Svevo, "La coscienza di Zeno" : "Psicoanalisi"

Nella strategia obliqua della narrazione della Coscienza, l’ultimo capitolo del romanzo, intitolato Psico-analisi, segna un ulteriore salto di qualità. A differenza dei precedenti, che non seguivano una linearità cronologica precisa aggregando le varie considerazioni dell’io narrante in una struttura per così dire tematica, l’ultimo capitolo si struttura invece in forma di diario, dal 3 maggio 1915 al 24 marzo 1916 (quindi a cavallo dell’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria, che causa l’isolamento di Zeno, restato a Trieste, dal resto della famiglia sfollata a Torino), ma soprattutto si aggiunge ai precedenti dopo una soluzione di continuità nella scrittura da parte di Zeno ("Dal Maggio dell’anno scorso non avevo più toccato questo libercolo"). Dalle solite mezze frasi di Zeno capiamo che le sue inopinate fortune commerciali - e pure quella che lui considera esplicitamente la sua "guarigione" - coincidono con delle vere e proprie attività di speculazione di guerra. E proprio la guerra, la Grande Guerra col suo carico di orrori totalitari e tecnologici, è l’orizzonte sul quale si staglia l’ultima, terribile e insieme ironica immagine del libro: quella celebre d’un certo uomo, innominato ma "degli altri un po’ più ammalato", che s’impossessa di un "esplosivo incomparabile", "s’arrampica al centro della terra" e causa "un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie".
 
Un finale cosmico e cosmicomico, che può fare venire in mente certo Leopardi (per esempio l’operetta morale Cantico del gallo silvestre), ma che in generale evoca la costellazione del grande pensiero pessimistico tardo-ottocentesco da Svevo ben conosciuto, fra Schopenhauer (nume concettuale in particolare di Una vita) e Nietzsche. L’ambiguità finale di Svevo, che tutte in sé riassume, è quella per cui la dichiarata guarigione dell’individuo coincide con l’estinzione della specie umana dalla faccia della terra: e del resto, si legge in forma d’aforisma in un altro capolavoro degli stessi anni, La montagna magica di Thomas Mann (questo il titolo dell'ultima traduzione): "La malattia è la forma impudica della vita. E la vita a sua volta? È forse soltanto una malattia infettiva della materia".
Sono questi i temi che tornano nei frammenti compiuti del romanzo al quale Svevo stava lavorando al momento della morte improvvisa, che nei manoscritti reca i titoli alternativi Il vegliardo e Il vecchione e nel quale torna in scena uno Zeno Cosini appunto invecchiato e che proprio sulla vecchiaia, ormai non più metaforica, come sempre riflette (nella fantasia di una cura di ringiovanimento, oggetto anche d’un testo teatrale dello stesso periodo, intitolato La rigenerazione).
 
Andrea Cortellessa è un critico letterario italiano, storico della letteratura e professore associato all'Università Roma Tre, dove insegna Letteratura Italiana Contemporanea e Letterature Comparate. Collabora con diverse riviste e quotidiani tra cui alfabeta2, il manifesto e La Stampa - Tuttolibri.