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Benedetto Croce: l’idealismo, l’estetica, la filosofia della storia

La linea prevalente che si radica nel secondo Ottocento italiano è quella della sinistra hegeliana, che reinterpreta in senso immanentista (e quindi laico, a differenza dell’impostazione trascendente della destra) la Filosofia della spirito di G. W. F. Hegel e prova a conciliarla - secondo l’impostazione suggerita da Bertrando Spaventa (1817-1883) - con la filosofia italiana, e in particolare con quella risorgimentale di Antonio Rosmini (1797-1855) e di Vincenzo Gioberti (1801-1852). Se a Spaventa poi preme sottolineare il “primato” italiano nella filosofia (e in particolar modo, nella sua declinazione laica ed idealistica), indicando in Giordano Bruno e Tommaso Campanella e in Giambattista Vico i precursori rispettivamente della filosofia cartesiana e della “rivoluzione” kantiana, Benedetto Croce (1866-1952) si inserisce a pieno titolo in questa corrente.

Formatosi nel clima filosofico-culturale dell’hegelismo napoletano, Croce è il più rilevante (ed influente) filosofo italiano a cavallo tra Ottocento e Novecento; nato il 25 febbraio 1866 a Pescasseroli (L’Aquila), Croce rimane orfano di entrambi i genitori nel luglio 1883 per un disastroso terremoto, e cresce sotto le cure del patriota Silvio Spaventa, fratello di Bertrando. Cresciuto in un ambiente intellettualmente stimolante, in cui conosce e frequenta Antonio Labriola, grazie al quale, dopo l’iscrizione alla Facoltà di Giurisprudenza di Napoli, si avvicina al pensiero di Marx. Se in seguito Croce ribadirà la propria professione di fede liberale (non mancando di criticare la teoria del plusvalore de Il Capitale), è in questi anni che, per il tramite di Marx, matura l’avvicinamento crociano al pensiero hegeliano e l’elaborazione della propria dottrina estetica, confluita nel 1900 nel primo importante intervento, le Tesi fondamentali di un’estetica come scienza dell’espressione e filosofia del linguaggio, che, due anni dopo, costituiscono il primo testo fondamentale dell’idealismo crociano (intitolato: Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale). Il sistema crociano, che si nutre della lezione storicistica di Hegel ma se ne discosta su alcuni punti determinanti, si sostanzia prendendo inizialmente le mosse dall’estetica - con un’eredità che sarà lunghissima per il pensiero italiano - dal momento che Croce definisce l’arte come “intuizione pura” cui seguono i momenti del pensare logico (il “concetto puro”, rubricato assieme con l’arte nello spirito teoretico), quello dell’economia e dell’etica. Questi quattro stadi si susseguono per Croce in una implicazione reciproca, così che le forme artistiche anticipano la riflessione filosofica, la quale a sua volta ha in sé un aspetto espressivo (e cioè, esteticamente connotato, crocianamente parlando), così come l’etica, rispetto all’economia, conserva una sua inclinazione utilitaristica.

Da subito, la vocazione immanentista del pensiero crociano assume anche una declinazione di critica militante: nel 1902, il filosofo fonda con Giovanni Gentile (da cui poi Croce si discosterà significativamente) “La Critica”, che diviene una delle principali riviste letterario-filosofiche del Novecento, mentre nel 1906, con un saggio su Hegel, inizia la collaborazione con l’editore Laterza, la cui politica culturale ed editoriale verrà, nei decenni successivi, orientata e diretta dal filosofo napoletano. Prosegue intanto la definizione articolata e complessiva del pensiero di Croce che tra 1905 e 1908 completa, con i Lineamenti di una logica come scienza del concetto puro e la Filosofia della pratica, il disegno della Filosofia dello spirito, cui s’aggiungono un importante intervento sulla fiolosofia vichiana (La filosofia di G. B. Vico, 1911) e un secondo intervento su Hegel (Saggio sullo Hegel, 1912). Agli studi di letteratura italiana e straniera (su Dante, Shakespeare, Corneille, Ariosto, gli autori del Seicento e del Rinascimento) e storiografici (la Teoria e storia della storiografia ), Croce somma l’attività politica - è senatore liberale dal 1910 - che lo vede esporsi per la neutralità italiana nel primo conflitto mondiale. Il primo dopoguerra e l’avvento del fascismo vedono il filosofo schierarsi contro il regime, fino alla redazione del noto Manifesto degli intellettuali antifascisti (1925) dopo i fatti del delitto Matteotti e per rispondere al Manifesto degli intellettuali fascisti ispirato dall’ex amico Gentile. Divenuto una delle principali voci del dissenso in Italia (anche in merito all’infame pagina delle leggi razziali del 1938), Croce delega alle sue opere storiche il compito di esplicitare la critica agli anni della dittatura fascista, come in Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928) e la Storia d’Europa dal 1815 al 1915 (1932). Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il filosofo è chiamato a partecipare ai lavori dell’Assemblea Costituente, e fonda poi a Napoli l’Istituto italiano per gli Studi Storici. Colpito da ictus nel 1949, Croce si spegne nel capoluogo campano il 20 novembre 1952.