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Sandro Penna: poesie e poetica

Introduzione

 

Sandro Penna è un poeta appartato e atipico rispetto alle linee dominanti della poesia novecentesca. Nato a Perugia nel 1906, studia in modo irregolare fino al diploma in ragioneria, e nel 1929 si trasferisce a Roma, dove trascorrerà gran parte della sua vita, svolgendo lavori saltuari (dal commesso in libreria all’allibratore, dal commerciante di libri rari al correttore di bozze). Negli anni Trenta entra in contatto con alcuni importanti intellettuali dell’epoca, tra cui Eugenio Montale, e collabora con prestigiose riviste vicine all’Ermetismo come «Il Frontespizio» e «Letteratura». Nel 1939, grazie all’interessamento di Umberto Saba e Sergio Solmi, pubblica a Firenze il suo primo libro, Poesie, che nel 1957 vincerà il Premio Viareggio con Le ceneri di Gramsci del carissimo amico Pier Paolo Pasolini. Seguono altre raccolte, tra cui Una strana gioia di vivere (1956) e Croce e delizia (1958). Nel 1970 esce un’edizione di Tutte le poesie che raccoglie la sua produzione con l’aggiunta di numerosi inediti. Penna, che in questi ultimi anni vive una discreta notorietà e un adeguato riconoscimento critico, ha sempre vissuto lontano dai circuiti letterari, “sempre gelosissimo della sua selvatica solitudine” 1, anche a causa della sua omosessualità, che ritorna in modo centrale nei suoi testi poetici. Sandro Penna muore in povertà a Roma nel 1977.

 

Le caratteristiche della poesia di Penna

 

La caratteristica più evidente della poesia di Penna consiste nella sua natura monotematica. Il tema unico della poesia di Penna è l’amore, cantato con costanza lungo tutta la sua produzione. Un amore rappresentato nella sua immediatezza e fisicità, lontano dalle implicazioni esistenziali e persino trascendenti tipiche di tanta poesia lirica. Più precisamente, tutte le poesie di Penna sembrano variazioni sullo stesso tema, il desiderio omoerotico, quasi sempre indirizzato verso ragazzi; si tratta di un tema quasi del tutto estraneo alla tradizione poetica e culturale del Novecento italiano e che può essere casomai collegato alla letteratura del mondo classico. Lo stesso Penna ha dedicato una quartina alla sua ossessione poetica:

Sempre fanciulli nelle mie poesie!
Ma io non so parlare d’altre cose.
Le altre cose son tutte noiose
io non posso cantarvi Opere Pie 2.

Rovesciando una possibile accusa alla sua “monotonia” tematica, il poeta dichiara di trovare noioso ogni altro possibile argomento. Questa quartina è anche un esempio dei principali tratti stilistici di Penna. È composta da versi regolari, quattro endecasillabi legati da rime baciate, secondo lo schema ABBA, come tipico di una quartina di sonetto. Il tono epigrammatico, giocato su una fulminante brevità, ritorna in moltissimi altri testi, insieme alla sintassi iterativa basata sul parallelismo (qui ad esempio tra i due verbi dei vv. 2-4, “non so”e “non posso” e potenziato dall’anadiplosi di “altre cose” tra i vv. 2-3). Anche se è difficile individuare i suoi modelli, Penna predilige la lingua letteraria del primo Novecento (Pascoli, D’Annunzio e il crepuscolarismo di Govoni o del primo Palazzeschi) e impiega forme metriche chiuse, strofe composte da versi regolari che spesso ricordano strutture metriche classiche. Mengaldo ha efficacemente notato che “la natura totalmente trasgressiva della tematica di Penna postula [...] un linguaggio non trasgressivo” 3. Un’altra caratteristica fondamentale della produzione poetica di Penna è l’astoricità: Penna non si confronta infatti con la Storia, con la società o con il contesto politico o culturale, rimanendo sempre fedele alla sue ossessioni erotiche. Inoltre, lungo gli anni non si riscontra nessuna evoluzione della sua poetica, a parte un generale incupirsi del tono con l’avanzare dell’età. Nonostante questa natura appartata e sostanzialmente emarginata, la poesia di Penna è diventata un importante terreno di confronto per poeti più giovani quali Pasolini e più avanti Dario Bellezza (1944-1996).

