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“Ciaula scopre la luna” di Pirandello: riassunto e commento

Introduzione

 

Ciàula scopre la luna è uno dei testi pirandelliani più noti delle Novelle per un anno, la famosa raccolta di testi brevi pirandelliani che, ricollegandosi agli esiti del Verismo verghiano, sviluppano i temi tipici dell’autore siciliano: le “maschere” sociali che tutti noi indossiamo, la poetica dell’Umorismo, il rapporto ambiguo tra esistenza e forma. In Ciàula scopre la luna lo sguardo del narratore si concentra su una vicenda della Sicilia rurale, prendendo come scenario quello di una cava di zolfo. La novella viene pubblicata per la prima volta nel 1907.

 

Riassunto

 

In una miniera in Sicilia (“la buca della Cace”), una sera il sorvegliante Cacciagallina, con la pistola in pugno, ordina ai suoi lavoratori di continuare a lavorare tutta la notte per finire il carico della giornata. Cacciagallina se la prende in particolar modo con un vecchio minatore, cieco da un occhio, chiamato Zi’ Scarda. Mentre tutti minatori, però, si rifiutano e tornano in paese, solo il vecchio Zi’ Scarda rimane, insieme al caruso Ciàula 1. Anche se molto stanco, il ragazzo, “che aveva più di trent’anni (e poteva averne anche sette o settanta, scemo com’era)”, non può che rimanere, obbedendo agli ordini di Zi’ Scarda. Ciàula è del resto abituato alla scarsa luce della miniera, dove non ha paura del buio ed anzi si trova perfettamente a proprio agio come un animale nel suo ambiente naturale:

Cosa strana: della tenebra fangosa delle profonde caverne, ove dietro ogni svolto stava in agguato la morte, Ciàula, non aveva paura: né paura delle ombre mostruose, che qualche lanterna suscitava a sbalzi lungo le gallerie, né del subito guizzare di qualche riflesso rossastro qua e là in una pozza, in un stagno d’acqua sulfurea: sapeva sempre dov’era; toccava con la mano in cerca di sostegno le viscere della montagna: e ci stava cieco e sicuro come dentro il suo alvo materno.

Ciàula ha piuttosto un altro tipo di terrore: quello dell’oscurità che troverà all’uscita della cava, all’aria aperta nella notte. Il panico è dovuto ad un’esperienza tragica: tempo prima uno scoppio nelle gallerie ha ferito a un occhio Zi’ Scarda e ucciso il figlio di quest’ultimo; e Ciàula era scappato a nascondersi in una cavità lontano da tutti, restandovi per molte ore con la lanterna rotta. Quando a tentoni era uscito dalle gallerie deserte nella notte senza luna - quando lui si sarebbe aspettato di trovare la luce del sole, come tutti gli altri giorni - gli aveva instillato la terribile paura di trovarsi da solo senza vedere nulla di ciò che lo circondava:

S’era messo a tremare, sperduto, con un brivido per ogni vago alito indistinto nel silenzio arcano che riempiva la sterminata vacuità, ove un brulichìo infinito di stelle fitte, piccolissime, non riusciva a diffondere alcuna luce.

Si capisce allora che il dover rimanere a scavare nella miniera con Zi’ Scarda diventi un motivo di angoscia per il povero Ciàula, soprattutto quando, schiacciato dal carico pesantissimo che sta trasportando sulle spalle, si avvicina all’ingresso della miniera dove sa che lo coglierà il buio terrificante della notte. In realtà, il finale è a sorpresa: Ciàula esce dalla cava e, per la prima volta, vede la Luna che rischiara ed illumina il paesaggio circostante. La tensione si scioglie quindi in una commozione liberatoria:

E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore. 

 

Commento

 

Il rapporto tra Verga e Pirandello: due poetiche differenti

 

La novella pirandelliana affronta da un lato il tema delle dure condizioni di vita nella Sicilia post-unitaria (che si collegano alla scottante “questione meridionale” già presente nella narrativa e enlla novellistica verghiana) ma dal’altro si carica di significati simbolici.

La condizione dei lavoratori in questi “formicai” è messa a fuoco da Pirandello innanzitutto tramite il personaggio di Zi’ Scarda. Quest’uomo, benché non più nell’età di poter lavorare, è costretto a farlo per via della morte del figlio che gli ha lasciato “sette orfanelli e la nuora da mantenere”. Zi’ Scarda viene dunque descritto come un povero diavolo irriso anche dai compagni di lavoro, ed è subito caratterizzato per la smorfia che fa con il labbro, ovvero “il suo versaccio solito” per raccogliere “il saporino di sale” di una lacrima. Si tratta di un particolare apparentemente “comico”, una sorta di piccola distrazione (“un gusto e un riposo”) durante le ore passate a picconare. In realtà fra le lacrime di Zi’ Scarda si nasconde un sottofondo “umoristico”. Queste infatti tracciano sul volto del personaggio dei solchi che rimandano per analogia ai terribili cunicoli sotterranei della miniera, dove è morto il figlio di Zi’ Scarda; per lui la lacrima “più salata delle altre” è un modo per ricordarlo. Questo elemento è cioè un misto di patetismo e di comicità, cioè di umorismo, si allontana radicalmente dai modi rappresentativi del Naturalismo e del Verismo. Infatti, se Pirandello non manca di rendere conto del vestiario e dei particolari oggettivi che caratterizzano le figure dei due protagonisti, Pirandello è più interessato a sfumare la resa oggettiva dei due “picconieri” mettendo sotto la lente d’ingrandimento l’interiorità deformata di Zi’ Scarda e di Ciàula. La prospettiva, perciò, non è quella del narratore naturalista che racconta con obiettività la vicenda, né quella del narratore “corale” di Verga, in cui il linguaggio e i giudizi rispetto a quello che viene raccontato appartengono alla stessa società messa in scena. Il darwinismo che c’era in Verga è ancora presente in questa novella fin dalle prime battute del testo: Il “vinto” Zi’ Scarda sa che può sfogarsi con Ciàula, trasferendo su di lui le stesse angherie che lui stesso subisce da Cacciagallina e dai minatori più giovani e forti. Eppure, il centro dell’interesse della novella è dato dalla reversibilità dei rapporti di valore, dall’attenzione allo scavo psicologico ed emotivo, dalla moderna frantumazione dell’io dei personaggi 2

