Introduzione
Per comprendere pienamente la forza e l’efficacia dell’incipit della prima Catilinaria bisogna tenere presente il contesto in cui questa orazione è stata pronunciata: siamo all’otto novembre del 63 a.C. Due giorni prima i catilinari si erano riuniti presso la casa di Leca 1 e avevano deciso di eliminare il console Cicerone. L’oratore, venuto a sapere della cosa grazie alla sua informatrice Fulvia, pone sotto sorveglianza la propria casa. Il mattino successivo Cicerone decide di riunire il senato d’urgenza per denunciare gli ultimi misfatti di Catilina. La riunione viene convocata straordinariamente presso il tempio di Giove Statore 2 sul Palatino, un luogo riparato che poteva garantire una migliore difesa in caso di attacchi improvvisi, mentre in città vengono posizionati presidi armati per evitare lo scoppio di disordini. Catilina entra allora in senato e tutti i senatori si alzano, lasciando il rivoluzionario completamente isolato nel suo seggio.
In questo clima straordinario Cicerone comincia a recitare la prima Catilinaria, che parte da subito con un attacco violento rivolto contro lo stesso Catilina. Questo incipit stravolge le regole stesse della retorica classica: laddove infatti una orazione di questo tipo avrebbe richiesto un inizio dimesso e rivolto ai destinatari dell’opera (in questo caso i senatori presenti 3), al fine di produrre un crescendo emotivo che sarebbe culminato nella peroratio finale, Cicerone parte ex abrupto 4 con una apostrofe rivolta a Catilina, che viene incalzato mediante l’utilizzo di ben sette frasi interrogative che culminano con l’esclamazione divenuta proberbiale con cui si apre il secondo paragrafo:
O tempora! O mores!
Il secondo e il terzo paragrafo si basano invece sulla profonda contraddizione esistente tra lo stato delle cose (Catilina vive e compie le proprie malefatte sotto lo sguardo delle istituzioni, consapevoli dei suoi delitti) e come le cose stesse dovrebbero andare (Catilina dovrebbe essere stato ucciso già da tempo). Questa contraddizione viene resa ancora più paradossale da Cicerone mediante l’utilizzo di exempla storici, in cui la risposta delle istituzioni e addirittura dei privati cittadini era stata pronta e immediata. Con una forma di abile captatio benevolentiae Cicerone non incolpa però il Senato, ma solo se stesso, se la situazione è arrivata a tal punto.
In questo brano Cicerone dimostra insomma la propria abilità di oratore, dimostrando di saper adattare il proprio stile alla situazione in cui si trova. L’oratore infatti abbandona completamente la concinnitas (“armonia”, ovvero l’uso di periodi lunghi ed equilibrati), a favore di uno stile spezzettato, caratterizzato da frasi interrogative brevi e incalzanti, tese a generare un intenso patetismo nell’ascoltatore dell’epoca e nel lettore di oggi.
Testo
(1) Quo usque tandem abutere 5, Catilina, patientia nostra? Quam 6 diu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit 7audacia 8? Nihilne 9 te nocturnum praesidium Palati 10, nihil urbis vigiliae 11, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus 12, nihil 13 horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis, constrictam 14 iam horum omnium scientia teneri 15 coniurationem tuam non vides? Quid proxima 16, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii 17 ceperis, quem nostrum 18 ignorare arbitraris 19? (2) O tempora, o mores 20! Senatus haec intellegit. Consul videt; hic tamen vivit. Vivit 21? Immo vero etiam in senatum venit, fit publici consilii particeps, notat et designat oculis ad caedem unum quemque nostrum. Nos autem fortes viri 22 satis facere rei publicae videmur, si istius 23 furorem ac tela vitemus. Ad mortem te, Catilina, duci iussu consulis iam pridem oportebat, in te conferri pestem, quam tu in nos [omnes iam diu] machinaris. (3) An vero vir amplissumus, P. Scipio 24, pontifex maximus, Ti. Gracchum mediocriter labefactantem statum rei publicae privatus interfecit; Catilinam orbem terrae caede atque incendiis 25 vastare cupientem nos consules perferemus? Nam illa nimis antiqua praetereo, quod C. Servilius Ahala Sp. Maelium 26 novis rebus 27 studentem 28 manu sua occidit. Fuit, fuit 29 ista quondam in hac re publica virtus, ut viri fortes acrioribus suppliciis civem perniciosum quam acerbissimum hostem coercerent. Habemus senatus consultum 30 in te, Catilina, vehemens et grave, non deest rei publicae consilium neque auctoritas huius ordinis; nos, nos 31, dico aperte, consules desumus.
