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"La mia sera" di Pascoli: parafrasi del testo

Parafrasi Commento

Testo inserito nei Canti di Castelvecchio, La mia sera, composta nell’ottobre del 1900, può essere considerata una summa della poesia pascoliana che va da Myricae ai Canti, in quanto sviluppa i temi della suggestione e dell’inquietudine del mondo naturale (percepito dalla prospettiva del “fanciullino”, e quindi sovraccarica di elementi ambigui e misteriosi), ricreato sulla pagina con l’uso dell’onomatopea (v. 4 e v. 33) e con una raffinata ricerca sul piano metrico e fonosimbolico.

Il testo, uno dei più noti e meglio riusciti della seconda parte della carriera di Pascoli, si inserisce anche in una ampia prospettiva di rapporti intertestuali: per argomento e tono è spesso considerato la “risposta” pascoliana alla Quiete dopo la tempesta di Leopardi (e il poeta di Recanati è una delle auctoritas per l’autore di Myricae). In più il rapporto “sera-poesia” come confessione personale (pur nella grande distanza tra le diverse poetiche) si può rintracciare in Foscolo (nel sonetto Alla sera) e in D’Annunzio (La sera fiesolana).

Metro: cinque strofe composte di novenari (i primi sette versi) e un senario conclusivo, che termina sempre in “sera”; lo schema delle rime è ABABACDCd.

 

  1. Il giorno fu pieno di lampi;
  2. ma ora verranno le stelle,
  3. le tacite stelle 1. Nei campi
  4. c’è un breve gre gre 2 di ranelle.
  5. Le tremule foglie dei pioppi
  6. trascorre una gioia leggiera 3.
  7. Nel giorno, che lampi! che scoppi!
  8.                Che pace, la sera!
  9. Si devono aprire le stelle 4
  10. nel cielo sì tenero e vivo.
  11. Là, presso le allegre ranelle,
  12. singhiozza monotono un rivo.
  13. Di tutto quel cupo tumulto,
  14. di tutta quell’aspra bufera 5,
  15. non resta che un dolce singulto
  16.                nell’umida sera.
  17. È, quella infinita tempesta 6,
  18. finita in un rivo canoro.
  19. Dei fulmini fragili restano 7
  20. cirri di porpora e d’oro.
  21. O stanco dolore 8, riposa!
  22. La nube nel giorno più nera
  23. fu quella che vedo più rosa
  24.                nell’ultima sera.
  25. Che voli di rondini intorno!
  26. che gridi nell’aria serena!
  27. La fame del povero giorno
  28. prolunga la garrula cena.
  29. La parte, sì piccola, i nidi
  30. nel giorno non l’ebbero intera.
  31. Né io... e che voli, che gridi,
  32.                mia limpida sera!
  33. Don... Don... 9 E mi dicono, Dormi!
  34. mi cantano, Dormi! sussurrano,
  35. Dormi! bisbigliano, Dormi!
  36. là, voci di tenebra azzurra... 10
  37. Mi sembrano canti di culla,
  38. che fanno ch’io torni com’era...
  39. sentivo mia madre... poi nulla...
  40.                sul far della sera.
  1. Fu un giorno di temporale;
  2. ma ora spunteranno in cielo le stelle,
  3. le stelle silenziose. Nei campi
  4. si sente il gracidare senza eco di piccole rane.
  5. Una gioia leggera e impalpabile attraversa
  6. le foglie tremolanti dei pioppi .
  7. Durante il giorno, che lampi! Che tuoni!
  8.                         Che pace, quando è scesa la sera!
  9. Le stelle devono sbocciare e splendere
  10. in un cielo così vivo e dolce.
  11. Laggiù, vicino alle piccole rane in festa,
  12. un ruscelletto emette un suono monotono.
  13. Del cupo tumulto della tempesta,
  14. di tutta quell’aspra bufera,
  15. non resta che un sospiro dolce
  16.                         nella sera umida di pioggia.
  17. Quella tempesta che parve senza fine
  18. s’è conclusa in un flusso di suoni.
  19. Dei fulmini che si spezzano restano
  20. sfumature d’oro e porpora nel cielo.
  21. O dolore di lunga data, taci per un attimo!
  22. La nube più cupa del giorno
  23. fu quella che ora vedo più rosata
  24.                         nell’ultima sera.
  25. Che stormi di rondini volano intorno!
  26. che versi nel cielo sereno!
  27. La fame del giorno senza cibo
  28. prolunga i suoni e i rumori lieti della cena.
  29. I rondinini non ebbero la loro parte
  30. per intera, per quanto piccola fosse.
  31. Neanch’io… e che voli, che versi
  32.                         nella mia limpida sera!
  33. Il suono delle campane… e mi dicono: “Dormi!”
  34. me lo cantano, lo sussurrano,
  35. “Dormi!” bisbigliano, “Dormi!”
  36. di là, voci che provengono dall’oscurità della notte chiara
  37. Mi sembrano ninne-nanne infantili,
  38. che mi faccian tornar bambino…
  39. sentivo mia madre… poi nulla…
  40.                         mentre calava la sera.

