Introduzione
Il giardino dei Finzi-Contini, pubblicato da Einaudi nel 1962, è il romanzo più celebre di Giorgio Bassani (1916-2000), scrittore nato a Bologna ma di origine ferrarese; il romanzo racconta le vicende della ricca famiglia ebraica dei Finzi-Contini nella Ferrara degli anni Trenta. Inquadrato dal critico Alberto Asor Rosa nel novero delle opere del “tardo-neorealismo” 1, questo romanzo fu preso di mira dagli esponenti del Gruppo 63 (poeti, narratori e critici organizzatisi in un movimento di neo-avanguardia, tra cui si possono ricordare Alberto Arbasino, Umberto Eco, Edoardo Sanguineti e Nanni Balestrini) in quanto rappresentante di una narrativa convenzionale e superata, che preferisce rappresentare la realtà attraverso il lavoro conciliante della memoria piuttosto che aprire il testo alla crisi del soggetto e della società, mettendo in luce contraddizioni e squilibri del mondo 2
Il giardino dei Finzi-Contini è stato vincitore del premio Viareggio del 1962 ed è poi stato tradotto in un film assai famoso da Vittorio De Sica, che vinse l’Oscar come Miglior film straniero nel 1972 ma da cui lo scrittore, entrato in contrasto con il regista, si dissociò. Il romanzo è poi confluito, insieme alle Cinque storie ferraresi (1956), Gli occhiali d’oro (1958), Dietro la porta (1964), L’airone (1968) e L’odore del fieno (1972), ne Il romanzo di Ferrara, un ciclo uscito tra il 1974 e il 1980 che raccoglie tutti i romanzi e racconti di Bassani di ambientazione ferrarese.
Riassunto
Il romanzo prende le mosse da un’immagine funebre e da un ricordo memoriale, presentata nel Prologo del romanzo: durante una gita domenicale conclusasi nella necropoli etrusca di Cerveteri il narratore - un anonimo io narrante per molti aspetti simile all’autore Bassani - ricorda la grande tomba della famiglia Finzi-Contini nel cimitero ebraico di Ferrara. Questo ricordo porta con sé, in un unico impulso, la memoria degli anni giovanili e, in particolare, dello speciale rapporto che aveva legato il narratore a quella famiglia 3. Il narratore ricorda così la Ferrara di fine anni Venti e Trenta, una ricca cittadina di provincia, che ha uno dei propri centri nell’attiva e aristocratica comunità ebraica. Di questa fanno parte la famiglia del narratore e quella dei Finzi-Contini: è attraverso i momenti di vita comunitaria (come le riunioni in sinagoga nei giorni di funzione o nelle grandi festività) che il narratore comincia a conoscere i membri di quella strana famiglia, che molto fa parlare di sé per l’isolamento altezzoso in cui si trincera, emblematizzato dall’alto muro di cinta che chiude l’enorme giardino della loro villa.
Un alone di mistero e curiosità avvolge i coniugi Finzi-Contini e i loro figli, Micòl e Alberto, quasi coetanei del narratore, che durante l’anno ricevono lezioni private nella loro casa e frequentano il locale liceo classico solo per conoscere gli esiti delle pagelle. Proprio in una di queste circostanze il narratore fa per caso la conoscenza di Micòl. Dopo una sonora bocciatura in matematica, l’io narrante vaga sconsolato in bicicletta per la città, indeciso su come rientrare a casa e confessare la verità ai genitori. Egli incontra così Micòl affacciata all’alto muro del giardino, che, dopo un rapido scambio di battute, lo invita a scavalcare per visitare il giardino. L’esitazione dovuta al fascino inquieto che Micòl già esercita su di lui, unita al sopraggiungere di un imprevisto (il guardiano del giardino, il Perotti, che richiama la ragazzina), fa sì che il narratore debba aspettare quasi dieci anni per varcare la soglia di quel giardino che già dava adito a fantasie e desideri.
Si arriva così al 1938, nel frangente storico in cui sull’Italia e sulla comunità ebraica di Ferrara si stringe la morsa delle leggi razziali fasciste. Il protagonista, che ora frequenta l’università, riceve un inaspettato invito a giocare a tennis nel campo privato di Alberto e Micòl, all’interno della villa. Il circolo del tennis di Ferrara ha cominciato a ritirare le tessere degli iscritti ebrei e i due giovani Finzi-Contini, con il gusto aristocratico e naïf che li contraddistingue, organizzano una sorta di circolo alternativo. Il narratore coglie l’occasione e inizia a frequentare assiduamente la “magna domus”, come viene ironicamente chiamata la grande villa in mezzo al parco privato. Al gruppo ristretto dei tennisti si aggiunge spesso Giampiero Malnate, un perito chimico di tendenze marxiste. Il circolo dei Finzi-Contini e il loro immenso giardino diventano così uno spazio protetto e chiuso rispetto alla Storia e alla tragedia che incombe sull’Italia e - in particolare - sugli ebrei. Il personaggio principale e Micòl, diventata una ragazza spigliata e conturbante, sfruttano questa occasione per approfondire il loro rapporto nel corso di lunghe passeggiate e giri in bicicletta per il parco. Micòl manifesta in queste occasioni la sua spiccata predilezione per il passato, quasi che l’attesa di qualcosa dal futuro sia per lei inutile e priva di reale valore. L’amicizia tra i due, intensa e ambigua, viene confusa dal narratore per la possibilità di un amore più maturo e consapevole. In una scena determinante, Micòl e il narratore si trovano da soli in un garage, all’interno di una vecchia e decrepita carrozza dei Finzi-Contini, ma il protagonista non sa decidersi ad agire 4.