La ricerca poetica di Penna potrebbe essere avvicinata a quella di Umberto Saba e del suo Canzoniere, per quanto riguarda lo stile descrittivo e il solido rapporto con la tradizione letteraria. Dietro l’apparente semplicità, i testi di Penna sono infatti finemente lavorati dal punto di vista formale. Un esempio è La vita… è ricordarsi di un risveglio, testo tratto dalla prima raccolta (Poesie, 1939):

La vita... è ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all'alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell’aria pungente.
Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è piú dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l’azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore 4.

La poesia è composta da due strofe di cinque endecasillabi. Anche qui notiamo la struttura circolare basata sul parallelismo: lo schema accentuativo (le sillabe toniche sono la seconda, la sesta e la decima) del primo e dell’ultimo verso coincidono, mentre la punteggiatura delle due strofe è quasi identica, coi due punti nelle stesse posizioni e il punto fermo a chiudere. Il verbo “ricordarsi” compare al primo e al sesto verso, anche se con funzione morfologica differente. Questo parallelismo sintattico-formale è legato al contenuto figurale ed emotivo della poesia. La prima strofa rappresenta il risveglio angosciato del poeta, la cui malinconia è legata all’ambivalenza del piacere. Se la prima strofa si apre sulla nota dolorosa della fugacità 5, sulla tristezza che deriva dallo spegnersi del piacere, la seconda è dedicata al trionfo dei sensi. La visione improvvisa di un giovane marinaio riaccende il desiderio, in una sorta di “epifania” tutta terrena e umana che ricorre spesso nelle poesie di Penna. Anche lo spazio esterno viene trasfigurato dalla nuova disposizione dell’io lirico: si passa dalla “luce incerta” del v. 3 al “mare tutto fresco di colore” del v. 10, in cui “colore” sta per l’azzurro del mare o del cielo, immaginato quasi come un’estensione della divisa a strisce del marinaio. In generale, nelle poesie di Penna i fenomeni atmosferici e il contrasto tra interno ed esterno sono dotati di un particolare valore semantico: si collegano al contrasto tra piacere e frustrazione che pervade l’eros del poeta. In altre poesie è più in luce l’emarginazione sociale a cui è condannato il poeta, per effetto di una sessualità non solo omoerotica ma anche incline alla pederastia. Come lo stesso Penna afferma, le sue muse sono sempre fanciulli e ragazzi, spesso cantati con un erotismo candido e quasi naïf, che pure suscita interrogativi etici e culturali:

È l’ora in cui si baciano i marmocchi
assonati sui caldi ginocchi.
Ma io, per lunghe strade, coi miei occhi
inutilmente. Io, mostro da niente 6.