1 le tacite stelle: alla ripresa del termine rispetto al v. 2, che crea un effetto di attesa e che mette al centro dell’attenzione il cielo stellato, si affianca l’aggettivazione (“tacite”), che personifica gli astri del cielo ma che al tempo stesso li caratterizza come muti e silenziosi. Ne La mia sera, il mondo della natura è da subito un interlocutore ambiguo e affascinante, fitto di simboli da decifrare e contemplato dall’ottica straniata del “fanciullino”.

2 gre gre: l’uso dell’onomatopea - tipicamente pascoliano - serve anche per creare una rete di rimandi fonici: in questo verso è evidente l’insistenza sul suono della - r - (“breve”, “gre gre”, “ranelle”).

3 Costruzione: “Una gioia leggera trascorre le tremule foglie dei pioppi”; si noti come l’apparente semplicità della poesia pascoliana sia invece anche il prodotto di scelte stilistiche preziose e letterarie (come, in questo caso, l’uso transitivo del verbo “trascorrere” col significato di “passare attraverso”).

4 Si devono aprire le stelle: la comparsa delle stelle nel cielo finalmente sereno è simile allo sbocciare dei fiori; la fusione di cielo e terra, nella prospettiva del poeta, sta a significare che il mistero della Natura (prima agitata dalla forza del temporale, ora pacificata nella quiete serale) è fonte sia di fascino sia di timorosa inquietudine.

5 Si noti la costruzione dei vv. 13-14; introdotti entrambi dall’anafora dei sintagmi “di tutto”, “di tutta” e costruiti sul parallelismo di “quel cupo tumulto” e “quell’aspra bufera”.

6 infinita tempesta: l’ingigantimento prospettico della tempesta è da ricollegare alla poetica del fanciullino, che privilegia gli aspetti intuitivi ed a-razionali della percezione della realtà.

7 Dei fulmini fragili restano: l’ultima sillaba di questo verso (come anche al v. 34: “mi cantano, Dormi!, sussurrano”) va in realtà unita al verso successivo, che altrimenti risulterebbe avere una sillaba in meno rispetto agli altri novenari.

8 O stanco dolore: è questo il punto in cui Pascoli introduce la tematica personale del “dolore” di lunga data per l’omicidio impunito del padre, avvenuto il 10 agosto 1867 (e cioè più di trent’anni prima della composizione di La mia sera). L’evento, che spezzò il “nido” familiare del poeta, attraversa tutta la sua produzione, e viene tematizzato in particolar modo nella poesia X Agosto, in cui i “rondinini” (cui qui si allude ai vv. 29-30) muoiono per fame dopo l’uccisione del genitore. Qui si può notare che la situazione pacifica della sera dopo il temporale schiude uno spiraglio di ottimismo per il futuro (vv. 22-24: “La nube nel giorno più nera | fu quella che vedo più rosa | nell’ultima sera”).

9 Don… Don…: come per la precedente onomatopea (v. 4), anche qui la riproduzione del suono delle campane introduce la ripetizione del suono - d - con l’anafora di “Dormi!” per quattro volte in tre versi (vv. 33-35). Le campane della sera accompagnano cioè il progressivo scivolamento in una dimensione onirica e la regressione nel mondo infantile, con il ricordo della madre.

10 voci di tenebra azzurra: il simbolismo pascoliano e, parallelamente, la sua attenzione descrittiva per i fenomeni naturali trovano nella sinestesia (cioè nella figura retorica che descrive una sensazione attraverso un ambito sensoriale che non le è proprio) uno strumento privilegiato; la discesa delle tenebre si mescola così ai rumori indistinti (“voci di tenebra”) che provengono da fuori, non si sa se umani o animali. A questa figura se ne sovrapone un’altra (quella dell’ossimoro, che unisce in coppia parole di significato antitetico), così che le tenebre della notte sia venate da una nota chiara (“azzurra”).