Traduzione
(1) Fino a che punto abuserai, o Catilina, della nostra pazienza? Quanto a lungo questo tuo furore si prenderà gioco di noi? Fino a che punto arriverà la sfrontatezza sfrenata? Non ti turbarono per niente il presidio notturno del Palatino, per niente le sentinelle notturne della città, per niente il timore del popolo, per niente l'affluenza di tutti gli onesti, per niente questo protettissimo luogo per tenere la riunione del senato, per niente la bocca e il volto di questi? Non senti che i tuoi piani sono svelati, non vedi che la tua congiura, conosciuta già da tutti questi, è tenuta sotto controllo? Chi di noi ritieni che ignori che cosa hai fatto la notte scorsa, che cosa in quella precedente, dove sei stato, chi hai convocato, quale decisione hai preso? (2) O tempi, o costumi! Il senato comprende queste cose. Il console le vede; questo tuttavia vive. Vive? Anzi, viene anche in senato, diventa partecipe delle decisioni pubbliche, annota e designa con gli occhi ognuno di noi per la strage. Invece sembra che noi, uomini forti, facciamo abbastanza per lo stato, se evitiamo il furore e le frecce di costui. A morte te, o Catilina; era opportuno che per ordine del console già prima fossi condotto, contro di te era opportuno che fosse portata quella rovina che tu progetti da tempo contro tutti noi. (3) Ma in verità un uomo magnificentissimo, Publio Scipione, pontefice massimo, da privato cittadino uccise Tiberio Gracco, che aveva danneggiato solo leggermente la condizione dello stato; noi consoli sopporteremo Catilina, che desidera devastare il mondo con la strage e gli incendi? Infatti io trascuro quegli eventi troppo antichi, ovvero che Caio Servilio Ahala uccise di sua mano Spurio Melio che desiderava la rivoluzione. Ci fu, ci fu un tempo all'interno di questo Stato una virtù tale che gli uomini forti punivano un cittadino dannoso con pene più dure di un nemico durissimo. Abbiamo un senatoconsulto contro di te, o Catilina, forte e autorevole, non manca allo stato il consiglio e l'autorevolezza di questo ordine. Noi, noi - lo dico apertamente - noi consoli manchiamo.
1 Porcio Leca era un importante senatore romano aderente alla congiura di Catilina.
2 Il tempio aveva questo nome perché nel punto in cui sorgeva il dio avrebbe fermato l’avanzata dei sabini durante la guerra contro Romolo (Stator ha infatti la stessa radice del verbo stare, “stare fermo”). Il luogo era stato probabilmente scelto da Cicerone anche per il suo nome beneaugurante, che sembrava indicare che l’attacco dei catilinari allo Stato sarebbe stato bloccato.
3 Cicerone comincia proprio in questo modo le altre tre Catilinarie.
4 Cioè “all’improvviso”, “bruscamente”.
5 abutere: forma alternativa usata al posto del normale abuteris, seconda persona singolare passiva del futuro semplice del verbo deponente abutor, abuteris, abusus sum, abuti.
6 Quam: avverbio interrogativo, “quanto”.
7 sese … iactabit: letteralmente questa frase si tradurrebbe con “getterà sé stessa”, ma è meglio tradurla in italiano col verbo “arrivare”.
8 audacia: è una vox media, ovvero un termine che può assumere valori positivi (“coraggio”) o negativi (“sfrontatezza”) in base al contesto in cui si trova. In questo caso prevale il secondo significato, dal momento che Cicerone non è qui interessato a fare un ritratto paradossale di Catilina come quello compiuto da Sallustio nel De Catilinae coniuratione, ma solo a rendere il suo nemico agli occhi dei senatori presenti un delinquente privo di sfumature positive e di rara crudeltà.
9 -ne: la particella enclitica -ne serve semplicemente a introdurre una frase interrogativa quando non ci sono altri avverbi, pronomi, aggettivi interrogativi.
10 nocturnum praesidium Palati: si tratta dei soldati posti a guardia del tempio di Giove Statore dove si stava riunendo il senato
11 vigiliae: è un termine della prima declinazione che muta il proprio significato in base al contesto in cui si trova. Quando è al singolare, generalmente significa “turno di guardia” (seguendo un uso militare, la notte veniva divisa in quattro veglie, ovvero turni di guardia). Quando è al plurale (come in questo caso) assume solitamente il significato di “sentinella notturna”. Quella di posizionare sentinelle notturne in città con funzioni di sicurezza (simili a quelle adottate oggi dalla nostra polizia) non era abituale nella Roma repubblicana (un corpo stabile di vigili venne creato solo da Augusto). Cicerone cita infatti questo particolare per caratterizzare ulteriormente il clima di anormalità che vigeva in città a causa di Catilina.
12 munitissimus habendi senatus locus: “habendi” è gerundivo concordato con “senatus” (genitivo singolare della quarta declinazione). Habere senatum è un gergo tecnico che indica l’azione di “adunare il senato”.
13 nihil: all’interno di questa interrogativa troviamo una sequenza anaforica di ben sei nihil. NIhil in questo caso ha valore avverbiale (come succede spesso ai pronomi in forma neutra).
14 constrictam: participio perfetto del verbo constringo, constringis, constrinxi, constrictum, constringere, composto di cum e stringo (letteralmente “stringere assieme”). Il participio ha valore di attributo ed è concordato a “coniurationem”. Il participio regge l’ablativo “scientia”, con valore di complemento di causa efficiente.
