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Eugenio Montale, “Ho sostato talvolta nelle grotte”: parafrasi e commento

In seguito all’esperienza della spiaggia (descritta in Scendendo qualche volta), al poeta non resta che sperimentare il contatto con il mare nelle speloncheche questo scava sulla costa. Ultimo punto prima del panismo totale, dato verosimilmente dall'immersione in acqua, le grotte sono un altro luogo in cui si può osservare la potenza dei flutti. Consapevole della millenaria forza necessaria per scavare le rocce, il poeta decide di addentrarsi tra di esse: da qui trarrà un resoconto della propria esperienza.

Una volta nella spelonca le onde regalano un incredibile momento epifanico: l'emersione di una città perduta (verosimilmente la platonica Atlantide), mediata contenutisticamente dall'opera di Claude Débussy e formalmente dal linguaggio architettonico, diventa la massima espressione del mare, tramite la quale all'io lirico viene proposta una “patria”. Essa, dall'aspetto sfavillante e incredibilmente puro, seduce l'“esiliato”, il quale, alla sola contemplazione, sente di aver finalmente trovato il suo luogo di appartenenza. Una possibilità per il panismo tanto agonizzato, dunque, è in corso di realizzazione; inoltre, il mare guadagna qui l'appellativo di “padre”, il quale rinvia all'ideale della protezione e della comprensione, fortemente opposto all'esilio nella natura matrigna che causa il “male di vivere” dell'io lirico.

Improvvisamente, però, il perfetto moto ondoso mette in risalto un dettaglio fortemente pregnante della Liguria montaliana: i “rottami”, simbolo del rigetto e conferma della legge marina. L'io lirico affronta allora la verità per cui, così come ci si unisce al mare, da esso si può venir separati, per sua stessa volontà. Ecco quindi il bivio: l'abbandono al mare, corrispondente alla “sosta” (cioè la fine del divenire snervante, della mutabilità della natura e l'affidamento ad un principio assolutore) oppure la “minaccia” che l'esistenza comporta (riassumibile con il “male di vivere”), confermati l'uno dal vitalismo del mare e l'altro dalla quiete del vento, corrispondente negli Ossi all'assenza di vita.

Metro: ventinove versi di varia tipologia con prevalenza di versi lunghi (è addirittura presente un tridecasillabo), forse ad indicare la grandezza delle costruzioni che il mare fa emergere dal proprio ventre, espressa quindi tramite una magniloquenza versale. Sono presenti diversi enjambements, incastonati sulla lunghezza dei versi, e rime sparse, più frequenti rispetto alle liriche precedenti.

  1. Ho sostato talvolta nelle grotte
  2. che t'assecondano 1, vaste
  3. o anguste, ombrose e amare.
  4. Guardati dal fondo gli sbocchi
  5. segnavano architetture
  6. possenti campite di cielo 2.
  7. Sorgevano dal tuo petto
  8. rombante aerei templi,
  9. guglie scoccanti luci:
  10. una città di vetro 3 dentro l'azzurro netto
  11. via via si discopriva da ogni caduco velo
  12. e il suo rombo non era che un sussurro 4.
  13. Nasceva dal fiotto la patria sognata.
  14. Dal subbuglio emergeva l'evidenza.
  15. L'esiliato rientrava nel paese incorrotto 5.
  16. Così, padre, dal tuo disfrenamento
  17. si afferma, chi ti guardi, una legge severa 6.
  18. Ed è vano sfuggirla: mi condanna
  19. s'io lo tento anche un ciottolo
  20. róso sul mio cammino,
  21. impietrato soffrire senza nome 7,
  22. o l'informe rottame
  23. che gittò fuor del corso la fiumara
  24. del vivere in un fitto di ramure e di strame 8.
  25. Nel destino che si prepara
  26. c'è forse per me sosta,
  27. niun'altra mai minaccia 9.
  28. Questo ripete il flutto in sua furia incomposta,
  29. e questo ridice il filo della bonaccia 10. riflessione.[/fn].
  1. Mi sono fermato a volte nelle grotte
  2. vicine a te, ampie
  3. o strette, ombrose e salmastre.
  4. Viste dal fondo, le (loro) uscite
  5. mostravano strutture (di roccia)
  6. grandi e forti con sprazzi di cielo.
  7. Emergevano dal centro della tua distesa
  8. fragorosa templi che si innalzavano fino al cielo,
  9. guglie che brillavano alla luce del sole:
  10. una città di vetro al centro dell'azzurro limpido
  11. poco alla volta si scopriva da ogni velo (d'acqua) che cadeva
  12. ed il suo rumore non era altro che un sussurro.
  13. Si scopriva, dalle onde, la città sognata.
  14. Dal caos delle onde risaliva chiarezza.
  15. L'esiliato tornava al paese puro.
  16. Così, padre, con questa liberazione impetuosa
  17. diventa chiara, per chiunque ti guardi, una legge severa.
  18. Ed è inutile cercare di sfuggirvi: vedo la condanna,
  19. se lo prendo, anche in un ciottolo
  20. eroso sul mio cammino,
  21. sofferenza di pietra senza un'identità,
  22. o lo scarto senza forma
  23. che il moto delle acquegettò fuori dal fiume
  24. della vita e lo rese un groviglio di rami ed alghe.
  25. Nel destino che ho davanti
  26. c'è forse per me una sosta,
  27. nessun'altra minaccia.
  28. Questo ripete la corrente nella suo furore caotico,
  29. e questo ripete il soffio della bonaccia.

