Introduzione
Il Mattino di Giuseppe Parini è la prima parte del poemetto Il Giorno e viene pubblicato, in forma anonima, nel 1763. Il testo si apre mettendo a fuoco del Giovin Signore, di cui il poeta si dichiara “Precettore di amabil Rito” (v. 7). Volgendo lo sguardo sul paesaggio appena prima dell’alba, Parini descrive i costumi e gli stili di vita di un semplice contadino (il “buon villan” del v. 37) e del “giovin signore” che, allietato dai vizi e dai piaceri, conduce una vita inutile ed improduttiva, spesa tra feste, case d’appuntamenti e giochi d’azzardo. Se al sorgere del sole il contadino imbraccia gli arnesi e si dirige verso i campi, il protagonista, dopo una notte di baldoria, torna stanco verso casa al canto del gallo. Da qui può partire, nel resto del poemetto, la descrizione accuratissima della giornata-tipo del giovane nobile, che il Precettore osserva con l’intento di suscitare, alla luce dei suoi valori illuministici, un moto di riscatto nel suo lettore.
La struttura e lo stile
Lo stile e la finalità del poemetto sono strettamente intrecciati: all’intenzione pedagogica del testo si affianca infatti l’impostazione ironica (e talora sarcastica) del Precettore. Quest’ultimo infatti cela la propria indignazione sotto l’apparente celebrazione della frivola aristocrazia cui si rivolge; in realtà, dietro all’accettazione e, in certi passaggi, all’esaltazione delle abitudini meschine del “giovin signore” si percepisce chiaramente un accento di critica e di commiserazione per un’esistenza inutile e dilapidata nella noia.
Il mondo della mitologia classica (da Cerere a Marte, da Venere a Pale fino addirittura a Giove) è evocato solo per sottolineare l’artificiosità e l’intima corruzione della società aristocratica, che ha ormai perso ogni possibile funzione storica o sociale (tanto da vivere ormai rinchiusa in palazzi, corti e sale da ballo). Lo stile classicheggiante del poeta, rintraccabile anche nelle Odi (basti pensare a La caduta), contribuisce a questo effetto ironico. Il poeta utilizza spesso una sintassi elaborata ed ipotattica, un lessico ricco di latinismi ed arcaismi e fa abbondante ricorso a figure retoriche per descrivere le imprese - assai poco eroiche e degne di nota - del suo protagonista principale
Metro: endecasillabi sciolti.
- Giovin Signore 1, o a te scenda per lungo
- di magnanimi lombi 2 ordine il sangue
- purissimo celeste, o in te del sangue
- emendino il difetto i compri onori
- e le adunate in terra o in mar ricchezze
- dal genitor frugale 3 in pochi lustri,
- me Precettor d’amabil Rito ascolta 4.
- Come ingannar questi noiosi e lenti
- giorni di vita, cui sì lungo tedio
- e fastidio insoffribile accompagna,
- or io t’insegnerò. Quali al Mattino,
- quai dopo il Mezzodì, quali la Sera
- esser debban tue cure apprenderai,
- se in mezzo a gli ozi tuo ozio ti resta
- pur di tender gli orecchi a’ versi miei 5.
- Già l’are a Vener sacre e al giocatore
- Mercurio 6 ne le Gallie e in Albïone
- devotamente hai visitate, e porti
- pur anco i segni del tuo zelo impressi:
- ora è tempo di posa. In vano Marte
- a sé t’invita; ché ben folle è quegli
- che a rischio de la vita onor si merca,
- e tu naturalmente il sangue aborri 7.
- Né i mesti de la Dea Pallade studj
- ti son meno odïosi: avverso ad essi
- ti feron troppo i queruli ricinti
- ove l’arti migliori e le scïenze,
- cangiate in mostri e in vane orride larve,
- fan le capaci volte eccheggiar sempre
- di giovanili strida 8. Or primamente
- odi quali il Mattino a te soavi
- cure debba guidar con facil mano.
- Sorge il Mattino in compagnia dell’Alba
- innanzi al Sol che di poi grande appare 9
- su l’estremo orizzonte a render lieti
- gli animali e le piante e i campi e l’onde.
