Nel trentesimo canto del Purgatorio, Dante arriva ad un passo fondamentale del suo percorso umano e spirituale: giunto nel Paradiso terrestre, egli può incontrare, in una scena carica di emozione e di timore, Beatrice, che lo rimprovera aspramente per il traviamento etico e filosofico cui egli è andato incontro dopo la morte dell’amata. Ma, come sempre nella Commedia, il piano autobiografico e personale si fonde sempre con quello trascendente ed universale: il commovente addio a Virgilio, maestro e guida accorta e compassionevole sino al v. 51 di questo canto, diventa il passaggio di testimone dalla Ragione alla Teologia, che guiderà il poeta nei suoi passi verso il Paradiso.
- Quando il settentrïon del primo cielo,
- che né occaso mai seppe né orto 1
- né d’altra nebbia che di colpa velo,
- e che faceva lì ciascuno accorto
- di suo dover, come ’l più basso face
- qual temon gira per venire a porto,
- fermo s’affisse: la gente verace,
- venuta prima tra ’l grifone ed esso,
- al carro volse sé come a sua pace 2;
- e un di loro 3, quasi da ciel messo,
- ’Veni, sponsa, de Libano’ 4 cantando
- gridò tre volte 5, e tutti li altri appresso.
- Quali i beati al novissimo bando
- surgeran presti ognun di sua caverna,
- la revestita voce alleluiando,
- cotali in su la divina basterna 6
- si levar cento, ad vocem tanti senis 7,
- ministri e messagger di vita etterna.
- Tutti dicean: ’Benedictus qui venis!’ 8,
- e fior gittando e di sopra e dintorno,
- ’Manibus, oh, date lilïa plenis!’ 9.
- Io vidi già nel cominciar del giorno
- la parte orïental tutta rosata,
- e l’altro ciel di bel sereno addorno;
- e la faccia del sol nascere ombrata,
- sì che per temperanza di vapori
- l’occhio la sostenea lunga fïata:
- così dentro una nuvola 10 di fiori
- che da le mani angeliche saliva
- e ricadeva in giù dentro e di fori,
- sovra candido vel cinta d’uliva
- donna 11 m’apparve, sotto verde manto
- vestita di color di fiamma viva 12.
- E lo spirito mio, che già cotanto
- tempo era stato ch’a la sua presenza
- non era di stupor, tremando, affranto,
- sanza de li occhi aver più conoscenza,
- per occulta virtù che da lei mosse,
- d’antico amor sentì la gran potenza.
- Tosto che ne la vista mi percosse
- l’alta virtù che già m’avea trafitto
- prima ch’io fuor di püerizia fosse,
- volsimi a la sinistra col respitto
- col quale il fantolin corre a la mamma
- quando ha paura o quand'elli è afflitto,
- per dicere a Virgilio: “Men che dramma
- di sangue m’è rimaso che non tremi:
- conosco i segni de l’antica fiamma 13”.
- Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
- di sé, Virgilio dolcissimo patre,
- Virgilio a cui per mia salute die’mi 14;
- né quantunque perdeo l’antica matre,
- valse a le guance nette di rugiada
- che, lagrimando, non tornasser atre.
- "Dante 15, perché Virgilio se ne vada,
- non pianger anco, non piangere ancora;
- ché pianger ti conven per altra spada 16".
- Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
- viene a veder la gente che ministra
- per li altri legni, e a ben far l’incora;
- in su la sponda del carro sinistra,
- quando mi volsi al suon del nome mio,
- che di necessità qui si registra 17,
- vidi la donna che pria m’appario
- velata sotto l’angelica festa,
- drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio.
- Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
- cerchiato de le fronde di Minerva 18,
- non la lasciasse parer manifesta,
- regalmente ne l’atto ancor proterva
- continüò come colui che dice
- e ’l più caldo parlar dietro reserva:
- "Guardaci 19 ben! Ben son, ben son Beatrice.
- Come degnasti d’accedere al monte?
- non sapei tu che qui è l’uom felice 20?".
- Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte 21;
- ma veggendomi in esso 22, i trassi a l’erba,
- tanta vergogna mi gravò la fronte.
- Così la madre al figlio par superba,
- com’ella parve a me; perché d’amaro
- sente il sapor de la pietade acerba 23.
- Ella si tacque; e li angeli cantaro
- di sùbito ‘In te, Domine, speravi’ 24;
- ma oltre ‘pedes meos’ non passaro.