Anche la partenza di Micòl per Venezia per frequentare l’università, all’inizio della terza parte del Giardino, non interrompere le visite del protagonista a casa Finzi-Contini, nella convinzione che mantenere quel legame serva a tenere viva la speranza di un amore futuro. Il protagonista, nell’inverno tra il 1938 e il 1939, approfondisce la conoscenza con il padre di Micòl, il professor Ermanno, con Alberto Finzi-Contini e con Giampiero Malnate, con cui si impegna in lunghe conversazioni sulla crisi internazionale che prelude alla Seconda guerra mondiale. La vicenda ha una svolta in occasione delle festività per Pesach (la Pasqua ebraica): il narratore, abbandonando le tristi ritualità familiari, corre a casa Finzi-Contini per l’improvviso ritorno di Micòl. La bacia, ma ottiene in cambio una reazione fredda e dissimulata. Da qui il protagonista è combattuto tra nuovi (e goffi) tentativi di seduzione e il desiderio di restaurare l’antica amicizia con Micòl, sempre più sfuggente e irragiungibile. A mano a mano che questo amore si trasforma in ossessione e frustrazione aumentano anche le inquietudini dovute all’imminente ingresso dell’Italia in guerra al fianco della Germania nazista. Mentre il mondo placido della Ferrara altoborghese ed ebraica è vicino al collasso, il rapporto tra Micòl e il protagonista giunge al naturale esaurimento. È la ragazza, dopo l’ennesimo approccio fallito, a spiegare al protagonista l’impossibilità di un amore reale tra due persone in tutto e per tutto simili come loro:
Io… io le stavo di fianco, capivo?, non già di fronte: mentre l’amore - così, almeno, se lo immaginava lei - era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda: uno sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis!, da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di propositi. [...] E noi? Stupidamente onesti entrambi, uguali in tutto e per tutto come due gocce d’acqua (“e gli uguali non si combattono, credi a me!”), avremmo mai potuto sopraffarci l’un l’altro, noi? 5
Le visite a Micòl nella primavera-estate del 1939 si diradano fino a cessare del tutto, e vengono sostituite dalle serate trascorse a parlare di politica con Giampiero Malnate. Con lui il narratore si reca anche in un bordello e, al rientro in casa, ha un colloquio sincero e risolutore con l’anziano padre, dopo il quale si convince a porre fine alle proprie illusioni. Specularmente alla prima scena con i due personaggi bambini, il protagonista si reca per un’ultima volta al giardino dei Finzi-Contini: qui ha un’illuminazione, intuendo, pur non potendone avere alcuna certezza, che forse è proprio Malnate l’amante segreto di Micòl. Il romanzo si chiude così con una nota di serena e pacifica disillusione:
“Che bel romanzo”, sogghignai, crollando il capo come davanti a un bambino incorreggibile 6.
Nell’Epilogo, il narratore tira allora le fila delle vicende: dopo quella notte, il mondo dei Finzi-Contini si è chiuso per sempre, non solo per lui. Alberto è morto nel 1942 per un tumore, che già aveva manifestato i suoi sintomi nel corso della storia; i Finzi-Contini sono stati deportati nel campi di sterminio dopo l’8 settembre 1943 e anche Giampiero Malnate è morto durante la disastrosa Campagna di Russia. Il romanzo si chiude come si era aperta, all’insegna della morte e della memoria di Micòl:
Certo è che, quasi presaga della prossima morte, sua e di tutti i suoi, Micòl ripeteva di continuo anche a Malnate che a lei, del suo futuro democratico e sociale, non gliene importava nulla, che lei il futuro, in sé, lo abborriva, ad esso preferendo di gran lunga “le vierge, le vivace et le bel aujourd’hui”, e il passato, ancor di più, il caro, il dolce, il pio passato.
