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Vico, la “Scienza nuova” e le tre età della storia

Introduzione

 

La Scienza nuova, pubblicata nel 1744 pochi mesi dopo la morte del suo autore, è l’opera principale e la summa del pensiero di Giambattista Vico (1668-1744), cui il filosofo lavora sin dal 1720, anno in cui Vico inizia a pubblicare il Diritto universale (una serie di volumi in latino editi tra 1720 e 1722). Seguono poi i Principi di una scienza nuova intorno alla comune natura delle nazioni (1725), che vengono profondamente rivisti nella Scienza nuova seconda (1730), cui seguono nel 1734 le Correzioni, miglioramenti e aggiunte.

Il lungo percorso che porta ai cinque libri Scienza nuova spiega la complessità dell’opera definitiva che, insieme con l’Autobiografia (1725), riassume tutte le svariate correnti di pensiero della filosofia vichiana. Tra le fondamentali argomentazioni della Scienza nuova, troviamo il principio del verum-factum e la necessità di fondare scientificamente l’indagine storica, la teoria delle tre età della “storia ideale eterna”, il concetto di corsi e ricorsi storici, il ruolo della poesia, della sensibilità e dell’immaginazione rispetto all’uso esclusivo della ragione.

A lungo marginale nel panorama filosofico eurpoeo, il pensiero di Vico è stato riscoperto nel corso dell’Ottocento e ha avuto importanti influssi sul Romanticismo italiano, dal concetto di Storia di Alessandro Manzoni fino all’idea di poesia di Ugo Foscolo, ricoprendo poi un ruolo rilevante nel pensiero di Benedetto Croce.

 

I fondamenti della Scienza nuova e l’opposizione a Cartesio

 

Già nelle opere che precedono Scienza nuova, Vico dimostra la propria originalità rispetto al panorama della filosofia seicentesca, dominata dal razionalismo cartesiano e dalla diffusione del metodo sperimentale galileiano. Il filosofo napoletano muove infatti dal presupposto di restituire dignità alle discipline umanistiche - e in particolare alla Storia - come strumenti di indagine dell’uomo e del mondo. Applicando il metodo etimologico gia dal De antiquissima Italorum sapientia (1710), Vico identifica il verum con il factum, cioè fissa in maniera per lui inequivocabile il fatto che si può avere conoscenza vera solo di ciò che è stato fatto direttamente; in tal senso, la storiografia (che studia scientificamente ciò che l’uomo ha fatto) è la disciplina principale cui bisogna dedicarsi, dato che la Natura è opera di Dio, e quindi trascende i nostri limiti conoscitivi.

Vico ribalta così cogito ergo sum di Cartesio, limitandolo alla sua funzione di coscienza e non di scienza del proprio essere, e stabilisce una differenza tra conoscenza divina e conoscenza umana. Infatti se quello divino è unintelligere perfetto di ogni elemento dell’oggetto, l’uomo invece può soltanto limitarsi al pensare, ovvero al cogitare, raccogliendo fuori di sé gli elementi necessari alla formulazione di una verità della quale potrà solo essere partecipe senza mai riuscire a possederla. Per questa via, spiegando che la Provvidenza divina è l’architetto della Storia mentre l’uomo ne è il fabbro, il filosofo coniuga la scelta di fondare una “scienza nuova” su base storiografica con l’ordine razionale divino soggiacente ai fatti umani che Vico, cattolico ortodosso, non mette affatto in discussione. La storia vichiana dovrà quindi indagare le cause e rinvenire le leggi provvidenziali cui obbediscono gli eventi storici. Gli strumenti della nuova storia vichiana sono la filologia, che Vico intende estensivamente come non solo come studio erudito di tipo linguistico ma anche come approfondimento di tutti gli aspetti giuridici, economici, politici e socioculturali di un periodo storico, e la filosofia, cui spetta il compito di raccogliere e organizzare tutto ciò che è emerso dallo studio verso le cause universali della Provvidenza. Vico contesta così sia i metodi d’indagine eccessivamente settoriali e fatti solo di una serie non ragionata di eventi e fatti, sia le generiche filosofie della storia, che spesso non si sono confrontate con il concreto divenire della storia umana.

