Dante e Virgilio si trovano nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio, qui sono puniti i consiglieri di frode. Il canto si apre con un’invettiva contro Firenze (vv. 1-12), ricollegandosi tematicamente al canto precedente, dove il poeta aveva incontrato cinque ladri fiorentini, e predice la punizione che subirà la sua città.
Nei versi successivi (13-48) si presenta la nuova bolgia, in cui i due personaggi sono arrivati. Dante nota delle fiammelle, paragonate alle lucciole che vede il contadino che si riposa la sera d’estate, sono le anime dei peccatori, condannate al rogo eterno. Il poeta scorge una fiamma doppia e chiede spiegazioni a Virgilio: sono Ulisse e Diomede, puniti insieme per tre peccati comuni, l’inganno del cavallo di Troia, il furto del Palladio di Troia e la scoperta di Achille, travestito da donna per non andare in guerra. Dante vorrebbe parlare con i due eroi greci e Virgilio gli spiega che gli chiederà egli stesso ciò che egli vuole sapere, ma che il poeta deve tacere (vv. 49-84). Dopo essersi rivolti ad Ulisse, quest'ultimo inizia il racconto sui suoi ultimi anni di vita(vv. 85-142): una volta tornato in patria, l’eroe fu preso dal desiderio di compiere un nuovo viaggio; si rimette quindi in mare con i suoi compagni fino a giungere alle Colonne d’Ercole (l'attuale stretto di Gibilterra), dove era posto il limite invalicabile delle terre conosciute. Ulisse, convinti i compagni con un appassionato discorso, supera le Colonne. Dopo mesi di viaggio l’eroe e il suo seguito giungono in vista di un’isola, che si capirà poi essere la montagna del Purgatorio. Dalla terra, però, nasce un vortice che investe la nave di Ulisse che sprofonda nel mare.
- Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande
- che per mare e per terra batti l'ali 1,
- e per lo 'nferno tuo nome si spande 2!
- Tra li ladron 3 trovai cinque cotali
- tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
- e tu in grande orranza non ne sali.
- Ma se presso al mattin del ver si sogna 4,
- tu sentirai, di qua da picciol tempo,
- di quel che Prato 5, non ch'altri, t'agogna.
- E se già fosse, non saria per tempo.
- Così foss' ei, da che pur esser dee!
- ché più mi graverà, com' più m'attempo 6.
- Noi ci partimmo, e su per le scalee 7
- che n'avea fatto iborni 8 a scender pria,
- rimontò 'l duca mio e trasse mee;
- e proseguendo la solinga via,
- tra le schegge e tra ' rocchi de lo scoglio
- lo piè sanza la man non si spedia.
- Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
- quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi,
- e più lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio 9,
- perché non corra che virtù nol guidi;
- sì che, se stella bona o miglior cosa
- m'ha dato 'l ben, ch'io stessi nol m'invidi 10.
- Quante 'l villan ch'al poggio si riposa,
- nel tempo che colui che 'l mondo schiara 11
- la faccia sua a noi tien meno ascosa,
- come 12 la mosca cede a la zanzara 13,
- vede lucciole giù per la vallea,
- forse colà dov' e' vendemmia e ara:
- di tante fiamme tutta risplendea
- l'ottava bolgia, sì com' io m'accorsi
- tosto che fui là 've 'l fondo parea.
- E qual colui 14 che si vengiò con li orsi
- vide 'l carro d'Elia al dipartire 15,
- quando i cavalli al cielo erti levorsi,
- che nol potea sì con li occhi seguire,
- ch'el vedesse altro che la fiamma sola,
- sì come nuvoletta, in sù salire:
- tal si move ciascuna 16 per la gola
- del fosso, ché nessuna mostra 'l furto 17,
- e ogne fiamma un peccatore invola.
- Io stava sovra 'l ponte a veder surto,
- sì che s'io non avessi un ronchion preso,
- caduto sarei giù sanz' esser urto.
- E 'l duca che mi vide tanto atteso,
- disse: «Dentro dai fuochi son li spirti;
- catun si fascia di quel ch'elli è inceso».
- «Maestro mio», rispuos' io, «per udirti
- son io più certo; ma già m'era avviso
- che così fosse, e già voleva dirti:
- chi è 'n quel foco che vien sì diviso 18
- di sopra, che par surger de la pira
- dov' Eteòcle col fratel fu miso 19?».