15 teneri: infinito passivo del verbo teneo, tenes, tenui, tentum, tenere, retto dal verbo “vides”, con soggetto in accusativo “coniurationem tuam”. Il verbo“teneo”, che solitamente vuol dire “tenere”, assume il significato di “tenere sotto controllo”.
16 Proxima: l’aggettivo può avere sia valore spaziale (“più vicino”) che temporale. Nel secondo si intende un periodo di tempo non lontano da chi parla, che può trovarsi nel passato (come in questo caso) o nel futuro.
17 quid consilii: “consilii” è genitivo partitivo retto da “quid”.
18 nostrum: il pronome personale nos possiede due genitivi: 1)“nostri”, usato come normale complemento di specificazione (“di noi”); 2) “nostrum”, usato come partitivo (“tra noi”).
19 quem nostrum ignorare arbitraris: si tratta della frase principale interrogativa che regge le cinque precedenti subordinate interrogative indirette (Quid...quid...ubi...quos...quid).
20 O tempora! O mores!: L'esclamazione, divenuta quasi proverbiale, viene ripresa da Cicerone anche in altre opere (In Verrem II, 4,56, Pro rege Deiotaro, 31). Il porre il passato sotto una luce ideale, soprattutto se messo a confronto con un presente corrotto e degenerato, e quindi l’assumere i panni del laudator temporis acti (“celebratore del tempo passato”) è scelta tipica della storiografia contemporanea a Cicerone. Basti pensare alla introduzione del De Catilinae coniuratione di Sallustio o allo spirito che anima l’intera opera di Tito Livio (59 a.C. - 17 d.C.), gli Ab Urbe condita libri.
21 vivit. Vivit?: Si tratta di una anadiplosi, ovvero una figura retorica che ripete dell’ultima parola di una frase all’inizio di quella successiva
22 fortes viri: Il termine in questo caso ha funzione ironica. Gli “uomini forti” infatti non stanno facendo nulla per fermare Catilina.
23 istius: Il pronome dimostrativo iste, ista, istud viene generalmente usato per indicare qualcosa che è lontano sia da chi parla (in questo caso Cicerone) che da chi ascolta (ovvero i senatori). Questo pronome con funzione deittica indica grammaticalmente la lontananza fisica (e non solo morale) che separava Catilina dagli altri senatori, che infatti si erano allontanati lasciando liberi i posti attorno al fautore della congiura.
24 P.Scipio: Publio Scipione Nasica aveva ucciso nel 133 a.C. in toga e come privato cittadino il cugino Tiberio Gracco, il famoso rivoluzionario che aveva tentato una riforma agraria tesa a sollevare le sorti dei cittadini romani indigenti, ma che andava contro gli interessi dei senatori che avevano ampi interessi nell’agricoltura. Cicerone fa questo esempio perché Scipione aveva agito senza ordine, rischiando un’accusa di “incostituzionalità”, ma in maniera rapida. Esattamente il contrario del comportamento dei consoli (e quindi dello stesso Cicerone) che stavano ritardando l’esecuzione di Catilina, anche se avevano un mandato per farlo, coem indica il successivo: “habemus senatus consultum in te”.
25 incendiis: tra le accuse rivolte ai catilinari c’era quella di voler appiccare incendi nei quartieri popolari e nelle botteghe degli artigiani. L’accusa era probabilmente infondata, dato che non c’era nessun motivo pratico nel compiere una simile azione, mentre al contrario Catilina rischiava di attirarsi l’odio della popolazione di Roma, che temeva (giustamente) gli incendi.
26 C. Servilius Ahala Sp. Maelium: Nel 440 Spurio Melio aveva fatto delle largizioni di grano alla popolazione di Roma durante una carestia. Caio Servilio, comandante di cavalleria (magister equitum) del dittatore Cincinnato, temendo che queste donazioni venissero fatte per fini rivoluzionari, uccise di sua mano Melio.
27 novis rebus: per una società conservatrice come quella romana, la novità veniva vista con sospetto. Res novae (letteralmente “le cose nuove”) è termine che viene usato per indicare la rivoluzione, dal momento che chi voleva stravolgere l’ordine costituito ne voleva chiaramente costruire uno “nuovo”. Per ovvi motivi questo non poteva destare piacere in chi, come in Cicerone e il senato, si vedevano all’interno del vecchio ordine, da loro identificato con il bene.
28 studentem: participio presente del verbo studeo, studes, studui, studere. Il participio ha valore di attributo ed è concordato a “Maelium”. Il verbo studeo regge il dativo (in questo caso “novis rebus”).
29 Fuit, fuit: si tratta di una geminatio intensiva, che dà ritmo all’invettiva di Cicerone contro Catilina.
30 senatus consultum: con questo termine si può indicare qualsiasi decreto proveniente del senato. In questo caso Cicerone si sta riferendo al “Senatoconsulto ultimo” che era stato emesso dal senato contro Catilina in una precedente riunione nel 20 ottobre dello stesso anno. Il “Senatoconsulto ultimo” in pratica decretava lo stato di emergenza all’interno della città e dava pieni poteri al console, che poteva addirittura mettere a morte cittadini romani all’interno della città senza processo.
31 nos, nos: si tratta di un’altra geminatio intensiva.