Simbolismo e decadentismo

Salve, cosa accomuna l'inetto di Svevo, Mattia Pascal, e andrea sperelli?


il 27 Maggio 2015, da Emanuel Sola

luca ghirimoldi il 29 Maggio 2015 ha risposto:

Ciao Emanuel, il panorama di confronto è davvero ampio sia per il temi trattati sia per l’arco cronologico in cui si dispongono le principali opere di riferimento: “Il Piacere” (1889; qui trovi una lezione a riguardo: https://library.weschool.com/lezione/d-annunzio-romanzo-5554.html), “Il fu Mattia Pascal” (1904; qui un’analisi a video: https://library.weschool.com/lezione/luigi-pirandello-mattia-pascal-adriano-meis-6621.html) e “La coscienza di Zeno (1923; qui un’introduzione: https://library.weschool.com/lezione/coscienza-di-zeno-svevo-e-psico-analisi-5331.html). Una linea di analisi potrebbe essere quella di chiedersi che tipo di personaggio i tre romanzieri propongono in un periodo storico cruciale come quello che va dall’ultimo decennio dell’Ottocento ai primi anni venti del Novecento. Dietro all’immagine che D’Annunzio, Pirandello e Svevo danno del loro personaggio (Andrea Sperelli, Mattia Pascal e Zeno Cosini; su Alfonso Nitti ed Emilio Brentani potremmo fare discorsi abbastanza simili) c’è ovviamente la loro visione del mondo e del senso dell’esistenza individuale. Anzi, l’evoluzione del personaggio nel giro di un trentennio ci dice molto anche della società e della cultura in cui i tre autori vivono. Secondo me, possiamo riassumere così: D’Annunzio con Andrea Sperelli sa intercettare in maniera molto abile i gusti e le aspettative del pubblico di fine secolo, cui propone come modello il proprio altre-ego: l’affascinante, infelice e dissoluto (sino alla sua “sconfitta” nel finale dell’opera) Andrea, che si fa portavoce del Decadentismo e del gusto snobistico ed aristocratico dello stesso D’Annunzio (che ovviamente faceva molta presa sul gusto borghese dell’epoca). Il romanzo diventa così un lunghissimo catalogo di oggetti, scorci di città (Roma, ovviamente), interni lussuosi e molteplici rimandi e citazioni letterarie. D’Annunzio, come anche più avanti nella sua produzione, crea insomma un “superuomo” caratterizzato dalla forza delle passioni e dalla sua vita “inimitabile” (in totale sintonia con l’impostazione che D’Annunzio diede alla sua: https://library.weschool.com/lezione/d-annunzio-poesia-5774.html). L’identità monolitica dannunziana si sfalda e si sfrangia un quindicennio dopo, con Mattia Pascal e i suoi mutevoli mascheramenti; tutta l’opera, all’insegna di quella che sarà la poetica dell’umorismo pirandelliano ( https://library.weschool.com/lezione/riassunto-luigi-pirandello-poetica-umorismo-6525.html), può essere letta come una farsa o come una tragedia. Mattia è l’emblema dell’uomo novecentesco scisso tra identità e forma, ovvero tra ciò che si è (o si pensa di essere) e ciò che gli altri credono che siamo. Il cambiamento rispetto al “Piacere” è radicale: tanto Sperelli è una figura al di sopra della media (ricco e di successo), tanto Pascal è un individuo fallito, sia nella vita privata che in quella lavorativa. Per lui, non è la “volontà di potenza” (per riprendere un’espressione nietzschiana: https://library.weschool.com/lezione/friedrich-nietzsche-riassunto-anticristo-nichilismo-zarathustra-ubermensch-7191.html) a guidare la sua vita, quanto, all’opposto, il caso. È per un caso fortuito che Mattia “diventa” Adriano Meis, salvo poi accorgersi che anche con un’altra identità “non è possibile vivere” al di fuori della “forma”. Questo personaggio non può affermare sulla scena la propria visione del mondo, ma anzi deve adattarsi (come si dice nel finale del romanzo) ad essere un “forestiere della vita”. Questa condizione