- Sì come neve tra le vive travi
- per lo dosso d’Italia si congela,
- soffiata e stretta da li venti schiavi 25,
- poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
- pur che la terra che perde ombra 26 spiri,
- sì che par foco fonder la candela;
- così fui sanza lagrime e sospiri
- anzi ’l cantar di quei che notan sempre
- dietro a le note de li etterni giri 27;
- ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre
- lor compartire a me 28, par che se detto
- avesser: ’Donna, perché sì lo stempre 29?’,
- lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
- spirito e acqua fessi, e con angoscia
- de la bocca e de li occhi uscì del petto.
- Ella, pur ferma in su la detta coscia
- del carro stando, a le sustanze pie
- volse le sue parole così poscia:
- "Voi vigilate ne l’etterno die,
- sì che notte né sonno a voi non fura 30
- passo che faccia il secol per sue vie;
- onde la mia risposta è con più cura
- che m’intenda colui che di là piagne,
- perché sia colpa e duol d’una misura.
- Non pur per ovra de le rote magne,
- che drizzan ciascun seme ad alcun fine
- secondo che le stelle son compagne 31,
- ma per larghezza di grazie divine,
- che sì alti vapori hanno a lor piova,
- che nostre viste 32 là non van vicine,
- questi fu tal ne la sua vita nova 33
- virtüalmente, ch’ogne abito destro 34
- fatto averebbe in lui mirabil prova 35.
- Ma tanto più maligno e più silvestro
- si fa ’l terren col mal seme e non cólto,
- quant’elli ha più di buon vigor terrestro 36.
- Alcun tempo il sostenni col mio volto:
- mostrando li occhi giovanetti a lui,
- meco il menava in dritta parte vòlto 37.
- Sì tosto come in su la soglia fui
- di mia seconda etade e mutai vita,
- questi si tolse a me, e diessi altrui 38.
- Quando di carne a spirto era salita,
- e bellezza e virtù cresciuta m’era,
- fu’ io a lui men cara e men gradita;
- e volse i passi suoi per via non vera,
- imagini di ben seguendo false,
- che nulla promession rendono intera.
- Né l’impetrare ispirazion mi valse,
- con le quali e in sogno e altrimenti
- lo rivocai: sì poco a lui ne calse!
- Tanto giù cadde, che tutti argomenti
- a la salute sua eran già corti,
- fuor che mostrarli le perdute genti 39.
- Per questo visitai l’uscio d’i morti,
- e a colui che l’ ha qua sù condotto,
- li preghi miei, piangendo, furon porti.
- Alto fato di Dio sarebbe rotto,
- se Letè si passasse e tal vivanda 40
- fosse gustata sanza alcuno scotto
- di pentimento che lagrime spanda 41".
- Quando le sette stelle dell’Empireo
- che mai conobbero tramonto o nascita
- né altra nebbia se non il velo della colpa,
- e che lì li rendevano consci ognuno
- del suo dovere, come l’Orsa Minore fa
- con chi gira il timone per rientrare in porto,
- si fermarono: i ventiquattro seniori,
- giunti prima tra il grifone ed il carro,
- si volsero verso questo per la loro pace;
- ed uno di loro, quasi mandato dal cielo,
- ‘Vieni, o sposa, del Libano’ cantando
- gridò tre volte, e tutti gli altri dopo di lui.
- Come i beati nel Giudizio Universale
- risorgeranno rapidi dalle loro tombe,
- la voce di nuovo vestita intonerà l’Alleluia,
- così sul carro divino si innalzarono
- moltissimi tra angeli, ministri e messaggeri
- al grido di un tale venerabile vecchio.
- Tutti dicevano: ‘Benedetto tu che vieni!’,
- e gettavano fiori da sopra e dai lati,
- ‘oh date, spargete i gigli a mani piene!’
- Io vidi già con il sorgere del sole
- la parte ad oriente divenire tutta rosa,
- e il resto del cielo splendidamente sereno;
- ed il sole stesso sorgeva velato,
- così che, per il filtro dei vapori,
- l’occhio poteva sostenerne più a lungo la vista:
- così in una nuvola di fiori
- che saliva dalle mani degli angeli
- e ricadeva in terra ed in ogni dove,
- posta su un candido velo coronata d’ulivo
- mi apparve una donna, coperta da un manto
- verde con un vestito di color rosso vivo.
- Ed il mio spirito, che ormai da molto tempo
- non sentiva più lo stupore ed il turbamento
- legato alla sua presenza e visione,
- anche senza averla riconosciuta con gli occhi
- per una misteriosa virtù che partì da lei,
- sentì ancora la forza dell’antico amore.