1 Assecondano: l’immagine della grotta marina, che ritornerà altre volte nella produzione montaliana, è qui simbolo del continuo avvicinamento al mare. In particolare, la grotta comporta, coerentemente all'eco delle “lunghe secche” di A vortice s’abbatte, un'amplificazione del rumore delle onde ed un forte odore salmastro, tratto distintivo del Mediterraneo montaliano.

2 Cielo: grazie ad un linguaggio finemente selezionato, come anche nei versi subito successivi, la grotta marina si trasfigura poco alla volta in una costruzione architettonica. Inizia qui una metamorfosi la cui idea Montale deve a Débussy: nel preludio della sua Cattedrale sommersa, il musicista ricrea una mitica città che risorge dalle profondità marine, offrendo così un soggetto artistico a cui Montale sicuramente non rinuncia. In più, è da ricordare il mito platonico di Atlantide, la città sommersa simbolo di una civiltà perduta, anch'essa custodita dal mare, personificato dal “petto” del verso successivo.

3 Vetro: la limpidezza della città, pura perché emersa dalle acque del mare che la custodivano, affascina incredibilmente l'io lirico. La stessa caratteristica (“di vetro”) è presente, oltre che in diversi componimenti degli Ossi, anche in Forse un mattino andando, diventando qui tratto peculiare della fantastica Liguria montaliana, la quale vibra di magia in particolari momenti e rivela nuove conoscenze.

4 Sussurro: l'io lirico partecipa ad un momento incredibile: la riemersione spontanea della città perduta, custodita dal mare. Da notare l'unicità dell'avvenimento: come per favorire l'ammirazione dell'io lirico e dimostrare la propria potenza, il mare mostra uno dei tesori nascosti nelle sue profondità. Il motivo del “velo”, poi, vale a dire della scoperta della realtà che sta dietro l'apparenza, è ricorrente negli Ossi (cfr., ad esempio, A vortice s’abbatte) e si declina qui secondo il seguente movimento: l'acqua sollevata dagli edifici, che ritorna all'acqua del mare, scopre la città poco alla volta. Da notare è anche il fonosimbolismo, il quale parte dal “rombo” e ripiega sulla /s/ grazie a “sussurro”.

5 Incorrotto: in questo trittico di versi, scandito come per indicare la progressiva emersione della città marina, Montale disegna la condizione di “equorea creatura” (presente anche in Falsetto) a cui aspira per gran parte degli Ossi: verso dopo verso, la “patria sognata” prende forma e diventa un' “evidenza” che, abbandonando la condizione di “esiliato”, l'io lirico desidera raggiungere. Sentendosi sollevato perché il mare sta offrendo un assenso a tutti i suoi precedenti desideri panistici, ritrova la propria casa, il “paese incorrotto” che a lungo aveva agognato.

6 Severa: da notare è, innanzitutto, l'appellativo personificante “padre” dato al mare: il desiderio dell'io lirico si conferma ancora, quindi, di forte ispirazione dannunziana e propende sempre di più verso l'unione con esso siccome è da esso che è stato divinamente generato. Ritorna, poi, l'inclinazione ermeneutica dell'io lirico: osservando il mare, cerca di comprenderne il senso profondo, tant'è che ammette come ciò sia sufficiente per venire a conoscerne la “legge severa”, a cui non si può scappare. È dunque presente, benché minimo, un ripensamento riguardo la figura del mare, che nei prossimi componimenti diventerà sempre più necessario (seguendo uno slancio teso al fallimento simile a quello di Arsenio).

7 Nome: il “ciottolo”, come si è visto e si vedrà, è una componente essenziale del paesaggio ligure montaliano (cfr. Scendendo qualche volta). Qui rappresenta la sconfitta a cui il mare inevitabilmente obbliga, nonché alla sofferenza perpetua per l'espulsione dal ciclo vitale marino: esso è “róso”, perché è straziato dalla rinsacca, e ha perso la propria identità, diventando soltanto un rifiuto abbandonato dalle acque, a cui si era affidato. In esso, dunque, l'io lirico teme di riconoscersi. Da notare, poi, è la dantesca “petrosità” del verso 21, la quale esprime la durezza del pensiero montaliano, mutuata dal ciottolo stesso.

8 Strame: di pari passo con il “ciottolo”, ecco arrivare i “rottami”, precedentemente “inutili macerie” (Antico, sono ubriacato dalla voce). Con un'aspra denominazione fonosimbolica che insiste sulla /r/, gli scarti (corrispondenti agli “ossi di seppia”) non possono che sottostare anch'esse alla “legge severa”, venendo quindi espulsi dalle acque marine e relegati all'infimo stento sulla spiaggia.

9 Minaccia: l'io lirico si trova davanti a due scelte, entrambe dettate da ciò che vede: da un lato, la mitica e seducente città che il mare offre, corrispondente alla “sosta”, ovvero alla cessazione del “male di vivere”; dall'altro, i paradigmatici rifiuti che il mare non ha più voluto con sé, corrispondenti al monito di questo e quindi alla “minaccia”. Al momento, l'io lirico sembra orientato verso l'unione con il mare, ma è da notare quanto rabbrividisca osservandone il “rottame”, cioè lo scarto.

10 Bonaccia: la lirica chiude con due immagini opposte che sembrano rimandare al dualismo (mediato da Débussy) che il mare comporta: da un lato la tempesta, simbolo di potenza e di pericolosità (trasposta fonosimbolicamente dall’insistenza della /f/, che richiama il suono forte del vento), e dall'altro la bonaccia, simbolo di stabilità e tranquillità. In un ultimo slancio ermeneutico, l'io lirico interpreta la “voce”, ma resta fermo sulla riflessione.