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Wittgenstein: dal “Tractatus” alle “Ricerche filosofiche”

Nato 26 aprile 1889 in una ricca e benestante famiglia ebraica viennese - il padre, industriale e mecenate, sostiene le arti, ospita musicisti in casa propria ed è tra i finanziatori del Wiener Secessionsgebäude, il palazzo del movimento artistico della Secessione costruito a Vienna tra 1897 e 1898 - Ludwig Wittgenstein viene educato privatamente in casa fino ai quattordici anni, e si iscrive poi alla Realschule di Linz, ad indirizzo tecnico-meccanico, proseguendo la propria formazione in tal senso prima a Berlino poi in Inghilterra dove, al Trinity College di Cambridge, si avvicina, sotto la guida di Bertrand Russell e dei suoi Principi di matematica, agli studi di logica, che caratterizzeranno tutta la cosiddetta “prima parte” della produzione wittgensteiniana, fino al Tractatus logico-philosophicus. Sono comunque anni particolari, anche per la personalità originale ed anticonformista di Wittgenstein, che trascorre ad esempio un lungo periodo di autoisolamento in una specie di rifugio di fortuna sui fiordi norvegesi; allo scoppio del primo conflitto mondiale, Ludwig si arruola volontario nell’esercito imperiale austro-ungarico, combattendo sul fronte italiano (verrà anche recluso per circa nove mesi nel campo di Cassino) e scoprendo in prima persona gli orrori della guerra, che gli causano una grave crisi depressiva. È in questo periodo che Wittgenstein si avvicina alle opere di Lev Tolstoj (e, in particolar modo, agli aspetti mistico-messianici dello scrittore russo, tanto che nel 1919 rinuncerà completamente alla cospicua eredità paterna) e al pensiero di Friedrich Nietzsche, che si installa sul già ricco bagaglio culturale di un figlio del clima del Finis Austriae, della crisi della grande cultura mitteleuropea, della Vienna dell’arte d’avanguardia e della teoria psicoanalitica. Gli anni del primo dopoguerra sono allora quelli in cui Wittgenstein, non senza difficoltà, porta a compimento il Tractatus, che rimane un’opera centrale per la filosofia analitica e del linguaggio del Novecento. Presentato a Russell nel 1919, il Tractatus logico-philosophicus, che rimanda nel nome al Tractatus thelogicus-politicus spinoziano e su cui Wittgenstein lavora almeno dal 1913, vede la luce in edizione inglese con una prefazione del maestro Russell solo nel 1922, dopo una prima edizione-pirata in tedesco l’anno precedente.

 

È l’innovativo punto di approdo, per quanto ritiene il filosofo, dei “problemi filosofici” risolvibili per via logica, come recita l’ultima emblematica proposizione dello spiazzante Tractatus: “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”. Scopo del trattato, breve e conciso, è quindi delimitare le possibilità e le “condizioni” per cui un enunciato può sussistere, e specularmente quelle per cui non ha invece senso. Coniugando e sviluppando la lezione di Russell (1872-1970), Gottlob Frege (1848-1925) e George Edward Moore (1873-1958), la filosofia diventa così un criterio regolatore e una critica chiarificatrice del linguaggio. I 526 aforismi del Tractatus, dipendenti dalle sette proposizioni fondamentali e disposti in un’accuratissima struttura logica, toccano i punti fondamentali del pensiero wittgensteiniano: il mondo è la "totalità dei fatti” (e non delle cose, o dei semplici oggetti) e il linguaggio è la sua rappresentazione; la necessità di adottare un’ottica relazionale, che descriva i rapporti e le relazioni tra le cose; il ruolo dell’immagine e della sua “struttura” nel descrivere la realtà (e il suo senso connesso alla possibilità di essere vera o falsa). Analogamente, per il Tractatus la proposizione linguistica è “l’espressione simbolica” di un fatto della realtà e, se il nome come “segno primitivo” è il componente di base della proposizione, vi sarà una differenza netta tra il significato di un nome (ciò che esso designa ed indica) e il senso di una proposizione (cioè la rappresentazione possibile di qualcosa che può essere vero o falso nel mondo reale). Stretta conseguenza di tutto ciò è la “corrispondenza formale” tra mondo e linguaggio, tra piano ontologico e piano linguistico (per cui i nomi stanno per gli oggetti del mondo, le proposizioni elementari descrivono stati di cose e quelle complesse corrispondono ai fatti); e se il mondo è per Wittgenstein descritto esaustivamente delle proposizioni elementari, tutto ciò che esula dalle scienze esatte cade nel campo dell’“ineffabile” o del “Mistico” (etica, estetica, metafisica, che sorge “quando il linguaggio va in vacanza”). Per tutte queste materie, Wittgenstein invita nel Tractatus al ”silenzio”, non per svalutare gli apporti di queste ricerche, ma perché esse travalicano il limite stesso del linguaggio, e le loro proposizioni non si riferiscono ad alcun “fatto”. È, insomma, un sentito appello alla consapevolezza dei propri limiti, non affato privo di una sua “etica” interna.

 

Da questo punto in poi, Wittgenstein abbandona di fatto gli studi logici e per alcuni anni si dedica all’insegnamento elementare, avvicinandosi (pur senza mai farne parte, e talora dissentendo anche dalle linee di ricerca intraprese) sul finire degli anni Venti al Circolo di Vienna e tornando a Cambridge solo nel 1929, quando il Tractatus è presentato come dissertazione di laurea. Estraneo caratterialmente e metodologicamente alla vita universitaria, Wittgenstein tuttavia rimane al Trinity College fino al 1947: sono anni in cui, al di là delle ricorrenti crisi personali, il filosofo dà corpo a tutta la “seconda parte” della propria produzione, in scritti quali la Grammatica filosofica (1933, poi edito postumo), le Osservazioni filosofiche (raccolte nel 1964), il Libro blu e il Libro marrone (quaderni di appunti per due corsi universitari), le Ricerche filosofiche (pubblicate anch’esse nel 1953, dopo la morte dell’autore). Wittgenstein si muove dalla logica e dalla matematica a ricerche sul linguaggio e sui giochi linguistici, anche se risulta irrinunciabile anche qui il rigore metodologico e l’impostazione antimetafisica del Tractatus. Dello scritto precedente, semmai, si rifiutano gli aspetti che limitavano l’analisi del linguaggio alle proposizioni che rappresentano uno stato di cose: introducendo i concetti di “uso” delle proposizioni in relazione a regole ed atteggiamenti contestuali variabili dette “forme di vita”, si estende l’analisi alla dimensione connotativa delle nostre affermazioni. Wittgenstein apre così la propria prospettiva di indagine alla dimensione plurale e pubblica del “gioco”, e delle regole che esso implica; a ciò si connette la presa di coscienza della molteplicità di usi e di funzioni del linguaggio, e della naturale successione cronologica tra “vecchi” e “nuovi” giochi (e delle forme di vita da cui dipendono).

 

Dopo aver rinunciato alla cittadinanza austriaca in seguito all’Anschluss nazista, durante la Seconda Guerra Mondiale Wittgenstein lavora prima come portantino dei feriti poi come assistente in un laboratorio medico; nel dopoguerra, una nuova crisi depressiva lo porta all’isolamento volontario sulle coste irlandesi, da cui ritorna solo per il peggioramento delle proprie condizioni di salute. Dopo un viaggio negli Stati Uniti, torna a Cambridge per morirvi da “europeo” il 29 aprile 1951; le ultime parole, destinate ai suoi studenti, sarebbero state: “Dite loro che ho avuto una vita meravigliosa”.