Elio Vittorini nasce il 23 luglio del 1908 a Siracusa, in Sicilia. Il padre, ferroviere, si sposta moltissimo per lavoro lungo tutta la regione, portando con sé la famiglia; Elio, adolescente irrequieto, inizia dunque a viaggiare quando è molto piccolo, e, desideroso di scoprire un mondo più ampio e vasto di quello dei suoi orizzonti provinciali, scappa frequentemente di casa per esplorare luoghi nuovi e sconosciuti. A sedici anni, stanco della scuola di ragioneria cui era stato iscritto per volere della famiglia, abbandona per sempre la Sicilia nel 1924. Trovato un impiego a Gorizia, prende corpo la sua formazione culturale, modellata sui grandi scrittori europei del tempo (Gide, Proust, Joyce e Kafka) in reazione al provincialismo della cultura del regime. Sempre di questo periodo, è l'avvicinamento alle posizioni fasciste - intese però come anti-borghesi - di Curzio Malaparte e della rivista "Strapaese", che Vittorini esprime in un articolo apparso nel 1926 su “La conquista dello stato”. L’anno successivo, proprio grazie all’intervento di Malaparte, Vittorini viene preso come collaboratore a “La Stampa”, e, dopo aver spedito a “La fiera letteraria” il suo primo racconto dal titolo Ritratto di re Gianpiero, lo vede apparire sulle pagine della rivista.
Nel 1927 Vittorini sposa la sorella del poeta Salvatore Quasimodo, Rosa, che gli darà l’anno successivo il primo figlio, Curzio, nome scelto per il legame con Malaparte. Poco dopo, nel 1929, lo scrittore ritorna sul carattere “provinciale” della letteratura italiana pubblicando alcuni interventi sulle prestigiose pagine della rivista fiorentina “Solaria” (al tempo, principale voce per dare un respiro europeo alla cultura italiana soffocata dal regime e dalle sua pretese autarchiche). Nel 1931 vede la luce, sempre sotto le insegne della rivista fiorentina, Piccola borghesia, prima raccolta di racconti Vittorini che, trasferitosi l'anno prima a Firenze, è segretario di redazione di "Solaria" e correttore di bozze per il quotidiano "La Nazione". Nel 1930 va a vivere con la famiglia a Firenze, chiamato dal direttore di “Solaria”, che lo assume come segretario di redazione. Qui comincia a fare anche il correttore di bozze per “La Nazione”. All'identità di "solariano" (cui all'epoca si associa la connotazione di antifascista, anche se per ora lo scrittore si considera un "fascista di sinistra", vicino alle posizioni di Romano Bilenchi o Vasco Pratolini) Vittorini somma la frequentazione in questo periodo della Firenze intellettuale ed ermetica, riunita all’epoca nel caffé delle “Giubbe Rosse”. In questo clima elitario di apertura all'esterno prende corpo in Vittorini la passione per la cultura e la lingua anglosassone: imparato l'inglese quasi da autodidatta, l'autore intraprende la carriera di traduttore, che negli anni a venire gli permetterà di lavorare a stretto contatto con il mondo editoriale, sia come collaboratore che come direttore di importanti collane.
Nel 1933 pubblica a puntate sulle pagine di “Solaria” Il garofano rosso, suo primo romanzo (censurato dal regime perché offensivo della morale), e nell’anno successivo diventa padre per la seconda volta, questa volta di Demetrio. Nel 1936 (mentre lo scoppio della guerra civile in Spagna lo fa orientare in maniera definitiva contro i diversi fascismi europei, schierandosi con le forze repubblicane e pubblicando un articolo che provoca la sua cacciata dal partito) inizia a lavorare su Conversazione in Sicilia, una delle sue opere principali sia sul piano contenutistico che su quello stilistico: inizialmente pubblicato a puntate su "Letteratura", il romanzo viene ripubblicato in volume prima da Parenti (1941) e poi da Bompiani (1942), ma verrà colpito ancora dalla censura. Nel 1938 si trasferisce a Milano per lavorare da Bompiani, e la famiglia lo segue in questa avventura lombarda, che si rivela da subito molto turbolenta a causa del riavvicinamento di Vittorini con un vecchio amore milanese, Ginetta Varisco. L’opera di censura perpetrata ferocemente dal regime fascista, colpisce anche l’importante antologia “Americana”, una raccolta dei principali narratori statunitensi del tempo e di cui Vittorini ha redatto le note critiche. Il secondo conflitto mondiale e la guerra di Resistenza vedono lo scrittore attivamente impegnato: si occupa della stampa clandestina (attività che lo conduce anche a trascorrere un periodo nel carcere di San Vittore) e collabora coi partigiani. Questa esperienza, fondamentale per l'intellettuale e per l'uomo Vittorini, si traduce nell'immediato dopoguerra nella pubblicazione per Bompiani di Uomini e no (1945), punto di maggiore vicinanza tra l'autore e il Neorealismo.
Lasciata la famiglia per vivere con Ginetta Varisco a Milano, Vittorini nel 1945 diviene direttore dell’”Unità” e fonda il settimanale (poi mensile) “Il Politecnico”, esperienza editoriale che punta a smuovere il dibattito sulla cultura e la società italiana, ma che durerà solo fino al dicembre del 1947 a causa di scontri ideologici tra la linea originale di Vittorini e la posizione di Togliatti e, nel complesso, del Partito Comunista Italiano. L’attività di romanziere intanto procede: del 1947 è Il Sempione strizza l'occhio al Frejus, e nel '49 Le donne di Messina. Nel 1951 Einaudi gli affida la cura della collana di narrativa “I gettoni”, grazie alla quale farà esordire moltissimi talenti nascenti, che si riveleranno scrittori di successo (tra gli altri, Carlo Cassola, Beppe Fenoglio, Mario Rigoni Stern, Leonardo Sciascia). Al tempo stesso, Vittorini collabora con Mondadori, per cui rifiuta di pubblicare Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa, grande best-seller del 1957. In questi anni, Vittorini continua ad occuparsi del ruolo della cultura nella società moderna ed industriale (fonda con Italo Calvino la rivista "Il menabò") e affronta questioni di critica letteraria nel Diario in pubblico (1957). Vittorini, ormai malato, si spegne il 12 febbraio 1966 a Milano. Postumi vengono pubblicati il volume di saggi ed articoli Le due tensioni (1967) e il romanzo incompiuto Le città del mondo” (1969).