- Rispuose a me: «Là dentro si martira
- Ulisse e Dïomede 20, e così insieme
- a la vendetta vanno come a l'ira;
- e dentro da la lor fiamma si geme
- l'agguato del caval che fé la porta
- onde uscì de' Romani il gentil seme 21.
- Piangevisi entro l'arte per che, morta,
- Deïdamìa ancor si duol d'Achille 22,
- e del Palladio pena vi si porta 23».
- «S'ei posson dentro da quelle faville
- parlar», diss' io, «maestro, assai ten priego
- e ripriego, che 'l priego vaglia mille,
- che non mi facci de l'attender niego
- fin che la fiamma cornuta qua vegna;
- vedi che del disio ver' lei mi piego!».
- Ed elli a me: «La tua preghiera è degna
- di molta loda, e io però l'accetto;
- ma fa che la tua lingua si sostegna.
- Lascia parlare a me, ch'i' ho concetto
- ciò che tu vuoi; ch'ei sarebbero schivi,
- perch' e' fuor greci, forse del tuo detto 24».
- Poi che la fiamma fu venuta quivi
- dove parve al mio duca tempo e loco,
- in questa forma lui parlare audivi 25:
- «O voi che siete due dentro ad un foco,
- s'io meritai di voi mentre ch'io vissi,
- s'io meritai di voi 26 assai o poco
- quando nel mondo li alti versi scrissi,
- non vi movete; ma l'un di voi dica
- dove, per lui, perduto a morir gissi».
- Lo maggior corno de la fiamma antica 27
- cominciò a crollarsi mormorando,
- pur come quella cui vento affatica 28;
- indi la cima qua e là menando,
- come fosse la lingua che parlasse,
- gittò voce di fuori e disse: «Quando
- mi diparti' da Circe, che sottrasse
- me più d'un anno là presso a Gaeta,
- prima che sì Enëa la nomasse 29,
- né dolcezza di figlio, né la pieta 30
- del vecchio padre, né 'l debito amore
- lo qual dovea Penelopè far lieta,
- vincer potero dentro a me l'ardore
- ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
- e de li vizi umani e del valore 31;
- ma misi me per l'alto mare aperto
- sol con un legno 32 e con quella compagna
- picciola da la qual non fui diserto.
- L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
- fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi,
- e l'altre che quel mare intorno bagna 33.
- Io e ' compagni eravam vecchi e tardi
- quando venimmo a quella foce stretta 34
- dov' Ercule segnò li suoi riguardi 35
- acciò che l'uom più oltre non si metta;
- da la man destra mi lasciai Sibilia,
- da l'altra già m'avea lasciata Setta.
- "O frati", dissi, "che per cento milia
- perigli siete giunti a l'occidente,
- a questa tanto picciola vigilia
- d'i nostri sensi ch'è del rimanente
- non vogliate negar l'esperïenza,
- di retro al sol 36, del mondo sanza gente.
- Considerate la vostra semenza:
- fatti non foste a viver come bruti,
- ma per seguir virtute e canoscenza 37".
- Li miei compagni fec' io sì aguti,
- con questa orazion picciola, al cammino,
- che a pena poscia li avrei ritenuti;
- e volta nostra poppa nel mattino,
- de' remi facemmo ali al folle volo 38,
- sempre acquistando dal lato mancino.
- Tutte le stelle già de l'altro polo
- vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
- che non surgëa fuor del marin suolo.
- Cinque volte racceso e tante casso
- lo lume era di sotto da la luna 39,
- poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,
- quando n'apparve una montagna 40, bruna
- per la distanza, e parvemi alta tanto
- quanto veduta non avëa alcuna.
- Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
- ché de la nova terra un turbo nacque
- e percosse del legno il primo canto.
- Tre volte il fé girar con tutte l'acque;
- a la quarta levar la poppa in suso
- e la prora ire in giù, com' altrui piacque,
- infin che 'l mar fu sovra noi richiuso».
- Esulta, Firenze, perché sei così magnifica
- che [la tua fama] vola sul mare e sulla terra,
- e il tuo nome si diffonde all'Inferno!
