Introduzione
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è una poesia di Cesare Pavese pubblicata nella raccolta omonima, edita postuma nel 1951 dopo il suicidio dell’autore. Il testo è incentrato sulla delusione amorosa patita per l’attrice americana Constance Dowling e costituisce una importante tappa all’interno dell’attività poetica di Pavese, dopo i versi di Lavorare stanca del 1936.
Analisi
Dopo la pubblicazione della prima raccolta poetica, Lavorare stanca, nel 1936, Pavese dedica gran parte del suo impegno letterario all’attività di narratore (lungo una linea che va da Paesi tuoi a La luna e i falò, passando per opere importanti quali Il carcere, i Dialoghi con Leucò e La casa in collina) o a quella di traduttore, che vede lo scrittore impegnato su opere quali il Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce, Moby Dick di Herman Melville e, più avanti, Uomini e topi di John Steinbeck. A ciò s’aggiunge il lavoro redazionale presso la casa editrice Einaudi, di cui Pavese diventa una delle anime principali.
Tra l’esordio in versi del 1936 e il ritorno alla poesia degli ultimi anni di vita c’è dunque una significativa parentesi temporale, che spiega le differenze tra la prima raccolta e La terra e la morte, una raccolta di nove testi del 1945 pubblicati sulla rivista «Le tre Venezie» nel 1947, e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, dieci testi (di cui due in lingua inglese: To C. from C. e Last blues, to be read some day) composti tutti nella primavera del 1950. Le due raccolte, accorpate, compongono poi il volume pubblicato nel 1951.
Accomuna le due raccolte una circostanza biografica, in quanto entrambe sono ispirate da un’infelice storia d’amore: La terra e la morte per Bianca Garufi, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi per Constance Dowling 1. Da qui la continuità tematica del dolore e della sofferenza e della equivalenza tra amore e morte e il ricorso insistito ad un nucleo di immagini e metafore ricorrenti (come la terra, la morte, il mare, gli occhi della donna). Se però La terra e la morte, anche per ragioni cronologiche, si avvicina maggiormente alla poetica del mito dei Dialoghi con Leucò, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (come dimostra bene anche il testo che dà il titolo alla raccolta) è più assimilabile ad una sorta di canzoniere lirico d’amore, che riallaccia la poesia pavesiana ai grandi modelli della tradizione: Petrarca da un lato e Leopardi dall’altro. Si possono spiegare così l’ossessione tematica sulla disperazione d’amore e le scelte metrico-formali più “conservative” rispetto al verso lungo, di tono disteso e narrativo di Lavorare stanca (come si vede molto bene in I mari del sud).
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, che riporta la data del 22 marzo 1950, evidenzia molto bene queste caratteristiche: il testo sviluppa infatti una breve e impietosa riflessione del poeta sulla fine di un amore che chiude ogni speranza sul futuro, quasi prefigurando il suicidio dell’io poetico. La poesia mostra una chiara disposizione del tema: il primo verso, come una legge ineludibile, sancisce l’unione tra gli occhi dell’amata e la morte che il poeta immagina imminente; la morte stessa (vv. 2-5) appare del resto come la vera compagna dello scrittore, “ dal mattino alla sera” (v. 2). Gli occhi (vv. 5-10), che costituiscono un classico topos della tradizione lirica (basti pensare a tutto lo Stilnovismo), diventano quindi un motivo di sofferenza:
[...] una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Chiude quindi la prima strofa (vv. 10-12) un’altra considerazione senza scampo: il crollo della “cara speranza” nel momento fatidico della morte.
