La posizione di Marx all’interno della sinistra hegeliana e il suo distacco dal pensiero di G. W. F. Hegel (di cui, tra le altre cose, Marx contesta l’interpretazione stessa del concetto di dialettica e di alienazione) si specifica ancor meglio nel 1848 quando il filosofo tedesco redige a quattro mani con Friedrich Engels uno dei testi più celebri (e più citati) degli ultimi due secoli: il Manifesto del Partito Comunista. Composto per il secondo congresso della Lega dei comunisti fondata l’anno precedente, il Manifesto, composto da un breve prologo e da quattro sezioni (Borghesi e proletari, Proletari e comunisti, Letteratura socialista e comunista, Posizione dei comunisti di fronte ai diversi partiti di opposizione), unisce la teoria marxista (quella dei Manoscritti economico-filosofici e poi del Capitale) alla concreta pratica, coniugandole con il tono perentorio dell’implicit:
Uno spettro s’aggira per l’Europa - lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi.
Se il 1848 è anche l’anno delle grandi insurrezioni contro l’Europa nata dalla Restaurazione, anche in queste righe è chiara la percezione, da parte degli autori, di trovarsi ad uno snodo fondamentale della storia, tale per cui le forze che si oppongono al mondo borghese devono esporre coerentemente le proprie idee (“è ormai tempo che i comunisti espongano apertamente in faccia a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito stesso”). L’analisi dialettica di Marx ed Engels parte da una constatazione di fondo: da che esiste la società umana, è sempre esistita la lotta tra fazioni diverse, e la borghesia capitalista ha solo semplificato queste contrapposizioni:
La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi.
[...] La società borghese moderna, sorta al tramonto della società feudale, non ha eliminato gli antagonismi tra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove calssi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta. La nostra epoca, l’epoca della borghesia, si distingue però dalle altre per aver semplificato gli antagonismi di classe. L’intera società si va scindendo sempre più in due grandi campo nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l’una all’altra: borghesia e proletariato.
Si badi bene: i due studiosi non disconoscono affatto i grandi meriti della classe borghese e la sua “parte sommamente rivoluzionaria nella storia”, che anzi ha spezzato le catene del dominio feudale e che “ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d’illusioni religiose e politiche”. L’egemonia borghese, che ha investito tutti i livelli della società e della vita individuale (il lavoro, il denaro, la famiglia, il sistema di valori e di credenze) e ha trasposto le proprie dinamiche su scala globale, può sussistere però solo come rivoluzione perenne che investa gli “strumenti di produzione, i rapporti di produzione, [...] tutti i rapporti sociali”. Per questo motivo (e come dimostrano le ricorrenti crisi produttive del capitalismo), è ora che un’altra classe, il proletariato, assuma le redini del divenire; generata all’interno dello stesso sistema borghese (“la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che le porteranno la morte; ha anche generato gli uomini che impugneranno quelle armi: gli operai moderni, i proletari”), questa nuova classe sociale è la sola “realmente rivoluzionaria”, e la sola che può e deve scalzare - anche con la fase dispotica della “dittatura del proletariato” - quel sistema basato su forza-lavoro salariata, alienazione e moltiplicazione del capitale. Obiettivo finale è abbattere non (solo) la borghesia in quanto classe, ma il rapporto di produzione che, secondo le leggi del materialismo storico, rappresenta le “condizioni di esistenza dell’antagonismo di classe”, mirando cioè ad abolire “le condizioni d’esistenza delle classi in genere”.
I punti programmatici individuati nella seconda parte del Manifesto (tra cui: espropriazione della proprietà fondiaria, imposta fortemente progressiva, accentramento statale dei mezzi di produzione, gestione centralizzata della produzione agricolo-industriale) vanno di pari passo con le pesanti critiche ai diversi tipi di socialismo (il socialismo feudale, quello piccolo-borghese, quello tedesco, quello conservatore e quello critico-utopistico) contenute nella terza sezione. Il tutto converge nella prefigurazione di una nuova società di uomini e donne e nell’appello che chiude l’ultima sezione:
Le classi dominanti tremino al pensiero d’una rivoluzione comunista. I proletari non hanno che da perdervi le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare.
PROLETARI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI!