Verga arriva a Vita dei campi dopo anni determinanti per la sua formazione: il contatto con il gruppo milanese degli Scapigliati, la lettura dei grandi maestri del naturalismo francese (dal Balzac della Commedia umana fino allo Zola del ciclo dei Rougon-Macquart) e il crescente interesse di quegli anni per la cosiddetta “questione meridionale” (sostenuta dall’inchiesta La Sicilia nel 1876 dei parlamentari Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino e dalle Lettere meridionali dello storico Pasquale  Villari) indirizzano evidentemente i gusti verghiani, stimolati pure dall’amicizia con Luigi Capuana (uno dei primi teorici del verismo) e dalla costante riflessione teorica su mezzi e finalità dell’atto narrativo.

 

Lo stile di Vita dei campi

 

Obiettivo di Verga è riprodurre e ricreare sulla pagina il mondo popolare siciliano secondo un’ottica che non sia né quella intrinsecamente superiore (e spesso sprezzante) dell’intellettuale e del letterato, né quella ingenua e superficiale dell’empatia populistica per le classi più umili. L’autore cioè vuole evitare sia la prospettiva distaccata di un osservatore esterno sia cadere nel facile tranello di immedesimarsi troppo nei protagonisti delle proprie narrazioni. Si capisce che l’operazione verghiana è tanto stilistica quanto ideologico-concettuale: raccontare al pubblico milanese la Sicilia più remota significa innanzitutto mostrare gli esiti del Progresso, vero e proprio mito per la corrente filosofica del Positivismo allora dominante, o della Marea (così Verga voleva titolare il suo incompiuto “ciclo”) sulle classi più deboli. Ma per fare ciò è anche necessario impiegare gli strumenti tecnico-stilistici più appropriati: occorre abbandonare volontariamente il punto di vista del narratore borghese per modellare la propria visione del mondo (e, di conseguenza, la propria lingua) su quello di ciò che si vuol descrivere, provando ad aderire ad una mentalità corale e collettiva, non sempre affidabile nel giudizio sui protagonisti (come esemplarmente dimostrato da Rosso Malpelo).

L’indiretto libero verghiano (e cioè quella forma ibrida tra discorso diretto e discorso indiretto, che mescola alla parola del narratore quella dei suoi personaggi) e la contaminazione linguistica tra lingua ufficiale e sintassi modellata su quella del siciliano, muovono quindi in una direzione nettamente antiletteraria, riproducendo sulla pagina scritta idee, abitudini, convenzioni discorsive, modi di dire e proverbi, fenomeni tipici dell’oralità, che vogliono portare in primo piano i veri protagonisti delle vicende narrate che rappresentano. Questo è allora il carattere davvero innovativo non solo di Vita dei campi ma anche de I Malavoglia.

1 Questo particolare svela un elemento importante ovvero l’esistenza di un doppio canale di comunicazione col pubblico: il primo è costituito dai periodici, diffusissimi all’epoca, e l’altro dalla pubblicazione di libri veri e propri, siano essi raccolte di racconti brevi o romanzi lunghi. Com’è noto, le novelle di Verga sono spesso un “terreno di prova” per i romanzi dell'autore stesso.