Composta nel luglio del 1923, Forse un mattino andando in un'aria di vetro si trova nella sezione di Ossi di Seppia che dà il titolo alla raccolta.
Metricamente, la poesia presenta due quartine a rima alternata, con i versi dispari della prima strofa in assonanza con i versi pari della seconda strofa (identiche le vocali "e" ed "o" della parte rimata: "Forse un mattino andando in un'aria di vetro, [...] alberi case colli per l'inganno consueto"). C'è poi una rima ipermetra al verso 2 - espediente stilistico che ricorre con una frequenza rilevante in Montale - tra le parole "miracolo" e "ubriaco". Ad eccezione dei versi 3 e 4, tutti gli altri superano in lunghezza l'endecasillabo: abbiamo degli alessandrini (versi 1, 6 e 7), un novenario sdrucciolo e un quinario (verso 8). Come altrove in Montale, il componimento è centrato sul concetto di "epifania", qui simboleggiato dal miracolo che si compie. La rivelazione è quella della vanità delle percezioni dell'uomo: "il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro/di me, con un terrore di ubriaco."; la paura dell'ubriaco è quella di chi non riesce più ad avere punti di riferimento e, ovunque volga il suo sguardo, avverte un senso di vertigine (che qui coinvolge il piano esistenziale del poeta). Chiude la poesia una forte avversativa: "Ma sarà troppo tardi"; il poeta, messo di fronte alla verità dell'inganno consueto, è condannato ad una consapevolezza frammentaria che non può comunicare all'esterno (analogamente a Non chiederci la parola).