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Husserl e la fenomenologia

Il padre della fenomenologia novecentesca (Edmund Gustav Albrecht Husserl, nel suo nome completo) nasce l’8 aprile 1859 a Prossnitz, in Moravia (l’attuale Repubblica Ceca), in una famiglia della ricca borghesia ebraica. Gli studi universitari di Astronomia a Lipsia sono interrotti nel 1878 quando Husserl si reca a Berlino per dedicarsi, sotto la tutela di Kronecker e Weierstrass, alla Matematica; maturano in questo periodo anche gli interessi filosofici, che portano Husserl, dopo la tesi di dottorato, alla laurea a Vienna con Franz Brentano. La  conversione al cristianesimo del 1886 e l’abilitazione all’insegnamento dell’anno successivo sono i fatti rilevanti della vita di Husserl, che da qui in poi si sposta in diverse sedi universitarie per svolgervi l’attività di docente. Halle-Wittemberg dal 1887 al 1900, Gottinga fino al 1915, Friburgo negli anni che vanno dal 1915 al 1928, quando al conferimento del titolo di “emerito” Edmund Husserl si ritira dall’insegnamento, pur continuando a tenere lezione e seminari fino all’avvento della dittatura nazista, che lo esclude dai ranghi universitari. Husserl si spegne nel 1938.

 

Copiosa e variegata l’attività saggistica e pubblicistica, tra volumi, articoli per rivista e interventi sparsi, senza considerare il corposo “Archivio Husserl”, composto del materiale inedito (circa 45000 pagine) e dalla biblioteca personale husserliana, ed ora custodito presso l’Università di Leuven, in Belgio. Tra gli studi principali si possono citare: la Filosofia dell’aritmetica (1891, incompiuto), le Ricerche logiche (2 voll., 1900-1901), La filosofia come scienza rigorosa (1911), le Idee per una fenomenologia pura ed una filosofia fenomenologica (1913), le Meditazioni cartesiane (1931) e La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (in due parti, 1936). Questi titoli disegnano lo sviluppo coerente (e complesso) del pensiero husserliano e spiegano bene il connubio tra discipline logico-matematiche, che rappresentano il fulcro dei primi interessi gnoseologici di Husserl, e prospettiva filosofica, con particolar riguardo per i fenomeni psichici e della coscienza. Fenomenologia, in tal senso ed accezione, è necessità - in reazione alla crisi epistemologica e  valoriale che investe il pensiero occidentale a cavallo tra XIX e XX secolo, e puntualmente avvertita, tra gli altri, da Nietzsche - di fondare nella maniera più rigorosa ed oggettiva i criteri dei nostri atti conoscitivi. Questo è possibile solo mettendo in cantiere - lo spiega Husserl nelle Ricerche logiche - una “psicologia puramente descrittiva”, il cui oggetto di studio siano  le “esperienze vissute” (Erlebnisse, in tedesco), cioè gli atti conoscitivi che si associano a determinati oggetti - siano questi reali o teoretici - e che si distinguono tra di loro per specifiche qualità (idee, supposizioni, rappresentazioni mentali, desideri o emozioni, e così via).

 

Centrale è il concetto di “intenzionalità”, che contraddistingue per Husserl ogni atto ed operazione della coscienza: pensare qualcosa è sempre un “tendere verso”, un moto orientato verso un oggetto che rimane irriducibile alla coscienza ma a cui il moto stesso imprime una “direzione intenzionale” specifica, sicché nella nostra percezione il ricordo differisce dal desiderio, ed orienta in modo diverso la relazione tra intenzione della coscienza e “oggetto”. A questo punto, cruciale per la pretesa di scientificità del pensiero husserliano è l’analisi dei nostri vissuti, che l’autore delle Idee per una fenomenologia pura sottrae esplicitamente al soggettivismo, così da pensarli studiabili obiettivamente; è qui che vengono formulati due concetti-chiave come quelli di epoché e di “riduzione”. Il primo vocabolo, che Husserl recupera dalla tradizione scettica e che significa “sospensione del giudizio”, indica la “messa tra parentesi” del mondo quotidiana che ci circonda per sospenderne la validità, e cioè la supposta indipendenza oggettiva, e per focalizzarne invece l’essenza di “fenomeno”, ovvero di manifestazione che colpisce la nostra coscienza. Solo per tal via, la fenomenologia trascendentale husserliana (e cioè, un atto di ragionamento che escluda qualsivoglia percezione empirica) può individuare i dati “a priori” che compongono tale esperienza. La “riduzione” si suddivide poi in tre passaggi fondamentali: quella fenomenica, per cui tutte le nostre esperienze reali derivano da un “a priori” trascendentale del processo conoscitivo, quella eidetica, che indaga le forme dell’intenzionalità, e quella trascendentale, che apre una nuova fase dal ragionamento di Husserl sui rapporti io-mondo.

 

Si vuole ora chiarire come e in che misura l’intenzione dell’io costituisca il mondo che ci circonda; Husserl, in un vasto movimento teoretico che abbraccia l’eredità kantiana con quella dell’idealismo tedesco e dello storicismo, pone l’io-puro (o “polo-io”) come centro di tutte le “esperienze vissute”, la cui identità stabile si sviluppa specificamente nella dimensione della temporalità e del ricordo. Così, noi risultiamo una stratificazione complessa ma unitaria di elementi e livelli (quello corporeo, quello volitivo-emozionale, quello psichico ecc. ecc.), e il nostro “io trascendentale”, coscienza pura ed insieme delle funzioni che regolano l’esperienza, è connesso, negli ultimi scritti husserliani, al mondo della vita (il Lebenswelt), caratterizzato dalla dimensione dell’intersoggettività e dal rapporto io-altri. Da qui prende spunto la critica contenuta nella Crisi delle scienze europee all’“obiettivismo moderno”, che screditerebbe il mondo della vita previlegiando la scientificità logico-matematica; e da qui prende le mosse un allievo ed assistente di Husserl a Friburgo: Martin Heidegger.