 

La storia e le sue età

 

Su queste basi, Vico illustra la propria concezione della storia, che, provvidenzialisticamente, muove dal desiderio dell’uomo di superare lo stato primitivo di caduta e di bisogno e di dirigersi verso l’ordine divino a cui sente di appartenere 1. Questo sforzo, denominato da Vico “conato”, è necessario per superare quegli impulsi primitivi che limitano l’uomo, o, per dirla con Vico, i “bestioni insensati” che si affidano esclusivamente agli stimoli dell’istinto ferino, così che, prima della costituzione della società, non è possibile parlare di umanità in senso proprio 2. Per il filosofo, sono tre i fatti (o meglio, le istituzioni civili) che fanno uscire l’essere umano dalla condizione della bestia: il concetto di religione, lo strumento del matrimonio, il ricorso alla sepoltura dei morti 3.

Vico divide quindi la storia in tre differenti età:

  • l’età degli dei, in cui gli uomini, affidandosi esclusivamente ai propri sensi e alla loro fantasia, interpretano il mondo come un gigantesco organismo di forze incommensurabili. Così, le forze naturali diventano divinità, benefiche o punitive, di un sistema politeista generato dalla fervida immaginazione dei primi uomini. Il potere spetta alle divinità superiori, e il loro volere è reso noto per mezzo di auspici ed oracoli. Il linguaggio, che qui è ai suoi albori, è il depositario di queste credenze, concretizzatesi nei miti religiosi.
  • l’età degli eroi, in cui la società inizia a stratificarsi: un gruppo si impone con la forza sugli altri, arrogandosi quelle qualità che prima spettavano agli dei. È il tempo della virtù aristocratica (in cui si fondono, tra le altre, valore militare, pietà, temperanza e coraggio) si formano i governi aristocratico-oligarchici, fondati sul dominio dei pochi sui molti. In questa fase, è la poesia epica a celebrare le gesta dei primi eroi.
  • l’età degli uomini, in cui tutte le credenze precedenti ricevono un fondamento e una spiegazione razionale e si impone il principio dell’uguaglianza degli uomini di fronte alla legge, che è la garanzia sia delle repubbliche popolari sia delle monarchie. In quest’età, oltre alla filosofia e al diritto naturale che assicura la convivenza civile, nascono anche le altre discipline, come la logica, l’economia, la politica. Ai generi poetici della fase precedente si sostituisce l’espressione in prosa, e il linguaggio stesso assume la natura di una convenzione stabilita storicamente tra gli uomini.

 

Secondo un’analogia tra lo sviluppo dell’uomo e il progresso della Storia, Vico istituisce un paragone tra queste tre età e i tre gradi della mente umana, che sono quindi differenziati in senso, fantasia e ragione. Anche se questa successione non va interpretata troppo rigidamente, essa spiega bene la rivalutazione vichiana degli aspetti creativi e fantastici esclusi dal “metodo” cartesiano e dal suo privilegiare la certezza scientifica e il primato della ragione; Vico infatti assegna al grado della fantasia lo sviluppo della sapienza poetica: la poesia, nata prima ed indipendente dalla ragione e dall’intelletto organizzato, è così l’espressione di una facoltà a sé stante, con cui gli uomini esprimono il trascendente attraverso il linguaggio. Esempio tipico - e per Vico forma più elevata della poesia umana - di tutto ciò è la poesia omerica dell’Iliade e dell’Odissea, che è il racconto corale e l’opera collettiva dell’età eroica del popolo greco, una poesia “barbara” che però esprime verità sostanziali non ancora razionalizzabili tramite una riflessione intellettuale 4. A questo servono gli “universali fantastici”, ovverossia immagini poetiche che riproducono gli attributi topici dell’esperienza. Alla decadenza della poesia con il sopraggiungere del raziocinio corrisponde invece l’affermarsi, sia a livello del singolo individuo che dello sviluppo dell’umanità, dei “concetti universali”.

