Dante nel suo viaggio ultramondano incontra anche uno dei suoi modelli (soprattutto per quanto riguarda le implicazioni morali della vita politica): Brunetto Latini (1220ca. - 1294) compare infatti nel terzo girone del VII cerchio dell’Inferno (siamo nel quindicesimo canto della Commedia), nel luogo in cui vengono puniti i violenti contro Dio, la Natura e l’Arte. Brunetto Latini fu un uomo politico e un letterato della Firenze del XIII secolo, e nacque attorno al 1220 e morì presumibilmente nel 1294. Fu figlio del notaio Bonaccorso Latino, mestiere che anch'egli intraprese; nel 1260 venne mandato per una ambasceria presso il re di Castiglia e Léon Alfonso X per chiedere aiuto per l’imminente scontro tra i guelfi e i ghibellini alleati a Manfredi (1232-1266, poi ricordato nel terzo canto del Purgatorio), ma sulla strada del ritorno venne a sapere della sconfitta guelfa nella celebre battaglia di Montaperti e della sua proscrizione da Firenze in seguito alla presa del potere da parte dei Ghibellini. Brunetto si fermò così in Francia, continuando ad esercitare la sua attività di notaio, fino al 1266, quando dopo la battaglia di Benevento poté tornare nella città natia, di nuovo in mano guelfa. Dopo il suo rientro in patria continuò la sua attività di uomo politico ricoprendo incarichi di notevole prestigio, come nel 1280, quando divenne mallevadore per i guelfi o quando in seguito entrerà nel Consiglio del Podestà per divenire alla fine priore nel 1287.
L’opera per cui si ricorda Brunetto Latini è sicuramente Li livre du Trésor, una vasta enciclopedia scritta in francese durante il suo periodo di esilio e poi tradotta in italiano; opere scritte invece nella sua lingua materna sono il Tesoretto, un poemetto allegorico, incompiuto, in settenari a rima baciata, e che figura tra le fonti d’ispirazione per la Commedia stessa; la Rettorica, volgarizzamento con abbondante commento di alcuni capitoli del De Inventione ciceroniano, oltre ad un epistolario molto ricco.La sua attività e preparazione retorica si vede anche nello svolgimento dei suoi incarichi politici; infatti, secondo lo storico Giovanni Villani (1276-1348) e la sua Nuova Cronica, Brunetto fu “cominciatore e maestro in digrossare i Fiorentini e fargli scorti in bene parlare, e in sapere guidare e reggere la nostra Repubblica secondo la Politica”.
Nell’Inferno Dante, dopo aver lasciato la selva dei suicidi del XIII canto, costeggia il Flegetonte e giunge in un grande deserto infuocato dove vengono puniti i violenti, i bestemmiatori, i sodomiti e gli usurai; Brunetto si trova tra i sodomiti, anime che sono costrette a camminare nella sabbia infuocata e che sono costantemente investite da una pioggia di fuoco, dalla quale cercano disperatamente di proteggersi. I peccatori sono divisi in diverse schiere che non possono mai mescolarsi, e chi si dovesse fermare anche solo per un istante sarebbe ulteriormente condannato a dover rimanere sulla sabbia bollente senza potersi neanche riparare dalla pioggia infuocata. Come spiega Brunetto:
«O figliuol», disse, «qual di questa greggia
s’arresta punto, giace poi cent’anni
sanz’arrostarsi quando ‘l foco il feggia.
Però va oltre: i’ ti verò a’ panni;
e poi rigiugnerò la mia masnada,
che va piangendo i suoi etterni danni.»
(vv. 37-42)
L’incontro con il maestro è uno dei punto più importanti della Commedia sia per il colloquio con Brunetto stesso sia per la polemica contro la corruzione della città natia dei due letterati: si fondono così in un unico episodio due delle linee di lettura principali (quella del confronto con i propri modelli e quella del diretto intervento “politico” da parte di Dante) dell’intera opera. Il rapporto di amicizia e affetto si nota sin dal primo incontro dei due, come si vede dall’espressione di sorpresa di Brunetto (v. 24: “Qual maraviglia”), mentre tira il vecchio amico per la veste (vv. 23-24: “Fui conosciuto da un, che mi prese | per lo lembo”), e dalla reazione di pietas e di familiarità del protagonista (vv. 27-30: “sì che ‘l viso abbruschiato non difese | la conoscenza sua al mio ‘ntelletto; | e chinando la mano a la sua faccia, rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?»”). A ciò s’aggiungono gli altri stilemi che costellano il dialogo (v. 31: “O figliuol mio” v. 31; v. 34: “Quanto posso, ven preco”; v. 60: “dato t’avrei a l’opera conforto”; vv. 70-72: “la tua fortuna tanto onor ti serba, | che l’una parte e l’altra avranno fame | di te; ma lunghi fia dal becco l’erba”). Ma di grande rilievo è anche l’invettiva contro i costumi ormai degradati della città a cui Brunetto fa riferimento durante il breve colloquio con Dante (vv. 61-99). Come già in precedenza Ciacco (Inferno, vv. 49-51, 71-73) anche Brunetto parlando in Firenze e dei suoi abitanti mette in luce la spiccata presenza di alcuni caratteri che hanno portato alla distruzione morale e sociale della comunità, come l’avarizia, la superbia e l’invidia:
Ma quello ingrato popolo maligno
che discese di Fiesole ab antico,
e tiene ancor del monte e del macigno,
ti si farà, per tuo ben far, nimico;
ed è ragion, chè tra li lazzi sorbi
si disconvien fruttare al dolce fico.
Vecchia fiamma nel mondo li chiama orbi;
gent’è avara, invidiosa e superba;
dai lor costumi fa che tu ti forbi.
(vv. 61-69)
Il tono con cui Brunetto parla dei suoi concittadini assume tinte più aspre e violente man mano che il colloquio prosegue proprio per enfatizzare la condanna morale della situazione a Firenze. L’espressione topica e sentenziosa “ti si farà, per tuo ben far, nimico” (v. 64), con cui Brunetto profetizza il futuro esilio di Dante, presenta anche una “spia” linguistica che sottolinea ulteriormente la dimensione “politica” del testo dantesco. Le parole che Brunetto usa riecheggiano quelle di Ciacco, pochi cerchi sopra (Inferno, VI, v. 81: “e li altri ch’a ben far puoser li ‘ngegni”), come a sottolineare che la condanna all’esilio è stata ingiusta, dato che Dante ha sempre agito onestamente e per il bene di Firenze 1. Ed anche il congedo da Brunetto e dal XV canto dell’Inferno è funzionale ad una sorta di ultimo saluto amichevole al dannato. Dopo aver indicato alcuni personaggi famosi nelle schiere dei sodomiti, Dante, con una bella similitudine “sportiva” con il palio di Verona, paragona Brunetto al vincitore in un gruppo di corridori, mettendo ancora una volta in evidenza la superiorità intellettuale del suo maestro, nonostante egli non faccia parte delle anime beate:
Poi si rivolse, e parve di coloro
che corrono a Verona il drappo verde
per la campagna; e parve di costoro
quelli che vincono, non colui che perde.
(vv. 121-124)
Bibliografia essenziale:
- D. Alighieri, La Divina Commedia, a cura di U. Bosco e G. Reggio, Firenze, Le Monnier, 2002.
- Enciclopedia Dantesca, in Enciclopedia Treccani, Milano, Mondadori.
1 Ad ulteriore conferma di ciò (e come tributo morale da parte dell'autore), il “ben fare” si trova anche nel Tesoretto di Brunetto Latini (v. 108).