Questa poesia, inserita nella seconda edizione degli Ossi di seppia (1928) narrativizza, con la vicenda di Arsenio, controfigura del poeta, il pessimismo di Montale. Il personaggio è rappresentato nell’atto di intraprendere un viaggio verso il mare, durante una terribile tempesta: un’avventura vista come possibile occasione per il raggiungimento di "un’altra orbita", un’altra dimensione e dunque, fuor di metafora, un momento rivelatorio e in quanto tale salvifico, che possa finalmente imprimere un senso all’esistenza. Questa ricerca è destinata però a risolversi in un fallimento: Arsenio, in sede finale, si ricongiungerà alla moltitudine di morti (così definiti perché immersi in una condizione di non-vita).
Componimento di cinque strofe di endecasillabi sciolti (con tre eccezioni nella prima strofa, nella quale ritroviamo un settenario e due quinari).
- I turbini 1 sollevano la polvere
- sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
- deserti, ove i cavalli incappucciati 2
- annusano la terra, fermi innanzi
- ai vetri luccicanti degli alberghi.
- Sul corso, in faccia al mare, tu discendi 3
- in questo giorno
- or piovorno 4 ora acceso, in cui par scatti
- a sconvolgerne l'ore
- uguali, strette in trama, un ritornello
- di castagnette 5.
- È il segno d'un'altra orbita 6: tu seguilo.
- Discendi all'orizzonte che sovrasta
- una tromba di piombo, alta sui gorghi
- più d'essi vagabonda: salso nembo
- vorticante, soffiato dal ribelle
- elemento alle nubi; fa che il passo
- su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
- il viluppo dell'alghe 7: quell'istante
- è forse, molto atteso, che ti scampi
- dal finire il tuo viaggio, anello d'una
- catena, immoto andare 8, oh troppo noto
- delirio, Arsenio, d'immobilità...
- Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
- dei violini, spento quando rotola
- il tuono con un fremer di lamiera
- percossa; la tempesta è dolce quando
- sgorga bianca la stella di Canicola 9
- nel cielo azzurro e lunge par la sera
- ch'è prossima: se il fulmine la incide
- dirama 10 come un albero prezioso
- entro la luce che s'arrosa: e il timpano
- degli tzigani è il rombo silenzioso 11.
- Discendi 12 in mezzo al buio che precipita
- e muta il mezzogiorno in una notte
- di globi accesi, dondolanti a riva, -
- e fuori, dove un'ombra sola tiene
- mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
- l'acetilene - [finché goccia trepido
- il cielo, fuma il suolo che s'abbevera,
- tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
- le tende molli, un fruscio immenso rade
- la terra, giù s'afflosciano stridendo
- le lanterne di carta sulle strade.
- Così sperso tra i vimini e le stuoie
- grondanti, giunco 13 tu che le radici
- con sé trascina, viscide, non mai
- svelte, tremi di vita e ti protendi
- a un vuoto 14 risonante di lamenti
- soffocati, la tesa ti ringhiotte
- dell'onda antica che ti volge; e ancora
- tutto che ti riprende, strada portico
- mura specchi ti figge in una sola
- ghiacciata moltitudine di morti 15,
- e se un gesto ti sfiora, una parola
- ti cade accanto 16, quello è forse, Arsenio,
- nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
- vita strozzata per te sorta, e il vento
- la porta con la cenere degli astri.
- I turbini di vento sollevano vorticosamente
- la polvere sui tetti e sugli spiazzi
- deserti, dove i cavalli incappucciati
- annusano la terra, fermi davanti
- ai vetri luccicanti degli alberghi.
- Tu discendi sul corso, di fronte al mare,
- in questo giorno
- ora piovoso ora illuminato dai lampi, in cui
- un ritornello di nacchere sembra voler sconvolgere
- la trama fitta delle ore,
- ognuna uguale alle altre.
- È il segno di un’altra esistenza: tu seguilo.