Anche il ragazzo, che manifesta evidenti limiti mentali, è descritto con elementi umoristici: il suo panciotto “bello largo e lungo” è un’elemosina ma appare sudicio di sporcizia; i suoi tratti fisiognomici sono quelli di un essere a metà strada tra l’uomo e l’animale 3 e la sua indole da ingenuo lo fa assomigliare ad un uomo primitivo, incapace di comprendere ciò che avviene attorno a lui:

Se qualcuno dei compagni gli dava uno spintone o gli allungava un calcio, gridandogli: - Quanto sei bello! - egli apriva fino alle orecchie ad ansa la bocca sdentata a un riso di soddisfazione, poi infilava i calzoni, che avevano più d’una finestra aperta sulle natiche e sui ginocchi; s’avvolgeva in un cappotto d’albagio tutto rappezzato, e, scalzo, imitando meravigliosamente a ogni passo il verso della cornacchia - crah! crah! - (per cui lo avevano soprannominato Ciàula), s’avviava al paese.

Pirandello allo stesso tempo si ricollega all’interesse per la veridicità storica dei fatti che era stata per esempio del Verga di Vita dei campi e delle Novelle rusticane (i carusi venivano mandati a lavorare poco più che bambini, in una condizione di sostanziale schiavitù, come in Rosso Malpelo, di cui in questa novella si riecheggia il tragico incidente finale), ma si differenzia da quest’ultimo per l’attenzione - tipica del Decadentismo - per gli elementi psichici irrazionali ed emotivi. Così, se Ciàula rimanda alla celebre fisionomia di Malpelo (cioè quella del “diverso” all’interno di un gruppo sociale chiuso), in realtà se ne differenzia in maniera netta perché lui, nella sua condizione miserevole, è un personaggio del tutto straniato dal mondo che lo circonda. Ciàula è paradossalmente più a proprio agio (“cieco e sicuro”, in una sorta di ossimoro) nelle tenebre della miniera che nel buio della notte; mentre Malpelo aveva “il cuoio duro” e un punto di riferimento nel padre, Ciàula è inerme e non può contare che sulla pietà di Zi’ Scarda. Se in Malpelo la vita della miniera aveva prodotto un rigida morale di determinismo e autoconservazione, per Ciàula il brutale mondo sotterraneo è un “alvo materno”, e i rapporti simbolici sono tutti sottosopra. Malpelo è descritto come un “selvatico”, ma è solo un ragazzino indurito dalla vita; Ciàula è un uomo fatto, ma ha la mente di un bambino.

Alla vista della Luna nel finale, tuttavia, Ciàula si carica di un’umanità improvvisamente nuova. L’immagine potentemente evocativa dell’uomo “estatico”, solitario e in lacrime, nella penombra che ora modifica i contorni delle cose, è l’immagine di chi ha scoperto un valore relativo di cui era rimasto ignaro fino a quel momento. Il contrasto tra la bellezza stupefacente della Natura notturna, del tutto ignara e inconsapevole di Ciàula e degli uomini, e le violenze e le paure della miniera si palesa in maniera evidente. Ciàula, lo scemo, scopre una nuova realtà, prima mascherata ai suoi occhi: ovviamente egli sapeva cos’era la Luna, “ma come tante cose si sanno, a cui non si è mai dato importanza». Solo ora rimuove il velo di inconsapevolezza che lo aveva contraddistinto ed esce dalla propria condizione di minorità. Può così risorgere - la complessa simbologia della Luna rimanda probabilmente al mito di Iside e Persefone - come da un mondo infernale, in una sorta di fusione panica con la Natura.

1 In siciliano, il “caruso” è il giovane di età minorile che, soprattutto nelle campagne e in condizioni sociali disagiate, svolgevano lavori manuali sotto la guida di un adulto.

2 In questo senso, vengono qui anticipate alcune tendenze del romanzo novecentesco, che troveremo sia nei romanzi di Pirandello sia, ad esempio, ne La coscienza di Zeno di Italo Svevo.

3 Una iena o una cornacchia, come appunto indica il soprannome Ciàula, che in siciliano significa appunto “corvo”.