- Nella [bolgia dei] ladri mi imbattei in cinque [anime] di quella specie,
- [che furono] tue cittadine, perciò sento vergogna,
- e tu per questo non aumenti il tuo onore.
- Ma se [è certo che] i sogni [fatti] all'alba sono veritieri,
- tu proverai, di qui a poco,
- ciò che Prato e le altre città desiderano per te.
- E se già [questo] fosse [realtà], sarebbe [comunque] troppo tardi.
- E così sia, in quanto è destino che debba avvenire!
- Ma più invecchio e più mi peserà.
- Noi ci muovemmo, e su per quella scala
- che ci aveva fatto impallidire nel discenderla prima,
- Virgilio [ricominciò a] salire e mi trascinò;
- e percorrendo la via solitaria,
- tra le scaglie e le sporgenze della roccia,
- i piedi non riuscivano a procedere senza [l'aiuto] delle mani.
- A quel punto mi addolorai e [anche] ora soffro,
- quando ripenso a ciò che vidi, e,
- più [di quanto] non faccia di solito, tengo a freno il mio ingegno,
- affinché non avanzi senza la guida della virtù;
- di modo che, se [l'influenza degli] astri o la Grazia divina
- mi hanno dato la salvezza, non la perda per colpa mia.
- Quante lucciole scorge giù nella valle
- il contadino che riposa sulla collina nel momento
- in cui il Sole tiene a noi più nascosto il suo volto,
- nel momento in cui la mosca lascia il posto
- alla zanzara, laggiù, forse,
- dove coltiva i campi e le vigne:
- di altrettanti fuochi tutta era rischiarata§
- l'ottava bolgia, così come notai
- appena arrivai nel punto in cui si distingueva la pianura.
- E come colui che si vendicò con gli orsi
- vide allontanarsi il carro [che rapì] Elia,
- quando i cavalli si alzarono dritti in cielo,
- il quale non poteva seguirlo con gli occhi,
- poiché non vedeva altro che la fiamma
- che, come una minuscola nube, saliva in alto:
- così ogni [fiamma] si muove nel fondo della bolgia,
- tanto che nessuna mostra [l'anima che] nasconde,
- e ogni fuoco rapisce un peccatore.
- Io mi trovavo in piedi in cima al ponte,
- in modo tale che se non avessi afferrato una sporgenza [della roccia],
- sarei caduto giù senza essere urtato.
- E Virgilio, che mi notò così intento [a guardare],
- disse: «Dentro le fiamme [ci] sono gli spiriti;
- ciascuno è vestito del [fuoco] che lo arde».
- «Maestro mio», risposi, «ascoltandoti [ora]
- ne sono più convinto; ma già mi era parso
- che così fosse, e infatti desideravo chiederti:
- chi c'è in quella fiamma la cui cima è così divisa,
- [tanto] da dare l'impressione di emergere dal rogo
- in cui Eteocle fu deposto assieme al fratello?».
- Mi rispose: «Lì dentro si puniscono
- Ulisse e Diomede, e in questo modo vanno insieme al [giusto] castigo
- come [insieme] andarono [contro] l'ira [divina];
- e nella loro fiamma viene castigato
- l'inganno del cavallo che aprì il varco
- da cui scaturì la nobile stirpe dei Romani.
- Là dentro si sconta l'inganno per cui, [ora che è] morta,
- Deidamia soffre [l'abbandono] di Achille,
- e si patisce per la statua di Pallade».
- «Se quelli possono parlare dalle fiamme», dissi,
- «Virgilio, ti prego tanto e insisto nel pregarti,
- che la mia preghiera valga mille [volte],
- che tu non mi faccia aspettare [troppo tempo prima]
- che la doppia fiamma venga [fin] qui;
- vedi che dalla voglia [di parlare] mi protendo [tutto] a lei!».
- E Virgilio mi rispose: «La tua preghiera è degna
- di molte lodi, e perciò l'accolgo;
- ma fai in modo che tu ti astenga dal parlare.
- Lascia parlare me, [in quanto] conosco le tue domande;
- perché forse essi sarebbero restii,
- essendo greci, [nel sentire] la tua parlata».
