Introduzione
Nell’architettura del Purgatorio e, ancor più, nella stessa struttura complessiva della Commedia, il canto XXX rappresenta uno snodo fondamentale: assistiamo infatti all’entrata in scena di Beatrice, che è allegoria della Teologia, e alla scomparsa di Virgilio, che ha accompagnato sin qui il poeta. Seguono gli aspri rimproveri della donna a Dante per il suo periodo di crisi e di traviamento, che lo hanno quasi condannato alla dannazione infernale.
Riassunto
All’apertura del canto, ci troviamo ormai nel Paradiso Terrestre, in prossimità del fiume Letè, dove, immergendosi, le anime si purificano per dimenticare i peccati terreni ed ascendere al Paradiso vero e proprio; davanti agli occhi di Virgilio e del poeta scorre ancora la processione dei “ventiquattro seniori” (Purgatorio, canto XXIX, v. 83) che aveva chiuso il canto precedente. Il momento è quello, sempre altamente significativo in Dante, dell’alba. Ad un certo punto, mentre s’intona un versetto del Cantico dei Cantici (vv. 10-12: “e un di loro, quasi da ciel messo, | 'Veni, sponsa, de Libano' cantando | gridò tre volte, e tutti li altri appresso”), si stacca una figura, di rosso e verde vestita e avvolta in una nuvola di fiori, che Dante intuisce essere la donna da lui sempre amata, Beatrice (vv. 33-39). Tale è lo sbigottimento che Dante, come un fanciullo che accorra dalla madre, si volge a Virgilio, che però, compiuta la sua missione, è ormai scomparso. Il tributo umano e letterario di Dante al proprio maestro giunge quindi in un momento di grande carica emotiva, con un omaggio finale e definitivo, fatto tra lacrime di commozione, che ricalca fedelmente il verso di Didone nel quarto libro dell’Eneide (vv. 46-48: “per dicere a Virgilio: «Men che dramma | di sangue m'è rimaso che non tremi: | conosco i segni de l'antica fiamma»”). Tra il poeta latino e la nuova guida di Dante è in atto un vero e proprio passaggio di consegne: a Virgilio, allegoria della Ragione e della conoscenza, si sostituisce la Beatrice celeste, simbolo della Teologia, risorsa fondamentale per accedere all’ultimo regno.
Ma l’incontro con la donna amata non va come forse Dante aveva sperato: aspro è infatti il rimprovero di lei per il traviamento esistenziale che l’ha condotto alle soglie della dannazione infernale, tanto che Dante, a sentir Beatrice, non dovrebbe piangere per la perdita dell’amico, ma per ben più gravi mancanze (vv. 55-57: “«Dante, perché Virgilio se ne vada, | non pianger anco, non piangere ancora; | ché pianger ti conven per altra spada»”). Il tutto si spiega all’interno del rituale di ammenda e purificazione delle proprie colpe che il pellegrino Dante deve effettuare; anche le parole in sua difesa da parte delle altre anime attraverso salmi biblici non servono a smuovere l’implacabile Beatrice. La contrizione del protagonista (resa con la mirabile similitudine delle nevi appenniniche in disgelo, vv. 85-90) scoppia in un pianto doloroso è solo l’anticipo ad una nuova arringa d’accusa. Dante, pur in possesso di tutte le facoltà per operare per il bene (vv. 115-117: “questi fu tal ne la sua vita nova | virtüalmente, ch'ogne abito destro | fatto averebbe in lui mirabil prova”), sarebbe andato incontro ad un cupo periodo di traviamento esistenziale dopo la morte di Beatrice (cui alluderebbe anche l’allegoria della Filosofia nel Convivio). Quindi, è necessario che il poeta si penta: l’espiazione delle colpe sarà il viatico per il proseguimento del viaggio.
