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"Forse che sì forse che no": Gabriele D'Annunzio e le ultime prose

L’importante parentesi delle Laudi nei primi anni del secolo e il tempo investito nell’intraprendere la carriera teatrale (che dal 1898 in poi, sulla scorta del legame sentimentale con la Duse assicura al Vate un nuovo canale d’intesa col pubblico medio, pur senza concretizzarsi in opere di livello pari a quelle poetiche o narrative) segnano una frattura nella produzione romanzesca, che, da Il Piacere in poi aveva visto D’Annunzio, tra scandali e innovazioni formali, al centro dell’attenzione dei lettori.

 

Forse che sì forse che no segna allora il ritorno nel 1909 alla prosa narrativa, con una vicenda che si riallaccia da un lato ai temi dominanti (l’estetismo, il decadentismo, la suggestione superomistica) delle opere precedenti (come ne Le vergini delle rocce o ne Il fuoco), ma dall’altro sviluppa i nuovi interessi dannunziani, sempre con lo scrupolo di tener d’occhio le mode e le tendenze più attuali. La trama, non a caso, è ambientata nel mondo della nascente aviazione: il protagonista, Paolo Tarsis, vive una torbida e convulsa storia d’amore con Isabella Inghirami, cui presto s’aggiungono Vana, sorella di Isabella e innamorata di Paolo, ed Aldo, fratello delle due e coinvolto in una relazione incestuosa segreta con Isabella. Quando Vana svela a Paolo la natura dei rapporti tra l’amata e Aldo, il protagonista fa una scenata di gelosia ad Isabella, mentre nel frattempo la stessa Vana, ossessionata dalla passione non corrisposta, si suicida. Progressivamente, anche Isabella perde la ragione e Paolo può sfogare le sue forze solo nelle competizioni aeree: dopo aver trionfato in una gara aviatoria in cui perirà l’amico Giulio, egli riuscirà a compiere una rischiosa trasvolata dal Lazio alla Sardegna.
Lo stile e la struttura quasi preannunciano la fase “notturna” a venire: la tendenza al frammento e l’insistenza sulle riprese ritmico-simboliche per far progedire la vicenda sono del resto in sintonia con ciò che D’Annunzio scriverà negli anni successivi. A partire dal 1911 D’Annunzio inizia una collaborazione con il «Corriere della Sera» con brevi prose di carattere impressionistico, il cui tono (quelle “faville” che indicano ciò che resta dell’attività fabbrile del poeta, che raccoglierà i suoi testi in volume tra il 1924 e il 1928, sotto il titolo Faville del maglio) è allora quello di un diarismo che si concentra sull’autoanalisi psicologica, o dell’abbozzo descrittivo e anti-narrativo, che procede per minime parti. La sperimentazione sulle forme brevi prosegue con Leda senza cigno (1913), racconto pubblicato sempre sulle colonne del «Corriere» a cui l’autore aggiunge nel 1916 una corposa Licenza. Dopo l’ultima grande esperienza del Notturno (1921), che porta alle estreme conseguenze la rarefazione stilistica e il simbolismo del Vate, quest’ultimo, ormai confinato nel mausoleo personale del Vittoriale a Gardone Riviera, si dedicherà solo sporadicamente alla scrittura: del 1928 è il romanzo Il compagno dagli occhi senza cigli, del 1935 sono le Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire, meglio noto come Libro segreto.