- Allora il buon villan sorge dal caro
- letto cui la fedel moglie e i minori
- suoi figlioletti intiepidìr 10 la notte;
- poi sul collo recando i sacri arnesi 11
- che prima ritrovàr Cerere, e Pale 12,
- va col bue lento innanzi al campo, e scuote
- lungo il picciol sentier da’ curvi rami
- il rudagioso umor che, quasi gemma,
- i nascenti del Sol raggi rifrange.
- Allora sorge il Fabbro, e la sonante
- officina riapre, e all’opre 13 torna
- l’altro dì non perfette, o se di chiave
- ardua e ferrati ingegni all’inquieto
- ricco l’arche assecura, o se d’argento
- e d’oro incider vuol gioielli e vasi
- per ornamento a nova sposa o a mense 14.
- Ma che? Tu inorridisci, e mostri in capo,
- qual istrice pungente, irti i capegli
- al suon di mie parole? Ah non è questo,
- Signore, il tuo mattin. Tu col cadente
- Sol non sedesti a parca mensa 15, e al lume
- dell’incerto crepuscolo non gisti 16
- jeri a corcarti in male agiate 17 piume,
- come dannato è a far l’umile vulgo.
- A voi, celeste prole, a voi, concilio
- di Semidei terreni, altro concesse
- Giove benigno: e con altr’arti e leggi
- per novo calle a me convien guidarvi 18.
- Tu tra le veglie e le canore scene
- e il patetico gioco 19 oltre piú assai
- producesti 20 la notte; e stanco alfine
- in aureo cocchio 21, col fragor di calde
- precipitose rote e il calpestio
- di volanti corsier, lunge agitasti
- il queto aere notturno; e le tenèbre
- con fiaccole superbe intorno apristi,
- siccome allor che il Siculo terreno
- da l’uno a l’altro mar rimbombar feo
- Pluto 22 col carro, a cui splendeano innanzi
- le tede de le Furie anguicrinite.
- Così tornasti a la magion; ma quivi
- a novi studj 23 ti attendea la mensa
- cui ricopríen pruriginosi cibi
- e licor lieti di Francesi colli
- o d’Ispani, o di Toschi, o l’Ongarese
- bottiglia 24 a cui di verde edera Bacco
- concedette corona, e disse: Siedi
- de le mense reina 25. Alfine il Sonno
- ti sprimacciò le morbide coltríci
- di propria mano, ove, te accolto, il fido
- servo calò le seriche cortine:
- e a te soavemente i lumi chiuse
- il gallo che li suole aprire altrui.
- Giovin Signore, sia che il tuo sangue purissimo
- e divino discenda da una stirpe di nobili antenati,
- sia che i titoli comprati e le ricchezze accumulate
- dal padre parsimonioso in pochi anni
- per terra o per mare correggano
- in te la mancanza di sangue nobile,
- ascolta me, Precettore di amabili maniere.
- Ora io ti insegnerò come trascorrere
- questi noiosi e lenti giorni della vita, che
- sono accompagnati da così lunga monotonia
- e insopportabile fastidio. Apprenderai quali
- debbano essere le tue preoccupazioni
- al mattino, quali al pomeriggio, quali alla sera,
- se nel tuo oziare ti resta tempo
- di tendere le orecchie ai miei versi.
- Già hai visitato attentamente gli altari
- consacrati al piacere amoroso e al gioco d’azzardo
- in Francia e in Inghilterra, e ancora porti
- impressi i segni del tuo impegno:
- ora è tempo di riposo. Invano Marte ti invita
- alla carriera militare; perché è ben folle colui
- che si guadagna l’onore mettendo a rischio la vita,
- e naturalmente a te disgusta il sangue.
- Né i tristi studi della dea Atena ti sono
- meno odiosi: te li resero troppo avversi
- le lacrimose aule dove le arti
- più eccelse e le scienze, tramutate
- in mostri ed evanescenti, orridi fantasmi
- fanno eccheggiare sempre le ampie volte
- di urla di giovani. Ora per prima cosa
- ascolta in quali piacevoli abitudini il Mattino
- ti debba guidare con mano gradevole.
