Il settimo capitolo della Coscienza di Zeno inizia con una riflessione del protagonista riguardo all’attività commerciale di Guido. Zeno infatti desidera aiutare l’amico, ormai marito di Ada, nel suo lavoro, sia per tenersi occupato e migliorare nell’arte del commercio, sia per dimostrare il suo totale disinteresse per Ada. Così Zeno inizia a collaborare e a lavorare per Guido per due anni “senz’altro compenso che la gloria di quel posto nella stanza direttoriale”. I due anni di lavoro non portano però nessun successo commerciale, e Zeno resta fedele al suo “capo” solo per un’insana amicizia; ed è qui che si palesa la divergenza (sfruttata a fini letterari) tra Zeno e l'autore reale: Zeno è autenticamente convinto di essere amico di Guido, ma Svevo è abile nel comunicare al lettore che il suo è un altro dei tanti autoinganni con cui Zeno mette in atto la sua ipocrita innocentizzazione:
Per tanto tempo gli portai il sacrificio della mia libertà e mi lasciai trascinare da lui nelle posizioni piú odiose solo per assisterlo! Una vera e propria manifestazione di malattia o di grande bontà, due qualità che stanno in rapporto molto intimo fra di loro.
L’affetto che scaturisce da questa frequentazione quotidiana con Guido diventa un sentimento molto profondo. Un giorno Luciano, l’unico dipendente che i due hanno all'impresa commerciale fondata da Guido, presenta a Guido una giovane e bellissima ragazza in cerca di lavoro, Carmen. La signorina viene immediatamente assunta da Guido, sebbene quasi priva di esperienza come stenografa. La presenza della giovane, evidentemente non assunta per meriti professionali, porta Guido a impegnarsi ardentemente nel lavoro, sia per dimostrare a Zeno che la nuova impiegata è effettivamente necessaria, sia per corteggiarla tramite il lavoro. Carmen diventa l’amante di Guido e, contemporaneamente, gli affari iniziano a peggiorare a causa di operazioni sbagliate volute dal capo. Una notte, angustiato da una malattia passeggera che affligge la piccola figlia Antonia, Zeno confessa alla moglie la tresca tra Carmen e il cognato Guido, ma facendole promettere di non dire nulla alla sorella Ada. Intanto gli affari vanno a rotoli:
Una strana avarizia era il principale difetto di Guido che fuori degli affari era tanto generoso. Quando un affare si dimostrava buono, egli lo liquidava frettolosamente, avido d’incassare il piccolo utile che gliene derivava. Quando invece si trovava involto in un affare sfavorevole, non si decideva mai ad uscirne pur di ritardare il momento in cui doveva toccare la propria tasca.
Guido e Ada mettono al mondo due gemelli e la poverina, straziata da una gravidanza e da un parto complicati, si ammala. Questa è l'opportunità per Zeno di tornare su una delle costanti tematiche di tutto il romanzo, ovvero i concetti di salute e malattia:
Io non sono un medico e perciò non pensai ad una malattia, ma cercai di spiegarmi l’alterazione nell’aspetto di Ada come un effetto della convalescenza dopo il parto. Ma come si poteva spiegare che Guido non si fosse accorto di tanto mutamento avvenuto nella sua donna? Intanto io, che sapevo a mente quell’occhio, quell’occhio ch’io tanto avevo temuto perché subito m’ero accorto che freddamente esaminava cose e persone per ammetterle o respingerle, potei constatare subito ch’era mutato, ingrandito, come se per vedere meglio avesse forzata l’orbita.
