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“Apokolokyntosis” di Seneca: riassunto e analisi dell’opera

Introduzione

 

L’Apokolokyntosis, o Ludus de morte Claudii, è un testo satirico composto dal filosofo Seneca (4 a.C. - 65 d.C.) poco dopo la morte di Claudio, avvenuta nel 54 d.C. 1. L’operetta è ascrivibile al genere della satira menippea, genere letterario sorto con l’opera del cinico Menippo di Gadara, nel III secolo a.C.

Il titolo è composto dai termini greci kolokynte, “zucca”, e apothéosis, “deificazione”, che uniti insieme possono essere tradotto con un sarcastico “zucchificazione”, cioè la trasformazione in zucca o zuccone di Claudio, che, secondo i suoi contemporanei, non brillava certo per intelligenza, oltre ad essere affetto da una forma di zoppia. L’opera di Senca capovolge in burla la pratica della divinizzazione post-mortem dell’imperatore 2, sottolineando l’inadeguatezza di Claudio (che appena salito al potere nel 41 d.C. aveva esiliato Seneca in Corsica per otto lunghi anni, secondo la pratica della relegatio in insulam) al titolo di “divo”.

Per quanto riguarda la datazione, essa oscilla tra il 54 d.C. (anno della morte di Claudio) e il più tardo 59 d.C. (anno della morte della potente Agrippina): a far variare la data di composizione dell’opera il fatto - ricordato anche da Tacito nei suoi Annales - che fu proprio Seneca a scrivere la laudatio funebris per l’imperatore, il cui tono si concilierebbe male con quello crudo e amaramente risentito della satira. Si tenga poi presente che l’Apolokyntosis si apre con un breve discorso elogiativo circa i successi di Nerone (37-68 d.C.). In generale, è di sicuro evidente che il tono utilizzato dall’autore è quello di una persona ancora fortemente coinvolta nella vita pubblica e politica del suo tempo, che non perde occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa, attaccando il responsabile del suo esilio politico. In tal senso, Seneca è qui abbastanza lontano dalle massime filosofiche sull’equilibrio del saggio stoico o sul proficuo ritiro nell’otium privato che troviamo, ad esempio, nel De tranquillitate animi, nel De brevitate vitae o nelle Lettere a Lucilio.

Dal punto di vista stilistico, in accordo con il genere della satira menippea, spicca l’alternanza di prosa e versi, mentre la lingua trapassa da toni solenni ad espressioni colorite e volgari. Per quanto riguarda il contenuto, invece, l’opera è per lo più composta di brevi scenette salaci e sarcastiche, spesso intessute di particolari reali che, agli occhi dei contemporanei, dovevano ricordare in maniera caricaturale tutti i difetti dell’imperatore Claudio (come la sua passione smodata per le citazioni dall’Iliade o dall’Odissea). Non è errato pensare che questa struttura, che alterna narrazione, recitazione e dialoghi diretti, fosse funzionale alla rappresentazione dell’Apokolokyntosis durante ricevimenti e banchetti di corte.

 

Trama

 

La trama della satira senecana è molto semplice: Claudio, dopo la morte, sale all’Olimpo dove suscita la curiosità e lo sconcerto delle divinità per tutti i suoi difetti, tanto da essere definito “quasi homo”: egli è infatti balbuziente (tanto che nemmeno da morto riesce a pronunciare correttamente il proprio nome e a farsi identificare), zoppo e stupido, come dimostra la testa sempre ciondoloni. È addirittura Ercole, reduce dalle dodici fatiche, che si scomoda per lui. Davanti all’eroe greco, Claudio cita un verso dell’Odissea per vantare le proprie origini troiane attraverso la gens Claudia, ma commette il goffo errore di citare le parole di Ulisse, causa principale della sventura della città troiana. Il confronto con il grande eroe del mito riduce insomma Claudio ad una nullità: di lui vengono anzi messa in luce l’origine provinciale 3 e la subdola politica di eliminazione fisica dei nemici (in particolare, i membri del Senato) attraverso l’uso politico della giustizia.

Segue quindi la proposta dell’imperatore Augusto, che già siede tra le divinità, di mandare Claudio agli Inferi poiché che in vita si è macchiato di numerosi omicidi, che egli enumera nel dettaglio. Il dio Mercurio lo scorta dunque nell’Ade; durante il tragitto, Claudio può assistere “in diretta” al proprio funerale 4 e ascoltare le voci di chi si lamentava per la fine dei giochi pubblici frequentemente indetti dal defunto. Arrivato agli Inferi, Claudio incontra le anime di coloro che ha fatto uccidere ed è poi messo a giudizio di fronte ad Eaco, ritenuto un giudice profondamente giusto ed equilibrato. Il processo diventa però una sorta di contrappasso per l’imperatore, che in vita emetteva le proprie condanne senza lasciar spazio alla difesa: così avviene negli Inferi per lui.

Claudio viene condannato a giocare a dadi 5 con un barattolino forato. A strapparlo dalla pena è l’imperaotre Caligola, anch’egli condannato laggiù, che reclama Claudio come proprio schiavo. Come umiliazione finale, l’imperatore è affidata al suo ex liberto Menandro 6.

1 L’imperatore Claudio fu avvelenato, quasi sicuramente per mano della quarta moglie Agrippina, da un piatto di funghi avvelenati della specie dell’Amanita phalloides.

2 La pratica della divinizzazione nell’antica Roma aveva soprattutto una funzione politica, rinsaldando l’importanza della figura imperiale e conferendo valore anche al successore dell’imperatore defunto. Tra gli esempi più rilevanti, quello di Giulio Cesare, divinizzato dopo la sua morte nel 44 a.C., ed Ottaviano Augusto, morto nel 14 d.C.

3 Claudio in effetti nacque in Gallia (a Lugdunum, l’odierna Lione) e fu il primo imperatore romano nato fuori dall’Italia.

4 Qui l’appunto ironico di Seneca è ovviamente contro la velocità con cui Claudio è stato divinizzato subito dopo la morte, riprendendo voci e malelingue che già circolavano all’epoca in ambienti senatoriali e di corte.

5 Sembra che il gioco fosse uno dei vizi dell’imperatore.

6 Anche questo elemento ha un sapore di polemica, in quanto il principato di Claudio si caratterizzò proprio per la libertà spesso eccessiva concessa agli ex schiavi all’interno della corte imperiale.