Riassunto
Un uomo racconta, con fare molto misterioso, una mania che da qualche giorno ha e che lo tormenta segretamente. È un avvocato e professore di diritto con gravosi impegni lavorativi e obblighi pubblici e privati, che mantiene un rigoroso decoro e non si concede alcun tipo di distrazione. Un giorno, sul treno di ritorno da Perugia, non riuscendo a concentrarsi sulle carte che si è portato appresso per continuare il lavoro, l’avvocato ha contemplato per un istante, fuori dal finestrino, l’incantevole campagna davanti ai propri occhi, senza realmente vedere nulla. Il suo sguardo ha infatti fissato ciò che c’è all’esterno restando assorto in un’idea che gli si è affacciata alla mente, ovvero la percezione del “brulichio d’una vita diversa” e il ricordo di “desiderii prima svaniti che sorti”. Il protagonista, insomma, ha una sorta di visione della vita che, per la maschera 1 impostagli dal mondo e dalla società, non ha mai vissuto. Una vita in cui lo spirito, ora schiacciato dalle incombenze della sua posizione d’avvocato, “si sarebbe ritrovato; anche per soffrire, non per godere soltanto, ma di sofferenze veramente sue” 2. Da qui, gli nasce una “atroce afa della vita”, che gli rende insopportabile l’esistenza quotidiana sinora condotta.
Tornato a casa si ferma davanti alla porta di ingresso a osservare la targa con i titoli e il proprio nome e ne rimane turbato, non riconoscendola più come sua. Lo invade tutt’a un tratto “la spaventosa certezza” di essere ormai diverso dall’uomo che abita normalmente quella casa, e si vede come estraneo a se stesso, come “un nemico”. Il moto di distruzione che lo prende lo fa quasi reagire violentemente contro gli oggetti della casa, contro la moglie e i figli, ma un sentimento “strano, penoso, angoscioso, di loro” 3 lo fa desistere per rientrare nella sua usuale ed impassibile esistenza. L’uomo non cambia abitudini e conserva la “forma” 4, ovvero la maschera falsa e inautentica che lo rappresenta di fronte agli altri. L’uomo si concede solo una trasgressione: ogni giorno, quando è nel proprio studio ed è sicuro di non essere disturbato, si concede il gesto apparentemente insensato di prendere la cagna che dorme lì per le zampe posteriori e di farle fare “la carriola” per una decina di passi. Il terrore negli occhi dell’animale diventa, agli occhi dell’uomo, la dimostrazione che non si può uscire dal ruolo che il mondo ci ha, in un modo o nell’altro, assegnato.
Commento
Questa novella viene pubblicata nel 1917 nella raccolta E domani, lunedì... e successivamente nel volume Candelora del 1928. La narrazione è svolta in prima persona da un uomo nevrotico, scisso, e ha una struttura circolare. All’inizio, infatti, questo personaggio fa accenno, senza precisare, a una creatura femminile che lo guarda insistentemente, e a un misterioso “atto” che egli compie, segno della sua “cosciente follia”. È la figura della reticenza, per mezzo della quale il narratore svela solo una parte del contenuto della storia, lasciando il lettore in sospeso. Solo alla fine, quando la cornice si chiude, si potrà capire chi è la misteriosa “vittima” 5 del suo comportamento tanto segreto. Le tre parti centrali della novella sono infatti nettamente contraddistinte da un primo momento, sul treno, che ha funzione di antefatto; un secondo momento, davanti alla porta di casa, che rappresenta una chiara epifania (ovvero, di una rivelazione di carattere esistenziale sulla vita); un terzo momento esplicativo, che coincide con il ritorno alla forma e la trasgressione della “carriola”. Quest’ultima parte a sua volta si muove prima dal particolare al generale (“Ora la mia tragedia è questa. Dico mia, ma chi sa di quanti!”, p. 558) e poi, una volta chiarite le premesse, dalla condizione generale alla particolare mania del protagonista, che racconta l’atto “terribile” in una sorta di confessione (“Ecco. Ho una vecchia cagna lupetta”, p. 560).