Poco dopo viene diagnosticato ad Ada il Morbus Basedowii e la donna viene spostata in una casa di cura a Bologna. In questo frangente Guido si dimostra crudele e irrispettoso nei confronti della moglie, proponendo di porre Carmen a capo della famiglia durante l’assenza di Ada, ma la proposta viene bocciata. Nel frattempo Zeno si accorge che ormai l’attività di Guido sta per andare in bancarotta. Guido, dopo essere stato avvisato dall’amico della situazione disastrosa delle sue finanze, chiede alla moglie un versamento dalla dote e, per ottenerlo, tenta il suicidio solo per smuovere gli affetti della moglie. Il suicidio viene quindi simulato con tutte le precauzioni e gli accorgimenti del caso, al fine di non rischiare neanche lontanamente la propria vita. Ada gli accorda il prestito, ma la situazione rimane critica, e i soldi non sono mai sufficienti a colmare le perdite tanto che Guido, terrorizzato dal carcere per bancarotta, inizia a giocare in Borsa. Inizialmente vince e vive nell’illusione di aver trovato una certa tranquillità, poi inizia a perdere.
La situazione diventa ingestibile e, nonostante il continuo prodigarsi di Zeno e la sua generosità nei confronti del cognato, Guido decide di ritentare una seconda volta un suicidio simulato, per ottenere nuovamente prestiti. Ma le cose non vanno come l’uomo aveva programmato (tra le righe e sotto forma di lapsus psicoanalitico si intuisce che è Zeno a suggerire la dose errata di sonnifero) e Guido perde realmente la vita. Zeno, affranto dalla perdita dell’amico, decide di portare avanti gli affari del cognato per tutelare Ada e i bambini. Il giorno del funerale sbaglia però corteo funebre e, giunto in ritardo al funerale, decide di non entrare nel cimitero per non interrompere la cerimonia: è l'ennesimo "atto mancato" di Zeno che non ha affatto intenzione di rendere l'ultimo omaggio all'amico e che quindi si inventa inconsciamente una serie di giustificazioni (fatte silenziosamente trapelare da Svevo, alle spalle del suo protagonista). Ada si risente moltissimo per la sua assenza e, in un dialogo a due, rimprovera a Zeno di non aver amato abbastanza il marito e di aver sempre provato gelosia nei suoi confronti. Ecco il passo in cui il protagonista e un collega (il Nilini) scoprono l'errore, e in cui poi Zeno confessa la verità sul suo rapporto con Guido:
Quando si arrivò al posto dove di solito le vetture si fermano, il Nilini sporse la testa dalla finestra e diede un grido di sorpresa. La vettura continuava a procedere dietro al funerale che s’avviava al cimitero greco.
“Il signor Guido era greco? “ domandò sorpreso.
Infatti il funerale passava oltre al cimitero cattolico e s’avviava a qualche altro cimitero, giudaico, greco, protestante o serbo.
“Può essere che sia stato protestante!” dissi io dapprima, ma subito mi ricordai d’aver assistito al suo matrimonio nella chiesa cattolica.
“Dev’essere un errore!” esclamai pensando dapprima che volessero seppellirlo fuori di posto.
Il Nilini improvvisamente scoppiò a ridere di un riso irrefrenabile che lo gettò privo di forze in fondo alla vettura con la sua boccaccia spalancata nella piccola faccia.
“Ci siamo sbagliati!” esclamò. Quando arrivò a frenare lo scoppio della sua ilarità, mi colmò di rimproveri. Io avrei dovuto vedere dove si andava perché io avrei dovuto sapere l’ora e le persone ecc.
Era il funerale di un altro!
Irritato, io non avevo riso con lui ed ora m’era difficile di sopportare i suoi rimproveri. Perché non aveva guardato meglio anche lui? Frenai il mio malumore solo perché mi premeva più la Borsa, che il funerale.
L’accusa di non aver voluto abbastanza bene all'amico e di non essersene occupato a dovere è la stessa che la Ada, moglie di Guido, muove poi contro se stessa, decidendo infine di partire per sempre. Zeno, che nella sua psiche nevrotica è tormentato dai sensi di colpa per non aver aiutato a sufficienza Guido (e forse per averne desiderato la morte), soffre moltissimo all’idea di non avere più l’occasione di scagionarsi agli occhi di Ada. E, connesso a questa nuova malattia, c'è sempre il tentativo del protagonista (che si riflette nella stesura delle proprie "memorie") di apparire miglior di quello che in realtà è, e quindi di autogiustificarsi) di fronte al dottor S.