di alienazione - se possibile - è ancora più profonda e radicale nella “Coscienza di Zeno”, dove ad essere messi in crisi (con un’operazione tanto corrosiva quanto sottile) gli strumenti stessi del narrare, secondo una tendenza già vista in Pirandello (anche in altre sue opere). Pensa all’uso del “tempo misto” della narrazione, che mescola alla cronologia reale degli eventi quella interna di Zeno, secondo i grandi modelli del Modernismo europeo ( https://library.weschool.com/corso/joyce-ulisse-eliot-waste-land-woolf-gita-al-faro-beckett-aspettando-godot-7595.html), come Joyce o Proust. Oppure al ricorso esteso al monologo di Zeno, che spesso smaschera da solo i propri autoinganni, come nel caso del vizio del fumo ( https://library.weschool.com/lezione/inettitudine-svevo-fumo-3-5368.html) o del capitolo sulla morte del padre ( https://library.weschool.com/lezione/svevo-coscienza-di-zeno-morte-capitolo-4-5564.html). Il meccanismo ironico della “Coscienza” usa e al tempo stesso manda in crisi gli ingranaggi della psicoanalisi freudiana ( https://library.weschool.com/corso/psicoanalisi-sigmund-freud-io-es-superio-7214.html), sancendo il definitivo abbandono della tradizione del romanzo ottocentesco, a cui D’Annunzio, nel suo trionfo citazionistico, era ancora debitore. Il “messaggio” finale dell’opera non è affatto rassicurante: anziché assicurare la guarigione, l’operazione di scrittura autobiografica ha portato alla luce i frammenti contraddittori di una esistenza che non sembra avere un ordine superiore (nel capitolo sulla morte del padre, Zeno emblematicamente dice: “Ricordo tutto, ma non intendo niente”) e che anzi coincide, nel finale del romanzo, con la malattia stessa, che è la condizione normale dell’umanità: “La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinato l’aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V’è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza… nel numero di uomini. […] Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. […] Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quasi innocui giocattoli. […] Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e malattie”. Cioè, per Svevo non è solo Mattia Pascal ad essere il “matto” e l’anormale, ma lo siamo tutti noi. Spero di verti dato almeno un traccia per il ragionamento; per approfondire, trovi qui i nostri corsi sui tre autori ( https://library.weschool.com/corso/d-annunzio-biografia-poesie-il-piacere-alcione-il-notturno-5771.html - https://library.weschool.com/corso/il-fu-mattia-pascal-sei-personaggi-in-cerca-d-autore-poetica-luigi-pirandello-7399.html - https://library.weschool.com/corso/biografia-svevo-romanzi-una-vita-senilita-coscienza-di-zeno-5718.html); per ogni altra domanda, siamo a disposizione! Buona giornata! :)


grazie tante! non pensavo di ricevere una risposta cosi esaustiva! La mia domanda comunque era riferita sopratutto alla figura de "l'inetto" e a come si colleghi ai romanzi di inizio '900, di cui appunto Pirandello, Svevo e D'annunzio sono tre "esponenti". Ancora grazie! Continuo a supportare il sito! - Emanuel Sola 29 Maggio 2015

Figurati, grazie a te! Per la figura dell'inetto (già presentata da "Una vita" e "Senilità", davvero anticipatori in questo senso) il riferimento d'obbligo è Svevo. D'Annunzio è un ottimo esempio per una antitesi, mentre in Pirandello - più che l'inettitudine del singolo - viene messa in evidenza la natura fittizia, artefatta e infine teatrale di ogni nostro comportamento, tanto che (come in molte "Novelle"), anche ciò che è paradossale e assurdo può diventare la norma. Oppure, pirandellianamente, la "forma" dell'esistenza. Buono studio! :) - luca ghirimoldi 29 Maggio 2015