Tematiche e personaggi
Beatrice e il Paradiso terrestre
L’ingresso in scena di Beatrice, preparato sin dal ventiquattresimo canto con la riflessione dantesca sullo Stilnovismo giovanile e sulla poetica della lode, celebra qui, al massimo grado, l’unione in lei di dimensione umana (Beatrice conserva tratti del tutto terreni, nel suo essere “proterva” 1 e nel rassomigliare ad una madre “superba” 2 che rimprovera il figlio) e dimensione divina (lei stessa dichiara, ai vv. 133-135, di aver richiesto l’intervento provvidenziale per salvare Dante, e tutto il canto è fitto di richiami cristologici); questa circostanza - oltre a giustificare l’addio commosso al “dolce duca” Virgilio - permette a Dante di completare non solo il suo percorso di redenzione, ma anche di dare una lettura univoca e rettilinea della sua vita umana e poetica.
Il canto trentesimo, non a caso, disegna una forte linea di continuità con la Beatrice della Vita nova: la spiritualizzazione dell’amata è la precondizione per poter fare di Beatrice la guida fondamentale per tutto il Paradiso (almeno fino al canto trentatreesimo), cui qui si sovrappone un nuovo livello di lettura. Infatti, qui a Beatrice è il fulcro attorno a cui rileggere un’intera esperienza: la materia sacra che Dante si accinge a cantare nella nuova cantica impone che non solo la sua poesia giovanile ma tutto il suo essere uomo e poeta siano posti ad un vaglio preventivo. Si spiega anche così il duro rimprovero di Beatrice, che per due volte (vv. 55-81 e vv. 100-145) chiede conto a Dante del modo in cui ha sperperato la sua “larghezza di grazie divine” (v. 112). Se la critica dantesca ha già chiarito che la colpa di Dante di darsi “altrui” (v. 126) può alludere sia a motivi più “terreni” (come l’amore sensuale per altre donne) sia a problematiche filosofico-morali (l’amore per la conoscenza e il sapere che allontana il poeta dalla concezione dell’amore-virtù e dal cammino verso la salvezza eterna), conta anche che Dante, attraverso l’apparizione di Beatrice, voglia sottoporre ad una netta revisione (si pensi alla splendida similitudine del suo pianto, che sgorga come le nevi dell’Appennino al disgelo 3) tutto il suo itinerario di poeta, di intellettuale, di uomo.
Nel Paradiso terrestre 4 il passaggio fondamentale, propedeutico alla terza cantica, è il passaggio da qualsiasi tipo di passione ed inclinazione terrena (sia essa per una donna concreta, per la poesia o per la Filosofia) ad una nuova “scienza”, la Teologia, che interpreti e spieghi tutta la realtà in funzione del divino che Dante sta per contemplare. E si tenga presente che per Dante ciò non vuol dire svalutare ciò che è avvenuto in precedenza, ma rileggerlo in un’ottica più ampia e più grande; in tal senso, il più grande atto di umiltà di Dante (e di ogni uomo) è ammettere i propri errori 5.
1 Purgatorio XXX, v. 70.
2 Ivi, v. 79.
3 Purgatorio XXX, vv. 85-90.
4 Significativo che, nella geografia ultraterrena, Dio abbia voluto lasciare questo luogo libero dal peccato originale; per questo motivo le anime sono solamente di passaggio prima di salire in Paradiso. Nella tradizione cristiana dell’Eden converge poi tutta la tradizione del locus amoenus classico (ovvero quei luoghi puri ed incontaminati dove la vita degli umani poteva assomigliare a quella degli dei), i miti dell’Età dell’Oro, il patrimonio mitologico medio-orientale (dalla civiltà sumera a quella iranica) ed egizio.
5 Evidente quindi la specularità tra il primo e il trentesimo canto: là Catone, dimbolo di libertà e magnanimità, aveva suggerito a Dante di recingersi col giunco e di sciacquarsi il volto con la rugiada (vv. 112-136); qui il pianto del poeta è simbolo del dell’ultima purificazione di sè.