- Non appena alla vista mi colpì
- il grande potere che già mi aveva colpito
- durante il periodo dell’adolescenza,
- mi voltai a sinistra con l’ansia
- con la quale il bambino corre dalla madre
- quando ha paura o prova dolore,
- per dire a Virgilio: “Neanche una goccia
- di sangue mi è rimasto che non trema:
- riconosco i segni dell’antico amore”.
- Ma Virgilio non aveva lasciato tracce
- della sua presenza, Virgilio dolcissimo padre,
- Virgilio a cui mi diedi per la mia salvezza;
- neanche tutto ciò che Eva perse
- valse a non farmi sporcar con le lacrime
- le guance prima pulite dalla rugiada.
- “Dante, non piangere più, non piangere
- perchè Virgilio se ne va,
- perchè piangerai per ben altro dopo”.
- Come un ammiraglio che da poppa a prua
- controlla il lavoro dei marinai a cui
- sono affidate le navi e li incoraggia a fare bene;
- così sul lato sinistro del carro,
- quando mi girai sentendomi chiamato,
- che qui è scritto per necessità,
- vidi la donna che prima mi apparve
- celata da una festa angelica,
- guardarmi con gli occhi al di qua del fiume.
- Nonostante il velo che le cingeva la fronte,
- cinto dalla corona di ulivo,
- non la rendesse visibile chiaramente,
- sempre regalmente altera nel suo essere,
- continuò come colui che parla lasciando
- per ultimi l'argomento più importante:
- “Guarda qui bene! Sono io, sono Beatrice.
- Come ti reputi degno di accedere al monte?
- Non sai che qui sono solo gli uomini felici?”.
- Abbassai lo sguardo sulle acque del Lete,
- ma vedendomi in esso, lo spostai sull’erba,
- tanto mi vergognavo di me stesso.
- Come la madre sembra al figlio spietata
- nel rimprovero, così lei sembrò a me,
- poiché è duro l’affetto materno nel rimprovero.
- Lei tacque; e gli angeli subito iniziarono
- a cantare: ‘In te, o Signore, speravo’;
- ma oltre le parole ‘i miei piedi’ non proseguirono.
- Così come la neve si congela sugli alberi
- degli Appenini d’Italia,
- ghiacciata e indurita dai venti schiavoni,
- poi, scioltasi, gocciola dall’alto al basso,
- non appena l’Africa manda i suoi venti,
- così che sembra il fuoco che consuma la candela;
- così rimasi senza lacrime e senza sospiri
- prima che il canto di quelli che si accordano
- sempre con le note delle sfere celesti;
- ma quando capii che col canto partecipavano
- al mio sentimento, sembrava
- che avessero detto: ‘Donna, perchè lo umili così?’.
- Il gelo che mi si era formato attorno al cuore,
- diventò sospiro e pianto, con dolore dal petto
- uscirono lacrime dalla bocca e dagli occhi.
- Lei, sempre restando ferma sul lato sinistro
- del carro, rivolse le sue parole
- agli angeli che erano stati pii con me:
- “Voi vigilate nella luce eterna di Dio,
- così che né ignoranza né stanchezza vi priva
- di qualsiasi evento che avviene nel mondo dei vivi;
- perciò la mia risposta è da essere intesa
- con più attenzione da chi piange di là dal Lete,
- così che ogni colpa sia equivalente al dolore.
- Non soltanto per l’influsso dei cieli
- che indirizzano ognuno verso un fine preciso
- in base alle costellazioni che lo accompagnano,
- ma anche per l’abbondanza di grazie divine,
- che scendono come pioggia da vapori così alti,
- che neanche angeli e beati li possiamo vedere,
- [per queste cause] lui in gioventù fu potenzialmente
- tale che che ogni inclinazione
- morale avrebbe dato una mirabile dimostrazione.
- Ma un terreno diventa tanto più cattivo e selvatico
- con i semi cattivi e non coltivati, [e ciò accade]
- tanto più il terreno ha vigore e buone qualità.
- Per un periodo lo aiutai con la mia presenza:
- mostrandogli il mio viso adolescente, e con me
- lo portavo e lo volgevo sulla retta via.
- Non appena giunsi all’inizio della giovinezza
- e morii, questi si allontanò da me,
- e si diede ad altra donna.
- Quando divenni da carne a spirito,
- e la mia bellezza e virtù aumentate,
- io fui meno cara e gradita a lui;
- e indirizzò il suo cammino verso una via
- sbagliata, seguendo immagini illusorie,
- che non mantengono mai le promesse realmente.
- Non mi servì ottenere da Dio influssi positivi
- per lui, con le quali sia in sogno sia in altro modo
- lo richiamai: così poco gli importava!
