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"Gli indifferenti" di Moravia: riassunto e commento del capitolo 15

Il romanzo Gli indifferenti di Alberto Moravia ritrae la vita di una famiglia borghese nell’arco di due giorni, mostrando le azioni, scelte e comportamenti dei cinque membri del nucleo familiare.

 

Tutti i personaggi sono caratterizzati da una indifferenza nei confronti del mondo e della realtà circostante, sentimento che sfocia in una profonda accidia ed inettitudine vitale. Si può certo affermare che l’indifferente di Moravia rappresenta l’estremizzazione dell’inetto di Italo Svevo: appare, dunque, una figura ancora più corrotta e malata, senza possibilità di cura e redenzione. Se i personaggi di Svevo cercando di sfuggire alla loro inettitudine con esiti tragici, i personaggi di Moravia, pur consapevoli, come Michele, della loro indifferenza, non provano la necessità di evadere da questa condizione, ormai sommersi dalla loro stessa amoralità e apatia.
Così appare Michele nel capitolo quindicesimo; intenzionato a uccidere Leo, amante della madre Mariagrazia e seduttore della sorella Carla, egli è però del tutto insensibile al gesto che sta per compiere. L’autore, riportando il flusso dei suoi pensieri, evidenzia i suoi vani tentativi di mostrarsi spaventato e incerto, o di costruirsi alibi attaccandosi a speranze vane e ridicole. Tutto quello che Michele prova è, in realtà, solo una profonda apatia ed un senso di insignificanza dell'intera esistenza:

 

La scena che doveva essere fulminea, gli appariva lunghissima, disgregata nei suoi gesti, silenziosa; un mortale malessere lo vinceva: «Bisognerebbe ucciderlo senza accorgersene» pensò, «allora sì, tutto andrebbe bene».

Il “mortale malessere” appare dunque la sua accidia, la sua incapacità di confrontarsi con la realtà circostante, provando un qualsiasi tipo di sentimento. La stessa seduzione della sorella Carla è già ormai passata in secondo piano:

 

«Al diavolo mia sorella» pensò disperato ritrovandosi nella stessa calma di prima; tutte quelle fantasie non l’avevano scosso [...] un’atroce paura l’invase di non sapere agire, mise la mano in tasca, strinse nervosamente la rivoltella: «Al diavolo tutti... cosa importano le ragioni... ho deciso di ucciderlo e lo ucciderò».

L’incontro e lo scontro con Leo, nell’apice della tensione, si risolvono in farsa, quando Michele estrae la pistola per uccidere l’uomo ma si accorge che è scarica; ciò evidenzia ancora una volta l’inettitudine e l’incapacità del personaggio di affrontare il mondo e di compiere un’azione drastica e definitiva come l’omicidio. Si tratta di un tragico e, allo stesso tempo, ridicolo dramma, che mostra la sfiducia di Moravia nei confronti dell’uomo, una rassegnata constatazione della malattia dell’uomo moderno. Nel momento della lotta fisica con Leo, Michele fugge lo scontro e si abbandona in una totale indifferenza:

 

Alfine il dolore e la rabbia vinsero il ragazzo; gli parve oscuramente che la vita non fosse mai stata così aspra come in questo momento nel quale, così brutalmente oppresso, gli tornava un lamentoso desiderio di certe lontanissime carezza materne; gli occhi gli si empirono di lacrime; allentò i muscoli doloranti, si abbandonò.