- Scendi verso l’orizzonte che è sovrastato
- da una tromba marina nero cupo, sollevata sui gorghi
- del mare, e che turbina più di essi: nembo salmastro
- vorticoso, che il mare ribelle
- ha soffiato fino alle nubi; fa sì che il tuo passo
- scricchioli sulla ghiaia e di inciampare
- tra le alghe avviluppate: quell’istante, da tempo
- atteso, forse ti può liberare dalla pena di terminare
- il tuo viaggio umano, l’anello di una catena,
- l’immobile incedere, oh Arsenio, delirio
- fin troppo noto di immobilità…
- Ascolta, il suono tremulo dei violini
- tra le palme non si ode più, coperto dal rimbombo
- dei tuoni, che fremono vibrando come
- una lamiera percossa; è dolce la tempesta quando
- nel cielo azzurro sorge la bianca stella di Canicola
- e la sera, che è vicina, pare
- lontana: se il fulmine incide il cielo della sera
- disegna rami come quelli di un albero prezioso
- in mezzo alla luce che diventa rosa: e il timpano
- degli tzigani è il tuono che non si ode.
- Discendi nel buio che precipita e trasforma
- il giorno luminoso in una notte
- in cui sulla riva ondeggiano luci luminosi -
- e al largo, dove un’unica ombra occupa mare e cielo,
- dei pescherecci sparsi palpitano
- le lampade ad acetilene - [fino a quando
- trepido il cielo comincia a piovere, fuma il suolo che si abbevera,
- tutto accanto si mescola in te, sbattono
- le morbide tende, un fruscio immenso
- di vento appiana la terra, le lanterne di carta,
- stridendo, si afflosciano sulle strade.
- Così mentre sei sperso tra i vimini e le stuoie
- grondanti, tu, giunco che trascina
- con sé le radici viscide, mai divelte,
- tremi di vita e ti protendi verso
- un vuoto che risuona di lamenti
- soffocati, torna a ringhiottirti la distesa
- dell’onda del passato che ti avvolge; e ancora
- tutto che si di nuovo impossessa di te, la strada,
- il portico, le mura, gli specchi, ti traffiggono
- in un’unica ghiacciata moltitudine di morti,
- e se un gesto ti sfiora, una parola
- consolatoria ti cade vicino, quello è, forse, Arsenio,
- nell’ora che si dilegua, il cenno di una
- vita strozzata sorta per te, e il vento
- la disperde insieme alla cenere degli astri.
1 turbini: primo segnale dell’imminente tempesta.
2 incappucciati: cavalli con il cappuccio; sono quelli delle pubbliche carrozze.
3 discendi: l’invito è rivolto ad Arsenio, invitato dal poeta a intraprendere la discesa verso il mare.
4 piovorno: l’aggettivo andrebbe in realtà riferito alle nubi. Significa infatti, letteralmente, “che minaccia pioggia”.
5 L’esistenza monotona e sempre uguale a se stessa ("l’ore uguali, strette in trama") è sconvolta dal suono dei tuoni, simile a quello delle nacchere.
6 un’altra orbita: un’alternativa all’insensatezza dell’esistenza.
7 Immergersi nella natura quando questa manifesta il suo volto più terribile potrebbe significare, per Arsenio, la possibilità di scampare alla condizione di morte in vita.
8 immoto andare: l’ossimoro dà conto della condizione di non-vita fin troppo nota al protagonista.
9 Canicola: Sirio, costellazione del Cane minore, in realtà non è visibile nella stagione estiva: si tratta pertanto di un errore.
10 dirama: è il disegno che produce la luce del fulmine in cielo.
11 Lo scoppio del tuono fa tutt’uno con il suono delle orchestre tzigane.
12 discendi: ripete l’imperativo del v. 13. La discesa verso il mare si fa più rapida, assume i tratti di un’esigenza pressante.
13 giunco: la metafora vegetale, già in Mediterraneo, si sviluppa lungo tutta la strofa.
14 Attraverso la metafora vegetale Montale dispiega la contraddizione che alberga nell’animo umano, proteso verso l’annichilimento e al contempo così attaccato alla vita.
15 L’onda porta qui con sé il prepotente ritorno degli aspetti più vacui e inconsistenti dell’esistenza: è proprio la reimmersione in questa “ghiacciata moltitudine dei morti” a far prendere atto Arsenio del fallimento della sua impresa.
16 La solidarietà tra uomini sembra per un attimo allontanare il "male di vivere". Si tratta però di un’illusione: siamo in un contesto radicalmente diverso dalla “confederazione di uomini” auspicata con positivo slancio dall’ultimo Leopardi nella Ginestra. L’ipotesi dell’orbita altra è cancellata, spazzata via come cenere nell’universo.