È importante notare che la prospettiva del narratore non è, come potrebbe sembrare, ironica. Il “folle” avvocato si racconta con parole serissime, che vanno intese letteralmente, perché ha ormai introiettato l’imposizione sociale della sua maschera e la repressione di ogni suo tentativo di evaderne. Piuttosto, tale sguardo sul mondo è umoristico (nel senso pirandelliano del termine) agli occhi del lettore, che ne può comprendere tutta la complessità di uomo diviso tra la sua “forma morta” e l’altro da sé che vorrebbe essere. Nel mondo di Pirandello, del resto, hanno un ruolo centrale il caos e il movimento del divenire, che contrastano ogni forma di fissità, avvertita come negativa. L’avvocato de La carriola si pone come un significativo (e più semplice) precursore del Vitangelo Moscarda in Uno nessuno e centomila (1926), come ben esemplificano queste parole:
Chi vive, quando vive, non si vede: vive... Se uno può vedere la propria vita, è segno che non la vive più: la subisce, la trascina. Come una cosa morta, la trascina. Perché ogni forma è una morte. [...] E grido, l’anima mia grida dentro questa forma morta che mai non è stata mia: «Ma come? Io, questo? Io, così? Ma quando mai? 6
Con penetrazione psicologica Pirandello condensa nello sguardo della cagna, che apre e chiude la novella, la doppia repressione che può essere aggirata solo con la follia, con la devianza dalla norma. Quest’ultima però non conduce a nessuna liberazione dalla maschera, ed anzi si risolve in una condizione instabile e non rappacificata. Gli occhi della cagna “atterrita” 7 sono lo sguardo della società che giunge a frugare negli angoli più riposti della vita privata e reagisce con indignazione e rifiuto; ma sono anche, e soprattutto, quella parte della coscienza del personaggio cristallizzata nel ruolo di censore e giudice delle sue azioni, costantemente all’erta (“non le è possibile ammettere che io scherzi, per un attimo solo”, p. 561), che continua ad agire e insinua nel protagonista un sentimento, non detto, di vergogna e di colpa.
È il Super-Io che Freud avrebbe teorizzato nel saggio l'Io e l'Es (1923), ed è un tema che troverà una centralità assoluta nell’opera di Franz Kafka (si pensi a suoi capolavori come La metamorfosi o Il processo), ma che qui è già percepibile, sottolineato anche dalla struttura perfettamente calibrata del testo, davvero assai significativa. Negli occhi della bestia “già appannati dalla vecchiaja” 8, allora, si legge anche lo sguardo della figura genitoriale, secondo la teoria freudiana, la prima a strutturare la coscienza dell’individuo e la cui suggestione continua a lavorare nell’inconscio dell’avvocato e a regolarne le pulsioni 9.
Bibliografia:
L. Pirandello, Novelle per un anno, a cura di M. Costanzo, premessa di G. Macchia, vol. 3, tomi I-II, Milano, Mondadori, 1990.
1 La riflessione pirandelliana sulla “maschera”, oltre che nel saggio su L’umorismo, è centrale sia nelle Novelle per un anno che nei principali romanzi e, ovviamente, nella produzione per il teatro (si pensi a Enrico IV o ai Sei personaggi in cerca di autore).
2 L. Pirandello, Novelle per un anno, a cura di M. Costanzo, premessa di G. Macchia, vol. 3, tomi I-II, Milano, Mondadori, 1990, p. 555.
3 Ivi, p. 557.
4 Ivi, p. 558.
5 Ivi, p. 553.
6 Ivi, pp. 558-559.
7 Ivi, p. 561.
8 Ivi, p. 560.
9 Si ritorni quindi all’incipit: “Quand’ho qualcuno attorno, non la guardo mai; ma sento che mi guarda lei”, p. 553.