"La coscienza di Zeno": Svevo e la psico-analisi

"Non ho scritto che un romanzo solo in tutta la mia vita", ha dichiarato una volta Svevo. È quanto accade, di norma, a scrittori fortemente autobiografici, che anche quando inventino un personaggio di finzione ne ricalcano la figura, gli umori e persino il linguaggio – e in questo i protagonisti dei tre romanzi, Alfonso Nitti, Emilio Brentani e Zeno Cosini non si sottraggono al confronto – sul proprio stesso autoritratto. Eppure è vera anche l’altra celebre frase di Svevo, riguardante per la verità la sola Coscienza di Zeno (che aggiunge la scommessa della narrazione in prima persona da parte del protagonista – sia pure col filtro non necessariamente trasparente della “curatela”, della sua “confessione”, da parte dello psicoanalista indicato con la sola iniziale di "S."): "è un’autobiografia e non la mia". Del resto, proprio lo slittamento continuo fra personaggio e narratore è uno dei fattori che rendono straordinariamente moderna l’avventura letteraria di Svevo. Lo stesso “scrivere male”, che viene rimproverato a Svevo dai primi lettori (anche da alcuni dei più favorevoli), può essere letto nel quadro di un incompleto padroneggiamento della lingua italiana da parte di un cittadino austroungarico; ma anche e viceversa, nella Coscienza, come accorta e allusiva riproduzione di una voce “altra”, quella del personaggio Zeno, da parte dell’autore Svevo.
 
Rilevante poi la continuità tematica (nelle ossessioni psicoanalitiche della “senilità”, della “malattia” e  dell’“inettitudine”) osservabile nei tre romanzi sveviani: sino a culminare nella vicenda del paziente nevrotico, Zeno, che si risolve a prendere la parola solo su sollecitazione del misterioso terapeuta «S.». E infatti in queste strutture narrative diseguali, accidentate e tortuose trova il proprio fondamento quello che lo scrittore francese nel 1954 Alain Robbe-Grillet, caposcuola dell’école du regard e del Nouveau roman, definì il suo "tempo malato", in cui "la scrittura non può più essere innocente". Anche la maggiore critica sveviana (Giacomo Debenedetti su tutti) ha insistito sulla necessità di «varcare il trompe-l’oeil della narrazione» mettendo in luce i lapsus, il "non-detto", la carica di vera e propria mistificazione che l’autore Svevo ha sommato a quella dei suoi personaggi. Svevo, insomma, è un autore da leggere con vigile sospetto. Ma proprio per questo è l’autore esemplare – dopo i “maestri” Nietzsche, Marx e Freud – di quella che un’altra scrittrice del Nouveau roman, Nathalie Sarraute, ha definito "l’età del sospetto".
 
Andrea Cortellessa è un critico letterario italiano, storico della letteratura e professore associato all'Università Roma Tre, dove insegna Letteratura Italiana Contemporanea e Letterature Comparate. Collabora con diverse riviste e quotidiani tra cui alfabeta2, il manifesto e La Stampa - Tuttolibri.