- Sorge il Mattino in compagnia dell’Alba prima
- del Sole, che in seguito compare enorme
- sull’estremo orizzonte e porta beatitudine
- agli animali, alle piante, ai campi e alle onde.
- Allora il buon contadino si alza dal caro letto
- che la moglie fedele e i suoi figli hanno intiepidito
- durante la notte; poi, portando in spalla i sacri
- attrezzi che per prime scoprirono Cerere e Pale,
- si dirige verso i campi spingendo avanti il bue
- che procede lentamente, e lungo il piccolo
- sentiero scuote dai rami ricurvi la rugiada che,
- come fosse una pietra preziosa, riflette i raggi
- del sole nascente. Allora si alza l’artigiano,
- e riapre la rumorosa officina, e torna ai lavori
- non terminati il giorno prima, sia se deve fare
- chiavi complesse da eseguire e serrature
- ferrate che assicurino i forzieri del ricco
- tormentato, sia se vuole intagliare gioielli
- e recipienti d’argento e d’oro, ornamento
- per una novella sposa o per una tavola.
- Ma come? Tu inorridisci e drizzi sul capo
- i capelli come un istrice pungente,
- al suono delle mie parole? Ah non è questo,
- Signore, il tuo mattino. Tu col sole calante
- al tramonto non ti sei seduto a consumare
- una povera cena, e non andasti a coricarti
- su uno scomodo giaciglio alla luce del fioco
- crepuscolo, come è costretto a fare l’umile popolo.
- A voi, prole di origine divina, a voi, adunanza
- di Semidei in terra, altro concesse il benigno Giove:
- e con principi e regole diverse è meglio
- che vi conduca per una strada differente.
- Hai protratto la notte fino a tardi tra le feste,
- i melodrammi teatrali, i patetici giochi d’azzardo;
- e infine, stanco, in una carrozza dorata,
- con il frastuono di calde e veloci ruote
- e lo scalpiccio di cavalli assai veloci,
- hai turbato per lungo tratto la serena aura
- della notte; e hai diradato le tenebre
- con grandi torce, così come quando Plutone
- fece rimbombare la terra di Sicilia
- da una costa all’altra con il suo carro,
- innanzi a cui splendevano le fiaccole
- delle Furie con capelli di serpenti.
- Così tornasti a casa; ma qui ti attendeva
- con nuovi impegni la tavola,
- che era ricoperta da cibi saporiti
- e vini inebrianti dei colli francesi o di Spagna,
- o di Toscana, o il Tokai ungherese
- a cui Bacco concedette una corona
- di verde edera, e disse: “Siediti, regina
- delle mense”. Infine il Sonno in persona
- ti rassettò i morbidi materassi, dove,
- dopo che ti fosti coricato, il servo fedele
- chiuse le tende di seta:
- e a te dolcemente ha chiuso gli occhi
- il gallo che di solito apre quelli degli altri.
1 Giovin Signore: il poemetto si apre con un’allocuzione al protagonista de Il Giorno, cioè al “giovin signore” simbolo della dissipatezza e dell’assenza di valori della classe aristocratica settecentesca. L’intento è chiaramente ironico, in quanto ribalta la classica invocazione alle Muse che apriva i poemi mitologici.
2 Si veda come qui l’iperbato spezzi la sintassi regolare della frase: è una scelta tipica dello stile classicheggiante di Parini.
3 genitor frugale: Parini allude al fatto che il “giovin signore” possa anche essere figlio di un uomo di condizione mediocre, che si è arricchito in pochi decenni (v. 6: “pochi lustri”) ed ha quindi scalato le gerarchie sociali. Anche in questo caso, il poeta prende ironicamente di mira la superficialiità della condizione di vita del suo protagonista, basata solo sui privilegi di casta o sul potere del denaro.