- Cadde talmente in basso, che ogni rimedio
- per salvarlo era ormai inutile e insufficiente,
- se non mostrargli la sorte dei dannati.
- Per questo motivo mi recai presso la porta degli Inferi
- e le mie preghiere, piangendo,
- furono rivolte a colui che lo ha accompagnato fin qui.
- La volontà divina sarebbe infranta,
- se si oltrepassasse il Lete e se le sue acque
- fossero gustate senza pagarne il prezzo
- del pentimento e senza versare lacrime”.
1 né occaso mai seppe né orto: i due latinismi contribuiscono ad elevare lo stile delle prime tre terzine, in consonanza con l’importanza del tema e della situazione descritta.
2 Le prime terzine del trentesimo canto del Purgatorio si aprono con una complessa immagine astronomica, che descrive la processione, iniziata nel canto precedente, dei ventiquattro seniori (che simboleggiano i libri del Vecchio Testamento) e il suo arrestarsi; i personaggi si voltano così in direzione del “carro" (v. 9).
3 un di loro: simboleggia il Cantico dei Cantici di Salomone (1011-931 circa a.C.), re ebraico e successore di David.
4 Veni, sponsa, de Libano: verso rielaborato dal Cantico dei Cantici (IV, 8), che qui serve da invocazione per l’arrivo di Beatrice.
5 Nel testo biblico il “Veni” è ripetuto tre volte: “Veni de Libano, sponsa mea, | veni de Libano, veni”.
6 basterna: è una voce del latino medievale che indica una specie di carrozza per donne e matrone.
7 ad vocem tanti senis: questa frase latina è stata scelta da Dante non in quanto citazione, ma per esigenza di rima con i successivi versi 19 e 21.
8 Benedictus qui venis: con queste parole Cristo viene salutato all’ingresso di Gerusalemme (Matteo 21, 9; Marco 11, 10; Luca 19, 38); ancor più significativo, dunque, che tale invocazione sia qui rivolta a Beatrice, che sta per giungere sulla scena.
9 Manibus, oh, date lilïa plenis: Queste sono parole pronunciate da Anchise in lode di Marcello nel sesto libro dell’Eneide (v. 883); Dante omaggia in tal modo il maestro, da cui ora si sta separando per sempre. Dal punto di vista metrico, l’”oh” viene inserito per rispettare la misura dell’endecasillabo.
10 nuvola: la nuvola attraverso la quale appare Beatrice può essere messa in parallelo con il vapore che cela il sole alla vista, così da non essere insostenibile la sua visione agli occhi; al contempo però si nota un rimando alla Vita Nova (XXIII, 7) e all’apparizione in sogno della donna amata da Dante.
11 donna: è Beatrice, la donna amata da Dante in terra. Il ruolo di Beatrice da questo momento in poi sarà quello di guida per Dante, così come lo è stato Virgilio finora.
12 I colori dell’apparizione di Beatrice sono i colori delle virtù teologali: il velo candido simboleggia la Fede, il mantello verde la Speranza, ed infine il vestito rosso è la Carità; la ghirlanda di ulivo può essere o il simbolo della pace o - essendo una pianta cara a Minerva - della sapienza.
13 conosco i segni de l’antica fiamma: si può leggere in questo verso (come nel precedente v. 39) un’altra forma esplicita di congedo dall’amato Virgilio, di cui si riecheggia il celebre verso con cui Didone confessa l’amore per Enea, giunto da poco a Cartagine: “Adgnosco veteris vestigia flammae” (Eneide, IV, 24; cioè: “Riconosco i segni dell’antica passione”).
14 Virgilio a cui per mia salute die’mi: Virgilio a cui avevo affidato me stesso affinchè mi conducesse alla salvezza spirituale. Data la situazione, il tono si fa molto affettuoso e partecipato: il nome “Virgilio” è ripetuto in ogni verso della terzina, quasi in un tentativo estremo di richiamarne la presenza, svanita imporvvisamente nell’aria. E il pensiero di Dante va automaticamente al primo canto dell’Inferno, in cui si era consegnato completamente nelle mani del poeta latino per sfuggire alle fiere della selva.
15 Quando inizia a parlare, Beatrice pronuncia esplicitamente il nome del poeta, che qui compare per la prima e unica volta in tutto il poema e che servirà per un duro rimprovero per le lacrime che egli sta versando.
16 altra spada: per un dolore maggiore; Beatrice allude ai peccati in cui è caduto Dante, che sono cosa ben più grave rispetto alla commozione che ora il poeta dimostra.
