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Pasolini, "Una vita violenta": riassunto

Pier Paolo Pasolini nel 1955 inizia a lavorare a un progetto sulla possibile continuazione di Ragazzi di vita. Nasce così Una vita violenta, che verrà pubblicato solo nel 1959, dopo una profonda revisione da parte di Pasolini stesso e dell’editore Garzanti, per evitare possibili accuse di oscenità, come avvenuto con il romanzo precedente. Una vita violenta arriva in finale al premio Strega, che verrà però vinto dal Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.


Il romanzo segue la storia di Tommaso Puzzilli, ragazzo di borgata, che tra furti e prostituzione sopravvive alla miseria della periferia, fino all’incontro con Irene, ragazza di cui si innamora. Il suo tentativo di cambiare vita e inserirsi nella società viene bloccato dal suo arresto per l’aggressione a un giovane. Uscito di prigione il “nuovo” Tommaso si ammala di tubercolosi e viene ricoverato. Durante la degenza in ospedale il protagonista riflette sulla sua vita e sul desiderio di riscatto. Ristabilitosi, nuovamente il giovane inizia a progettare la sua nuova esistenza: cerca un lavoro e si iscrive al PCI, ma il salvataggio di una donna durante un’inondazione lo porterà alla morte.
Pasolini torna ad occuparsi del mondo delle borgate e ancora una volta segue l’evoluzione del protagonista da deliquente a membro della società. La storia di Tommaso assomiglia a quella di Riccetto anche nella conclusione - l’annegamento di un bambino, il salvataggio della donna -, ma in Ragazzi di vita il protagonista decide significativamente di non intervenire, possibile segno della sua morte spirituale una volta integrato nella società; al contrario in Una vita violenta Tommaso sceglie impulsivamente di agire, salvando la donna, ma ammalandosi e infine morendo. In entrambi i casi il riscatto sociale porterà i personaggi pasoliniani alla morte, spirituale o fisica. Lo stesso avviene nei due film del ‘61 e ’62 su questo tema: Accattone e Mamma Roma. Entrambi, infatti, si concludono con la morte precoce dei protagonisti.


Dal punto di vista linguistico Pasolini non mantiene più la differenza tra voce narrante e lingua dei personaggi, utilizzando anche per la prima il romanesco delle borgate. Questo aspetto è stato giudicato negativamente da parte della critica, che ha accusato l’autore di avere applicato nella costruzione del romanzo una “sforzatura realistica” - come scrive il critico Giorgio Petrocchi in Poesia e tecnica narrativa - dove evidenzia anche “l’eccessiva soggiacenza del contenuto romanzesco al diktat gergo-dialettale”, perdendo gli aspetti positivi dello sperimentalismo linguistico. Il critico Romano Luperini in Neorealismo, Neodecadentismo, avanguardie (Roma-Bari, Laterza, p. 96), sembra riprendere il giudizio di Elio Vittorini, affermando che da una parte il linguaggio del romanzo viene “assunto nella sua corposa immediatezza, e nei suoi valori vitalistici”, ma dall’altra “sulla pagina appare come raffreddato da un’esigenza astrattamente filogica e razionalizzante”.


In conclusione Una vita violenta, con il tentativo di assorbire la lingua del narratore in quella dei personaggi, si presenta come il punto intermedio di un progetto iniziato con Ragazzi di vita, in cui si mischiava italiano e dialetto, e che si conclude con l’approdo al cinema con Accattone e Mamma Roma, dove non è presente la voce narrante, ma la narrazione prende avvio dall’azione pratica e linguistica diretta dei personaggi, nel tentativo di cogliere la realtà. Questo aspetto appare evidente alla luce di quanto Pasolini dichiara in un’intervista sul suo passaggio al cinema: "Ho voluto adoperare una tecnica diversa spinto dalla mia ossessione espressiva. Ho voluto cambiare lingua abbandonando la lingua italiana, l'italiano; una forma di protesta contro le lingue e contro la società. Ma la vera spiegazione è che io, facendo il cinema, riproduco la realtà, quindi sono immensamente vicino a questo primo linguaggio umano che è l'azione dell'uomo che si rappresenta nella vita e nella realtà".