- Dopo che la fiamma arrivò nel punto
- in cui alla mia guida sembrò più opportuno,
- in questo modo lo si sentì parlare:
- «O anime arse insieme da un solo fuoco,
- se in vita accumulai meriti [graditi] a voi,
- se meritai tanto o poco
- quando ancora in vita scrissi l'Eneide,
- non muovetevi; ma uno di voi racconti dove,
- per sé, si perdette e andò a morire».
- La punta più grande di [quel] fuoco antico [di Ulisse]
- cominciò a scuotersi bisbigliando,
- simile alla fiamma tormentata dal vento;
- e, agitando qua e là il pinnacolo,
- come se a parlare fosse [questa] lingua,
- buttò fuori la voce e disse: «Quando
- mi separai da Circe, che mi allettò
- per oltre un anno là vicino a Gaeta,
- ancor prima che Enea la chiamasse così,
- né la tenerezza di [un] figlio, né la pietà
- per [un] anziano padre, né l'amore dovuto a Penelope,
- [del] quale sarebbe stata lieta,
- furono più forti dentro me della passione
- che [mi mosse] nell'andare alla scoperta
- del mondo e dei vizi e delle virtù umane;
- ma mi misi a [navigare] nel profondo mare aperto
- con una sola nave e quella esigua compagnia
- [di uomini] dalla quale non fui abbandonato.
- Vidi la costa europea e la costa africana fino alla Spagna
- e al Marocco, e l'isola dei Sardi,
- e le altre [isole] che si trovano in quel mare.
- I [miei] compagni ed io eravamo anziani e lenti
- quando arrivammo a quello stretto
- in cui Ercole segnò i suoi confini
- affinché l'essere umano non li oltrepassi;
- [ma] a destra superai Siviglia,
- [e] a sinistra avevo già sorpassato Céuta.
- “O [miei] fratelli, dissi, “che per innumerevoli pericoli
- siete arrivati [all'estremo] occidente,
- [e] a questo così breve periodo
- di vita terrena, a ciò che [ci] rimane [da vivere],
- non vogliate, seguendo il sole,
- impedirvi l'esperienza del mondo inesplorato.
- Prendete coscienza della vostra condizione [di uomini]:
- non foste creati per vivere come selvaggi,
- ma per accrescere [le vostre] virtù e [il vostro] sapere”.
- Con questo breve discorso resi i miei compagni
- così desiderosi dell'impresa,
- che a malapena poi li avrei potuti far desistere;
- e, volgendo la nostra poppa a levante,
- coi remi ci spingemmo verso l'insano volo,
- andando sempre verso sud-ovest.
- La notte mostrava già tutte le stelle
- dell'altro emisfero, e il nostro era talmente basso
- che non emergeva più dal mare.
- Dal principio dell'ardua impresa,
- cinque volte si era acceso e altrettante [volte]
- si era oscurato l'emisfero della luna,
- quando [all'orizzonte] comparve una montagna
- oscura per la lontananza, e mi sembrò tanto alta
- quanto non ne avevo mai vista alcuna.
- Noi ci rallegrammo, ma presto [l'allegria] si convertì in pianto;
- poiché dal nuovo mondo si alzò un turbine
- [tale] che guastò la prua della nave.
- Tre volte la fece ruotare tra le acque;
- [e] alla quarta, la poppa si alzò verso il cielo
- e la prua si inabissò, come Dio aveva stabilito,
- finché il mare non si richiuse sopra di noi».
1 batti l'ali: “voli”, diffondendo così la tua fama. L'incipit del discorso dantesco è evidentemente sarcastico.
2 Godi... spande: il canto XXV si è chiuso con la descrizione delle metamorfosi dei cinque ladri fiorentini (vv. 49- 151), scena a cui va idealmente collegata quest'invettiva di apertura.
3 Tra li ladron: a partire dal canto XXIV il poeta ha fatto il suo ingresso nella bolgia VII, ove aveva osservato la punizione dei ladri. L'incontro con i cinque fiorentini ha ora risvegliato in Dante il risentimento per la città natale.
4 Ma se presso al mattin del ver si sogna: secondo una credenza medievale, i sogni mattutini erano più veritieri di quelli notturni. Dante finge di aver sognato la punizione di Firenze, e se la augura.
5 di quel che Prato: non soltanto le grandi e potenti città toscane desiderano un castigo per Firenze, ma anche le piccole come Prato. L'allusione vaga di questa profezia non permette di elaborare alcuna interpretazione precisa.