4 Questa elaborata immagine - che compare solo nell’edizione del 1763 del poemetto - si regge su una contrapposizione ironica: sia che il “giovin signore” appartenga ad una famiglia di antica nobiltà (vv. 1-3: “a te scenda per lungo di magnanimi lombi ordine il sangue purissimo celeste”) o sia che egli sia nobile solo per aver comprato il titolo (vv. 4-5: “emendino il difetto i compri onori e le adunate in terra o in mar ricchezze”), egli deve ascoltare ciò che il poeta (v. 7: “Precettor d’amabil Rito”). Il tono sarcastico è ulteriormente sottolineata dalla scelta lessicale del “Rito”, che deriva dal contesto delle cerimonie religiose
5 La seconda parte dell’introduzione del Mattino è sempre giocata sull’ironia assai pungente di Parini, che vuol trasmettere al giovane i consigli migliori per evitare la noia e il fastidio della vita. Da qui parte infatti la descrizione accurata della vita inutile e superflua del “giovin signore”.
6 Qui Parini utilizza l’universo mitologico a fini sarcastici: Venere e Mercurio stanno ad indicare rispettivamente le case di piacere e i locali d’azzardo che il “giovin signore” ha “devotamente” (v. 18) visitato nei suoi viaggi in Francia o in Inghilterra.
7 Il “giovin signore” insomma rifiuta la prospettiva della carriera militare, simboleggiata dal dio della guerra, Marte. Egli preferisce infatti gli agi e i piaceri della sua esistenza improduttiva.
8 Qui la polemica pariniana si scaglia contro il sistema scolastico dell’epoca, antiquato e fondato solo su metodi repressivi e violenti, che causano le “giovanili strida” (v. 30) degli alunni e trasformano le materie più alte e nobili in “mostri e [...] vane orride larve” (v. 28).
9 grande appare: il Sole quindi si trova sulla linea dell’orizzonte.
10 intiepidìr: è una forma apocopata (cioè troncata) di “intiepidirono”, e dà una sfumatura letteraria ed arcaica al tono del poeta.
11 sacri arnesi: gli attrezzi da lavoro sono sacri sia perché hanno origine divina (sono infatti doni di Cerere e Pale), sia perché vengono nobilitati dal lavoro umano.
12 Cerere, nel sistema religioso romano, era la dea della terra e della fertilità, mentre Pale era la protrettrice del bestiame e degli allevamenti.
13 opre: il latinismo, da opus, operis, è sintomatico dello stile classicheggiante e sostenuto di questo passo, che contribuisce, per antitesi, al tono ironico di tutta l’introduzione del Mattino.
14 L’antitesi tra il “buon villan” e il “giovin signore” è insomma netta: il primo lavora per le classi agiate, mentre il secondo - come si vedrà nei versi successivi - si dedica esclusivamente ai piaceri della vita.
15 parca mensa: Secondo i critici, è a questo passo che pensava Giacomo Leopardi nel suo Sabato del villaggio (v. 28), quando descrive uno “zappatore” che fa ritorno alla sua umile dimora. In effetti i due testi condividono l’ambientazione rurale e la descrizione del modesto mondo contadino, anche se assai diversa risulta essere la poetica dei due autori.
16 gisti: “andasti”, forma dotta dal verbo latino eo, is, ii, itum, ire.
17 male agiate: si tratta di una litote, con cui si spiega che il letto del contadino non è affatto comodo come quello del nobile.
18 In questo passo, la figura retorica dell’iperbole serve a sottolineare sarcasticamente il distacco tra la vita de “l’umile vulgo” (v. 60) e le occupazioni frivole e mondane del “giovin signore”, paragonato ad un figlio degli dei.
19 patetico gioco: Parini allude al gioco d’azzardo; in questo caso, “patetico” vuol dire che il rischio del gioco suscita emozioni nei presenti.
20 producesti: latinismo per “protraesti”, dal verbo latino produco, producis, produxi, productum, producere, “condurre avanti, spingere”.
21 aureo cocchio: altro latinismo.
22 Pluto: similitudine mitologica che si riferisce al ratto di Proserpina da parte di Plutone.
23 novi studi: latinismo ironico per “occupazioni”.
24 Ognarese bottiglia: il Tokaj ungherese è un vino molto pregiato.
25 È una parodia dell’investitura regale; in questo caso è il dio Bacco a conferire la corona di edera alla bottiglia di Tokaj, per sottolinearne la qualità e il pregio. L’uso di un immaginario mitologico a fine ironico si ritrova anche in un altro celebre episodio de Il Giorno, quello della “vergine cuccia”.