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I crepuscolari: poetica e poesie

La poesia crepuscolare nasce e si sviluppa nei primi anni del Novecento (1905-1915) e trova l'origine del proprio nome in un articolo di Giuseppe Antonio Borgese sulla "Stampa" del settembre 1910, dove, commentando la recente produzione in versi, il critico parla di "mite [...] crepuscolo" dopo la grande stagione che riuniva Carducci, Pascoli, D'Annunzio.

In particolare - anche se il rapporto non sarà mai di netta antitesi, quanto piuttosto di ricerca di nuovi orizzonti poetici, lontani dal chiassoso eroismo dannunziano - la lirica crepuscolare rifiuta la poetica dannunziana, superomistica e mitizzante , preferendo cantare, in forme dimesse e colloquiali, la stanca condizione umana, o la chiusura nel proprio silenzio personale. Gli influssi di questa poesia sono tuttavia molteplici: da un parte c'è la stessa lirica dannunziana, soprattutto quella del Poema paradisiaco, e la poetica pascoliana, tra il mondo umile di Myricae e la figura del "fanciullino"; dall’altra il Decadentismo francese, con il suo drastico rifiuto della realtà meschina e borghese, e il Simbolismo di Maeterlinck e Jammes. Semmai, la novità dei crepusolari sta sul piano metrico-stilistico: il rifiuto dell’estetismo poetico si traduce così in un tono dimesso e umile, che, per rappresentare una realtà prosaica e velata di tristezza malinconica, rinunica a tutta la tradizione alta ed aulica. La crisi morale che i poeti crepuscolari avvertono e la negazione dei miti del Progresso e dello sviluppo si esplica in un lessico semplice e spesso minimale, in una sintassi per lo più piana e paratattica, in un verso che spesso si scioglie delle norme metriche della tradizione per avvicinarsi spesso al verso libero.

L'abbassamento della poesia al racconto dell'ordinaria quotidianità conosce però forme diverse tra i principali autori crepuscolari. Sergio Corazzini (1886-1907) diventa emblema della poesia crepuscolare a causa di alcune vicende biografiche drammatiche: un’infanzia difficile per il tracollo economico della famiglia piccolo-borghese, l'impiego monotono in una compagnia di assicurazioni e la malattia - la tisi, che lo porta alla morte precoce - condizionano la vena poetica di Corazzini, che si rifugia nel mondo della poesia, rappresentando la propria tragedia quotidiana e quasi rinunciando all'etichetta di poeta (come nella sua Desolazione del povero poeta sentimentale, contenuta nel Piccolo libro inutile).

Diversamente Guido Gozzano (1883-1916) si distingue per l'ironia con cui caratterizza le tematiche tipiche del movimento. Nel descrivere il mondo circostante il poeta non rinuncia mai ad un tono colloquiale e prosaico che però si mescola  con un riso leggero, soprattutto quando Gozzano accosta oggetti comuni e quotidiani con gli emblemi della tradizione poetica (Dante, Carducci o D'Annunzio, a seconda delle circostante, come bene si vedrà ne La signorina Felicita ovvero la felicità (dove, sempre proseguendo questo gioco di disconoscimento ironico, il poeta ammette: “io mi vergogno, | sì, mi vergogno d’essere un poeta!”).

Altra voce del movimento è Marino Moretti (1885-1979) che trae ispirazione da Pascoli per la sua poesia, legata a oggetti familiari e quotidiani (come in A Cesena) e all’affetto per la madre, ma che, in una vita lunghissima (a differenza di Corazzini e Gozzano), ha modo di allontanarsi dai modi e dallo stile crepuscolare, arrivando a scrivere romanzi (nel corso degli anni Trenta) e a recuperare la scrittura in versi solo nelle ultime raccolte (Diario senza le date, 1974)