In questa elegante quartina notiamo ai vv. 3-4 la sintassi nominale, che sottolinea l’esclusione del poeta da un’affettività ordinaria, rappresentata dal gesto materno di baciare i ragazzi. Inoltre, Penna non vuole esprimere direttamente la sua verità e la sua intimità: per questo non usa verbi, e la frase ai vv. 3-4 rimane sospesa, chiudendosi invece su un avverbio che sancisce la sua delusione amorosa. Allo stesso modo anche la forza espressiva della parola “mostro”, al centro del verso conclusivo, è subito attenuata dalla successiva specificazione  (v. 4: “da niente”). Penna impiega spesso tecniche come l’attenuazione o l’eufemismo per rappresentare le sue pulsioni “proibite”. A livello più generale, lo stile classico ed elegante svolge una funzione di nobilitazione e “filtro” del contenuto erotico. Tuttavia, non si possono trascurare le implicazioni tematiche profonde delle poesie di Penna. La limpidezza formale e l’apparente elementarità dei sentimenti e dello stile nascondono problematiche morali e psicologiche che rendono l’autore un vero poeta moderno. Il critico Cesare Garboli spiega che l’eros di Penna rimanda “alla solitudine, al narcisismo, alla depressione”, e attraversa tre nodi oscuri che nel Novecento riguardano tutti: “nevrosi, omosessualità, fascino che la criminalità esercita sul sesso” 7. Altri critici ritengono che la veste stilistica tradizionale sia un modo per rendere accettabile ciò che viene bollato dalla società come peccaminoso o deprecabile, attraverso una sorta di strategia per rendere pubblica grazie alla letteratura una forma di erotismo che di norma viene esclusa e condannata 8. Penna rimane un poeta dotato di caratteristiche uniche e originali, che lo hanno fatto inserire in una linea “antinovecentesca” in compagnia di poeti quali Saba, Attilio Bertolucci e Giorgio Caproni. Secondo Cesare Garboli la sua poesia è la “più ricca di libido di quasi tutto il Novecento” 9 e la sua fedeltà alla tradizione poetica ne fa un erede contemporaneo di un’altra e anteriore civiltà poetica:

Penna è poeta [...] di registro linguistico piccolo-borghese, dannunziano e pascoliano, inesplicabile in un secolo che ha fatto del linguaggio uno strumento non di lode, ma di concorrenza col mondo. Uno dei motivi che hanno tenuto Penna lontano dai centri di maggior traffico della cultura italiana negli ultimi cinquant’anni, è stata la sua disappartenenza al moderno, la sua natura, in contrasto con la sua psicologia, di epigono, di poeta sopravvissuto 10.

 

Bibliografia:

F. Fortini, I poeti del Novecento, in Letteratura italiana Laterza, a cura di Carlo Muscetta, vol. 63, Bari, Laterza, 1977.
P. V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978.
R. Luperini - P. Cataldi - F. D’Amely, Poeti italiani: il Novecento, Palermo, Palumbo, 1994.
C. Garboli, Penna papers, Milano, Garzanti, 1996.
C. Segre - C. Ossola, Antologia della poesia italiana, Novecento, Torino, Einaudi, 1999.

1 P. V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978, p. 733.

2 C. Segre - C. Ossola, Antologia della poesia italiana, Novecento, Torino, Einaudi, 1999, p. 513.

3 P. V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, cit., p. 737.

4 C. Segre - C. Ossola, Antologia della poesia italiana, Novecento, cit., p. 507.

5 Il critico e poeta Franco Fortini ha notato a proposito della poesia di Penna la “nitida e lacerante contraddizione tra il desiderio (o il piacere) e la sua fugacità” (F. Fortini, I poeti del Novecento, in Letteratura italiana Laterza, a cura di Carlo Muscetta, vol. 63, Bari, Laterza, 1977, p. 94).

6 R. Luperini - P. Cataldi - F. D’Amely, Poeti italiani: il Novecento, Palermo, Palumbo, 1994, pp. 212-213.

7 C. Garboli, Penna papers, Milano, Garzanti, 1996, p. 12.

8 Romano Luperini, Pietro Cataldi, Floriana D’Amely, Poeti italiani: il Novecento, cit., pp. 207-208: “[...] nella poesia il poeta si confessa e può perciò manifestare pubblicamente quella ‘colpa’ che altrimenti è costretto a nascondere. [...] La storia e la società, che Penna sembra escludere dai propri testi, sono in verità rappresentate al loro interno dal momento formale: la poesia, a ben vedere, permette di confessare ciò che è socialmente inconfessabile, ma al tempo stesso rende nulla quella confessione grazie alla forma, che sublima il contenuto e sposta l’attenzione del lettore su altri elementi”.

9 C. Garboli, Penna papers, cit., pp. 21-22.

10 Ivi, p. 112.

Testo su Novecento

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