17 che di necessità qui si registra: Dante specifica che in questo caso il suo nome sia presente in forma esplicita e non sotto forma di perifrasi per un motivo ben chiaro (“di necessità”), ovvero quello di sottolineare in maniera forte e netta il collegamento che c’è tra il suo passato amore terreno per Beatrice e il ruolo da lei assunto (quello della Teologia che guida il poeta sino a Dio) nel Paradiso terrestre.
18 Minerva: l’ulivo è l’albero sacro a Minerva, dea romana della guerra e della saggezza.
19 Guardaci: qui la particella “ci” ha valore di avverbio, nel senso di “guarda qui con attenzione il Paradiso terrestre, e considera come ti sei potuto ritener degno di salire qui”. Da questo aspro rimprovero nasce la vergogna di Dante nei versi successivi.
20 l'uom felice: l’uomo privo da ogni colpa e peccato.
21 nel chiaro fonte: è il fiume mitologico del Lete, le cui acque avevano la proprietà di indurre l’oblio delle colpe terrene. Viene ricordato anche nella Repubblica di Platone e nell’Eneide virgiliana.
22 veggendomi in esso: le acque del Lete sono così limpide che ci si può specchiare, ma ciò significa anche che il rispecchiarsi coincide con la consapevolezza della propria natura e la conseguente vergogna nel vedersi imbruttito in volto dai peccati commessi.
23 Dante paragona il suo stato d’animo a quello di un figlio nei confronti della madre quando, senza che venga meno l’amore materno, viene rimproverato per aver commesso un’azione negativa.
24 Si tratta del Salmo 30, di cui, come dice Dante, vengono recitati solo i primi otto versetti. Nel salmo, si canta appunto la certezza della misericordia divina.
25 venti schiavi: i venti provenienti da Nord-Est (la Schiavonia è una regione corrispondente all’ex Jugoslavia), e cioè freddi.
26 la terra che perde ombra: l’Africa, in quanto è la terra in cui l’ombra dei corpi quasi non esiste, essendo verso l’Equatore.
27 di quei che notan sempre | dietro a le note de li etterni giri: perifrasi per indicare gli angeli.
28 ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre | lor compartire a me: anche gli angeli con il loro canto partecipano emotivamente alla sofferenza e all’angoscia del poeta e sembra che chiedano una spiegazione di questo comportamento alla stessa Beatrice.
29 stempre: composto di “temperare”, che significa “togliere forza e vigore” con le dure accuse dei versi precedenti (vv. 73-75).
30 fura: è un latinismo da furo, as, avi, atum, are, cioè “rubare”.
31 secondo che le stelle son compagne: Beatrice allude alla credenza secondo la quale le stelle influiscono sul carattere e sulle inclinazioni di una persona dal momento della nascita.
32 nostre viste: cioè, "neanche la vista di noi angeli ha la possibilità di vedere nel disegno di Dio".
33 vita nova: la giovinezza di Dante.
34 destro: ovvero “positivo, favorevole all’agire morale”.
35 I versi sviluppano l’immagine per cui gli “alti vapori” (ovvero il favore imperscrutabile di Dio e dei suoi disegni, invisibili anche per i beati), sono scesi su Dante e, insieme con il favore delle stelle (vv. 109-111), già dalla giovinezza dovevano assicurare potenzialmente (“virtüalmente”) al poeta la facoltà di compiere grandi cose, soprattutto per quanto riguarda la condotta morale. Da qui si capisce la durezza del rimprovero di Beatrice: Dante ha sprecato tutte le ottime doti che aveva in partenza.
36 quant’elli ha più di buon vigor terrestro: nel senso che un animo assai predisposto al bene e alla giustizia si corrompe molto di più se cede al male e al peccato.
37 vólto [...] vòlto: da notare qui la rima equivoca: nel primo caso il termine significa “viso”, nel secondo è participio passato del verbo “volgere”.
38 diessi altrui: allusione a ciò che viene raccontato nella Vita Nova e poi nel Convivio, ovvero la passione di Dante per una “donna gentile”, poi allegoricamente identificata con la Filosofia.
39 perdute genti: i dannati. Beatrice ribadisce un concetto che era già comparso all’inizio dell’Inferno: il viaggio è voluto da Dio per salvare l’anima del poeta.
40 tal vivanda: l’acqua del Lete cancella i ricordi dei peccati.
41 Beatrice chiude il suo acceso discorso sottolineando ancora i peccati di Dante, e chiarendo che la vergogna e il dolore sono necessari per rispettare l’"alto fato di Dio”: non è possibile infatti godere delle acque del Lete senza un sincero e profondo pentimento.