La seconda parte di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi si apre, simmetricamente alla prima, con una considerazione gnomica (v. 13: “Per tutti la morte ha uno sguardo”), che focalizza l’associazione morte-occhi, ribadita dal v. 14, identico al primo. Seguono quindi immagini di incomunicabilità e silenzio (“un viso morto”, v. 17; “un labbro chiuso”, v. 19), che sono un simbolo trasparente dell’assenza di fiducia nel futuro dopo l’abbandono dell’amata. L’ultimo verso suona quindi come il preannuncio di una morte silenziosa, di uno silenzioso sprofondamento nel “gorgo” dell’oblio. Il tono di congedo dalla vita si trova anche in Last blues, to be read some day, che chiude la raccolta:
‘T was only a flirt
you sure did know -
some one was hurt
long time ago.All is the same
time has gone by -
some day you came
some day you’ll die.Some one has died
long time ago -
some one eho tried
but didn’t know.
Parafrasi
Metro: Strofe di novenari.
- Verrà la morte e avrà i tuoi occhi -
- questa morte che ci accompagna
- dal mattino alla sera, insonne,
- sorda, come un vecchio rimorso
- o un vizio assurdo. I tuoi occhi 2
- saranno una vana parola,
- un grido taciuto, un silenzio 3.
- Così li vedi ogni mattina
- quando su te sola 4 ti pieghi
- nello specchio. O cara speranza,
- quel giorno sapremo anche noi
- che sei la vita e sei il nulla 5.
- Per tutti la morte ha uno sguardo.
- Verrà la morte e avrà i tuoi occhi 6.
- Sarà come smettere un vizio,
- come vedere nello specchio 7
- riemergere un viso morto,
- come ascoltare un labbro chiuso.
- Scenderemo 8 nel gorgo muti.
- Verrà la morte e avrà i tuoi occhi -
- la morte che ci accompagna
- tutto il giorno, senza darci tregua,
- insensibile, come un vecchio rimpianto
- o un’abitudine assurda. Il tuo sguardo
- sarà una parola inutile,
- un grido strozzato, un silenzio.
- Tu vedi così i tuoi occhi ogni mattina
- quando, da sola , ti sporgi
- verso lo specchio. O dolce speranza,
- quando moriremo capiremo anche noi
- che sei la vita ma anche che sei illusione.
- La morte ha uno sguardo per ciascuno.
- Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
- Sarà come interrompere un’assurdità,
- vedere nello specchio
- un viso morto che riemerge,
- come ascoltare un labbro che non parla.
- Moriremo senza una parola.
1 In una pagina del Mestiere di vivere del 13 maggio del 1950, Pavese annota: “In fondo, in fondo, non ho colto questa straordinaria avventura, questa cosa insperata e fascinosa, per ributtarmi al mio vecchio pensiero, alla mia antica tentazione - per avere un pretesto per ripensarci…? Amore e morte - questo è un archetipo ancestrale” (C. Pavese, Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi, 2000, p. 396).
2 Frequente nella prima strofa la figura dell’enjambement (vv. 2-3; vv. 4-5; vv. 5-6), che scandisce e segmenta le disilluse constatazioni dell’io poetico.
3 una vana parola, un grido taciuto, un silenzio: si noti la progressione in climax ascendente dei tre termini. Dall’inutilità della parola si passa al grido soffocato in gola fino al silenzio.
4 su te sola: non manca, nella caratterizzazione essenziale della donna cui Pavese si rivolge, una sfumatura di solitudine, da cui ovviamente traspare la sofferenza del poeta per la fine della relazione amorosa.
5 Nei tre versi si nota un’eco dal Leopardi di A Silvia (vv. 49-55: “Anche peria fra poco | la speranza mia dolce: agli anni miei | anche negaro i fati | la giovanezza. Ahi come, | come passata sei, | cara compagna dell’età mia nova, | mia lacrimata speme!”) e di A se stesso (vv. 2-5: “Perì l’inganno estremo, | ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento, | in noi di cari inganni, | non che la speme, il desiderio è spento”).
6 La ripresa del primo verso crea un effetto ritmico cupo e bloccato, assai adatto al clima di Verrà la morte.
7 Si tratta di un’altra ripresa simmetrica rispetto alla prima strofa.
8 Scenderemo: l’uso del futuro in tutto il componimento non ha mai una sfumatura positiva od ottimistica.