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"Cavalleria rusticana" e la tematica dell'amore in Verga

Riassunto L'amore in "Vita dei campi"

In Vita dei campi Giovanni Verga ci offre una rappresentazione potente e nuova dell’amore e dei rapporti interpersonali. L’amore è il perno tematico di molte di queste novelle, ma esso non è più una passione languidamente sentimentale come nelle prove romanzesche giovanili dell’autore. Abbandonati gli afflati retorico-sentimentalistici di Storia di una capinera e i motivi erotico-mondani di Eros, Tigre reale ed Eva, Verga condensa nella misura breve della novella le suggestioni derivanti dalla sua cupa visione pessimistica delle vicende dell’uomo: il sentimento amoroso diventa così una passione divorante, irresistibile, ma priva di slanci vitali e che spesso fatalmente precipita nella tragedia, con le cui luci spesso vengono illuminate di sbieco le tensioni e le contraddizioni sociali del microcosmo siciliano.

Da parte della voce narrante non troviamo, in accordo con la poetica verista, la benché minima analisi interna della psicologia dei personaggi, la quale viene rappresentata semmai per brevissime manifestazioni corporee. Nella novella La lupa il desiderio è “la sete che si ha nelle ore calde di giugno” 1 e, nel paesaggio bruciato dal sole, correlativo oggettivo della bruciante passione della protagonista, esso prorompe in forme ossessive e quasi animalesche. Le figure verghiane risultano, a riprova della significativa coesione del testo, apparentemente prive di ombre interiori, e mosse da una schietta e implacabile ferinità, dalle leggi dall’appropriazione (la morale della “roba”) e dell’autoconservazione: direttrici narrative e tematiche magistralmente intrecciate nel capolavoro Cavalleria rusticana, che assurge ad exemplum assoluto di questi aspetti. La fine tragica di compare Turiddu, accoltellato a morte da compare Alfio per rispettare la legge dell'onore maschile (e anche nel finale de La lupa balugina una lama) avvicina molte delle novelle di Vita dei campi al modello della tragedia greca, dei dilemmi morali dell’Antigone o di altri eroi sofoclei (così già D. H. Lawrence in un brillante scritto del 1937: “Sembra che i siciliani [di Verga] siano quanto di più vicino ai greci antichi esista oggi”).

Nelle campi e nelle vie di paese amore e morte sono sempre come in agguato, entrambi portatori di sventura o di paradossale salvezza, folgoranti accadimenti che regolano il fluire delle esistenze e i connotati dell’onore. Così anche il buon Jeli, “primo uomo del mondo”, ingenuo pastore sempre più escluso dal consorzio civile, nonostante la fatica di riconoscere il proprio inganno punisce infine il tradimento di don Alfonso con una coltellata (“gli tagliò la gola di un sol colpo, come un capretto” 2). Allo stesso modo, la gelosia e le norme del vivere rusticano sono così connaturate all’umanità tratteggiata da Verga da spingere a una vendetta implacabile persino “chi ha chinato sempre il capo in santa pace”. Per quanto tardivo il moto rivalsa travolge così anche quel “becco” di Pentolaccia, “un bello originale anche lui” 3 che si accorge dopo una vita del tradimento della moglie.

D’altra parte il motivo della violenza come crocevia tematico della fedeltà e dell’onore (che spesso costituiscono, non solo nell'universo rurale verghiano, il substrato delle pulsioni amorose) appartiene anche a una novella come Guerra di santi, e si riflette nell’ammirazione testarda dell’Amante di Gramigna per il suo vagheggiato brigante. Perché se in quest’ultimo racconto l’amore si esplica nelle forme più spontanee (Peppa è già promessa a un bel giovanotto che ha delle “terre al sole” 4) e irrazionali (“la notte lo vedeva in sogno” 5), la molla pulsionale che spinge la ragazza a cercare Gramigna deriva dal valore di questi nel rispondere “a schioppettate” 6 ai suoi inseguitori, né si blocca quando quella stessa brutalità le si ritorce contro (“quando tornava con le mani vuote, [...] il suo amante, divorato dalla fame e dalla sete, la batteva” 7). Non dovrà sembrare bizzarro allora che nel finale la giovane provi per i carabinieri che le hanno incarcerato Gramigna, dopo avergli rotto la gamba a fucilate, “una specie di tenerezza rispettosa, come l’ammirazione bruta della forza” 8. È la legge darwiniana del più forte che continua a regolare “le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori” e gli avvenimenti cruciali delle vite di questi “vinti”, così distanti dalle vite borghesi da risultare, per effetto straniante, interessanti anche all’interlocutrice di Fantasticheria (cui appunto si garantiva che “lo spettacolo vi parrà strano, e perciò forse vi divertirà” 9).

Motivi legati all’amore saranno allora da leggere “in negativo” anche in una novella come Rosso Malpelo, dove appunto la ruvidezza del carattere del fanciullo non sarà che una reazione uguale e contraria nei confronti del mondo che lo disprezza. Malpelo ci appare sotto questa prospettiva ferito dall’indifferenza della madre e della sorella, assetato d’affetto e ossessionato dalla morte del padre che aveva fatto “la morte del sorcio” 10, l’unico che gli aveva voluto bene 11. In questo senso, Malpelo trasforma questo poco d'amore paterno nel distorto insegnamento trasmesso a forza di “busse” e percosse a Ranocchio, nel tentativo di prendersi cura di lui con le buone o con le cattive. Malpelo si assume paternamente la briga di inculcare a Ranocchio la dura, leopardiana legge di vita che va imparando (“ora gli occhi se li mangiano i cani [...]. E se non fosse mai nato sarebbe stato meglio” 12) e non può comprendere quella madre nel vedere il figlio mortalmente malato (“come se il suo figliolo fosse di quelli che guadagnano dieci lire a settimana” 13), dal momento che invece “sua madre non aveva mai pianto per lui perché non aveva mai avuto timore di perderlo” 14. Siamo insomma alla sconfessione del più elementare affetto tra madre e figlio

Nella staticità del mondo arcaico-rurale di Vita dai campi nemmeno l’amore cede a forze socio-economiche che appaiono sempre come naturali, materialisticamente determinate e immutabili. L’amore può solo temporaneamente superare le divisioni sociali (L’amante di Gramigna), l’etica della famiglia (Cavalleria rusticana), la morale comune (La lupa e Rosso Malpelo), ma alla fine la legge della "roba" trionfa sempre. 

 

Bibliografia essenziale:

- Storia della letteratura italiana, Roma, Salerno Editrice, 1999.
- R. Luperini, Verga, in Letteratura italiana Laterza, Roma-Bari, Laterza, 1975.
- G. Verga, Tutte le novelle, introduzione di C. Riccardi, Milano, Mondadori, 2004.
- S. Zappulla Muscarà, Invito alla lettura di Verga, Milano, Mursia, 1976.

1 G. Verga, Tutte le novelle, introduzione di C. Riccardi, Milano, Mondadori, volume I, 2004, p. 187.

2 Ivi, p. 161.

3 Ivi, p. 208.

4 Ivi, p. 194.

5 Ivi, p. 195.

6 Ivi, p. 193.

7 Ivi, p. 196.

8 Ivi, p. 198.

9 Ivi, p. 123.

10 Ivi, p. 164.

11 Ivi, p. 172: “Malpelo se li lisciava sulle gambe quei calzoni di fustagno quasi nuovo, gli pareva che fossero dolci e lisci come le mani del babbo che solevano accarezzargli i capelli, così ruvidi e rossi com'erano”.

12 Ivi, p. 173.

13 Ivi, p. 176.

14 Ibidem.