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Montale, "Ossi di seppia": introduzione alla raccolta

Ossi di seppia è la prima raccolta di Eugenio Montale. L’opera vede una prima pubblicazione nel 1925 per mano dell’amico editore Gobetti, ed è successivamente rieditata nel 1928 con l’aggiunta di alcune poesie, che non mitigano il tono esistenzialista e filosoficamente "negativo" della prima edizione. Il titolo scelto dal poeta è espressione del sentimento di emarginazione ed aridità nel rapporto con la realtà che caratterizza la prima parte della sua opera poetica. Il rapporto dell’uomo con la natura non è più simbiotico; Montale rifiuta la tradizione a lui antecedente (quella di discendenza romantico-decadente, e ben rappresentata da Gabriele D'Annunzio) della fusione tra l'io poetico e il mondo naturale, così che il paesaggio ligure diventa nudo e desolato come un osso di seppia. Il sole è una presenza costante che secca tutto ciò che raggiunge coi suoi raggi, e l'aspro paesaggio naturale ed animale che l'occhio del poeta descrive è un trasparente simbolo di un suo profondo ed inestirpabile disagio esistenziale.
Ossi di seppia esprime l’impossibilità quasi filosofica da parte di Montale di scrivere di argomenti e valori ‘alti’, e la conseguente rinuncia alla prospettiva di diventare un poeta vate, come D’Annunzio prima di lui. Non si riesce più ad utilizzare la poesia per spiegare realmente la vita e il rapporto dell’uomo con la natura: la realtà stessa appare incomprensibile e inesprimibile, ed il poeta non può che mettere in evidenza questa percezione negativa del suo stare al mondo, scegliendo volutamente un paesaggio aspro e scabro, e un linguaggio poetico che si modella su questa profonda inquietudine personale. Solo di tanto in tanto intravediamo qualche guizzo di speranza, in cui sembra che, per un breve momento, l’uomo possa scoprire la verità ultima che si cela dietro le apparenze del mondo. Questi toni pessimistici e il connesso "male di vivere" montaliano si riflettono nello stile prevalente delle poesie di Ossi di seppia, scritte all'insegna di un linguaggio antilirico e quotidiano, che privilegia un lessico non aulico, una sintassi tendenzialmente prosastica resa vivida da un'accurata ricerca fonico-simbolica sui termini prevalentemente usati. Il recupero e la profonda rielaborazione formale e contenutistica della tradizione letteraria italiana fanno sì che la prima raccolta montaliana - come dimostrano emblematicamente alcuni testi, tra cui I limoniNon chiederci la parola, Meriggiare pallido e assorto - sia un punto fermo tra i più noti e penetranti della nostra poesia novecentesca.