E siccome queste, lo so, non erano che parole, le solite parole ingannevoli e disperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire: di esse, appunto, e non di altre, sia suggellato qui quel poco che il cuore ha saputo ricordare 7
Il soliloquio della memoria
Il giardino dei Finzi-Contini è un romanzo che nasce a partire da un ricordo e a più riprese mostra la sua natura retrospettiva. In più punti il narratore allude al destino tragico che attende i personaggi del proprio racconto; così proietta la storia narrata nella distanza assoluta di un passato che non ha più nessun legame con il presente, poiché nessuno dei protagonisti è sopravvissuto. È quindi solo grazie a una memoria precisa e accorata (spesso guidata dal “cuore”) che è possibile rivivere le atmosfere e i sentimenti di anni altrimenti destinati all’oblio. La voce di chi racconta s’incarica così anche di restituire la parola a chi non c’è più. E non lo fa solo metaforicamente, ma anche attraverso un espediente tecnico che mostra la natura monologica 8 del suo racconto: il discorso diretto libero, tecnica abitualmente utilizzata per registrare i pensieri di un personaggio 9 e qui impiegata invece per riportare i dialoghi del narratore con altri personaggi, e in particolare con Micòl:
Lei mi aveva detto e ripetuto mille volte che era inutile, che non cercassi di trasferire i nostri rapporti su un piano diverso da quello dell’amicizia e dell’affetto. Macché: appena potevo, io, al contrario, le venivo addosso con baci e altro, come se anch’io non sapessi che in situazioni come la nostra non c’è niente di più antipatico e “controindicato”. Santo Iddio! Ma possibile che non riuscissi a trattenermi? 10.
È la sua voce e il suo punto di vista a riportare nel testo la voce e il punto di vista di Micòl. In questo modo il dialogo assume la forma di un monologo, o meglio di un soliloquio, in cui chi racconta mette in scena le voci e i caratteri di persone che, essendo morte, possono vivere solo nella forma in cui queste parole le hanno fissate. Questo procedimento narrativo contribuisce inoltre a definire il tono dell’intero romanzo, pervaso in tutte le scene - in quelle in cui viene ricostruito con finezza lo spirito dell’epoca come in quelle in cui interagiscono i personaggi - da un senso di perdita e di nostalgia verso il passato. È lo stesso sentimento e la stessa visione del mondo esplicitata dalla protagonista:
Lo intuiva benissimo: per me, non meno che per lei, più del possesso delle cose contava la memoria di esse, la memoria di fronte alla quale ogni possesso, in sé, non può apparire che delusivo, banale, insufficiente. Come mi capiva! La mia ansia che il presente diventasse subito passato, perché potessi amarlo e vagheggiarlo a mio agio, era anche sua, tale e quale. Era il nostro vizio, questo: d’andare avanti con la testa sempre voltata all’indietro 11.
È solo nella memoria che le cose trovano la loro perfezione, non più esposte ai capricci del tempo e ai suoi cambiamenti traumatici. Il dramma di chi racconta è che anche Micòl sia diventata una di questi oggetti perfetti che spetta al cuore conservare attraverso il ricordo.
1 A. Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, III. La letteratura della nazione, Einaudi, Torino 2009, p. 510.
2 In tono polemico e anche oltraggioso, Giorgio Bassani fu dal Gruppo 63 annoverato, insieme a Carlo Cassola e Vasco Pratolini, tra le “liale” della narrativa contemporanea, con riferimento alla celebre autrice di romanzi rosa degli anni Trenta e Quaranta, Liala (pseudonimo di Amalia Liana Negretti Odescalchi, 1897-1995. Lo pseudonimo fu una creazione di Gabriele D’Annunzio).
3 La funzione della memoria, centrale nel romanzo, è sottolineata anche da un velato richiamo letterario: nell’incipit del romanzo il narratore confesso che “da molti anni” desiderava scrivere la storia dei Finzi-Contini, rimandando implicitamente al celebre esordio della Recherche di Marcel Proust: “Longtemps, je me suis couché de bonne heure” (traduzione: “Per molti anni, mi sono coricato presto”).
4 G. Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Torino, Einaudi, 1999, p. 125: “Infinite volte, nel corso dell’inverno, della primavera e dell’estate che seguirono, tornai indietro a ciò che tra MIcòl e me era accaduto (o meglio non accaduto) dentro la carrozza prediletta dal vecchio Perotti. [...] E dimenticavo di chiedermi l’essenziale: se in quel momento supremo, unico, irrevocabile - un momento che, forse, aveva deciso della mia e della sua vita -, fossi stato davvero in grado di tentare un gesto, una parola qualsiasi. Lo sapevo già, allora, per esempio, di essermi innamorato veramente? La realtà era stata questa, invece: che ancora non lo sapevo”.
5 Ivi, pp. 222-223. L’uso connotativo dei corsivi è tipico del lessico “finzicontinico” con cui si esprimono Micòl e Alberto, coe segno di distinzione dalla massa.
6 Ivi, p. 287.
7 Ivi, pp. 292-293. La citazione di Micòl è dal sonetto omonimo di Stéphane Mallarmé (1842-1898). Tra gli altri autori che definiscono i gusti letterari raffinati della ragazza ci sono la poetessa Emily Dickinson (su cui Micòl si laurea), i Fiori del male di Baudelaire, gli scrittori russi e Bartleby di Herman Melville.
8 Il teorico della letteratura russo Michail Bachtin ha elaborato il concetto di polifonia per quelle narrazioni che propongono un dialogo aperto a più voci e a molteplici punti di vista; in altri casi i romanzieri ricorrono a una voce narrante che dà l’impressione di una molteplicità di voci, che sono in realtà espresse a partire da un unico punto di vista dominante. Cfr. M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi, 2002.
9 Cfr. S. Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film, Milano, Il Saggiatore, 2010.
10 G. Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, cit., p. 239.
11 Ivi, p. 224.