 

La dottrina della provvidenza

 

All’interno della sua filosofia della storia, Vico concilia - attraverso la metafora dell’architetto-Dio e dell’uomo-fabbro - la libera azione umana, che si realizza nella storia delle nazioni sulla Terra, e l’indirizzo garantito dalla volontà di Dio. La dottrina della provvidenza vichiana prende le mosse dal rifiuto dell’azione del caso e del fato, poiché il primo rende impossibile l’esistenza di un ordine e il secondo è un ostacolo alla libertà. Ordine e libertà, nel percorso di costituzione del mondo delle nazioni, possono essere assicurati solamente dall’azione della provvidenza, orienta l’azione umana, che è in sé tendenzialmente distruttiva, in direzione della conservazione e miglioramento del mondo della storia. Se torniamo alle istituzioni che per Vico determinano l’incivilimento dei “bestioni” (le nozze, i tribunali, la sepoltura dei defunti) notiamo che essi sono appunto la provvidenziale regolamentazione di istinti primordiali: la libidine porta alla costituzione delle famiglie, la necessità di limitare il bellum omnium contra omnes e il timore della vendetta privata spinge alla formalizzazione delle leggi, l’ansia della morte genera l’insorgere del culto dei morti. Questo ordine provvidenziale non determina però una diminuzione della libertà umana: infatti, ipercorsi delle singole nazioni possono essere differenti dal piano provvidenziale complessivo della storia ideal-eterna. In alcune di esse, per esempio, la società è rimasta ferma a uno stadio primitivo e barbaro, o ancora altrove all’età degli eroi.

 

I corsi e i ricorsi della Storia

 

La storia, in una celebre formulazione di Vico, è un ciclo di corsi e ricorsi. In questo senso, l’età degli dei, degli eroi e degli uomini si susseguono ciclicamente, in un percorso in cui allo sviluppo razionale dell’ultima età subentrano, per degenerazione, germi di corruzione e crisi che fanno crollare le istituzioni sociopolitiche, fino alla tirannide e all’anarchia. Vico, che esemplifica questo modello della storia universale sulla storia dell’ascesa e del declino di Roma, paragona le malattie del sistema sociale a quelle che colpiscono l’individuo, in modo speculare alla maniera in cui le età dell’uomo erano anche i tre stadi di sviluppo della civiltà. Tra le cause principali che affliggono l’età degli uomini e della civilizzazione Vico individua - in coerenza con il retroterra cristiano-cattolico della sua formazione 5 - lo scetticismo e il realtivismo etici, che fanno preferire all’uomo il proprio tornaconto rispetto al bene comune, e la laicizzazione della cultura, che intacca il valore della religione come elemento fondante del vivere collettivo.

Tuttavia, anche in questo caso, la provvidenza divina fornisce alcuni rimedi alla crisi della civiltà:

  • l’azione di un monarca - che Vico chiama “Augusto” ispirandosi alla figura di Ottaviano Augusto, che segnò il passaggio dalla repubblica al principato - che trasforma il governo in una monarchia, ripristinando le leggi e soffocando le rivolte.
  • l’assogettamento di una nazione in crisi da parte di nazioni più stabili.
  • la caduta in uno stato bestiale, anteriore alla civiltà, a partire cui, una volta riscoperta la semplicità primigenia e il beneficio della religione, gli uomini ricominceranno il ciclo delle tre età.

1 Vico chiama quest’ordine “storia ideal-eterna” e lo identifica poi con una “struttura che sorregge il corso temporale delle nazioni e che perciò trasforma la semplice successione cronologica dei momenti storici in un ordine ideale progressivo” (N. Abbagnano - G. Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, Torino, Paravia, 1992, p. 280).

2 Vico recupera quest’idea dalla teoria di Aristotele sulla natura sociale dell’essere umano e spiega che è il “senso comune” a spingere l’uomo a vivere in maniera associata con i suoi simili; tra le altre auctoritates del modello vichiano si possono poi citare Platone, lo storico latino Tacito, il pensiero di Francis Bacon e le opere del giurista Ugo Grozio (1583-1645), come il De iure belli ac pacis.

3 Questa triade di idee è esplicitamente ripresa da Ugo Foscolo nei suoi Sepolcri, dove afferma: “Dal dì che nozze e tribunali ed are | dier alle umane belve esser pietose | di sé stesse e d’altrui [...]” (vv. 91-93).

4 Parallelo a quello omerico è l’esempio di Dante e della sua Commedia, che rappresenta per Vico il modello poetico che riassume tutta l’eta “barbara” del Medioevo.

5 Non a caso, la visione ciclica delle tre età si salda con la prospettiva agostiniana per cui la Storia e un percorso rettilineo e progressivo al cui culmine c’è la “rivelazione” di Dio e il regno dei cieli; anche per Vico, quindi, il cristianesimo è il vero compimento della razionalità.