6 ché più mi graverà, com' più m'attempo: i moderni commentatori interpretano questa frase come una dolorosa constatazione del poeta, mentre gli antichi sono più propensi nel leggerla come un desiderio di vendetta, ovvero: “più invecchio e più mi peserà di non aver visto il castigo di Firenze”.
7 su per le scalee: cfr. Inferno XXIV vv. 72-75; vv: 79-80. La scala naturale a cui si riferisce Dante permette di accedere al prossimo ponticello, da cui è possibile osservare l'ottava bolgia.
8 iborni: dal latino eburneus, “di avorio”, e quindi “bianco pallido”.
9 e più lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio: Dante regola la facoltà dell'ingegno secondo la virtù della temperanza (una delle quattro virtù cardinali), mostrando un contrappeso morale alla tracotanza di Ulisse, punito da Dio con la morte. Questi, tuttavia, non si trova all'Inferno per aver superato i limiti della conoscenza, ma per la frode del cavallo che sancì la caduta di Troia. (cfr. Inferno XXVI, vv. 58-60).
10 m'invidi: latinismo. Il poeta innalza il tono del discorso, per preparare la scena all'incontro con Ulisse.
11 colui che 'l mondo schiara: perifrasi per il Sole.
12 come: ha valore temporale: “quando”, “nel momento in cui”.
13 la mosca cede a la zanzara: ovvero, “il giorno lascia il posto alla sera”, “al crepuscolo”.
14 colui: Eliseo, profeta ebraico. Deriso da un gruppo di ragazzini per la sua calvizie, invocò la maledizione di Dio su di loro: da un bosco uscirono due orsi e ne fecero strage.
15 'l carro d'Elia al dipartire: il profeta Elia divenne il protettore e maestro di Eliseo, suo erede spirituale. Costui non avrebbe conosciuto la morte, in quanto, alla presenza del discepolo, fu rapito e portato in cielo con un carro di fuoco.
16 ciascuna: sottinteso “fiamma”.
17 'l furto: l'anima celata alla vista. Il fuoco ne riveste completamente la figura.
18 sì diviso: le fiamme che nascondono i peccatori hanno una sola punta, ma Dante nota che una di queste ha una biforcazione, le cui cime hanno due diverse dimensioni.
19 dov' Eteòcle col fratel fu miso: Dante rievoca la leggenda di Eteocle e Polinice, i figli di Edipo e Giocasta che arrivarono ad odiarsi al punto che, dopo essersi uccisi a vicenda ed essere stati deposti sulla medesima pira, le fiamme che li arsero si separarono.
20 Ulisse e Dïomede: eroi omerici, uniti nella guerra contro i troiani. Favorirono i greci per mezzo delle astuzie e degli inganni escogitati per indebolire le difese nemiche. In particolar modo Ulisse, definito dallo stesso Omero polymechanos, ovvero “l'uomo dai molti espedienti”, fu, prima di intraprendere il viaggio che lo terrà lontano dalla patria per dieci anni, l'inventore del cavallo di Troia.
21 fé la porta onde... uscì de' Romani il gentil seme: nell'Eneide (composta all'incirca tra il 29 e il 19 a.C.), Virgilio anticipa che, nei tempi che succedettero gli eventi da lui narrati, la discendenza di Enea avrebbe fondato la città di Roma.
22 Deïdamìa ancor si duol d'Achille: Ulisse e Diomede usarono la loro astuzia per ricondurre Achille sul campo di battaglia dalla città di Sciro, dove egli, con una falsa identità, aveva sedotto la figlia del re Nicomede, Deidamia.
23 del Palladio pena vi si porta: la statua della dea Pallade era conservata nella rocca troiana. La sua presenza era un segno di protezione. Ulisse e Diomede, ancor prima dell'inganno del cavallo, ne escogitarono il furto.
24 ch'ei sarebbero schivi...perch' e' fuor greci, forse del tuo detto: numerose sono le ipotesi che i commentatori hanno elaborato su questo passo, la più probabile riguarda la mancanza di meriti presso i due greci da parte di Dante, a differenza di Virgilio, il quale può vantare una maggior vicinanza intellettuale.
25 audivi: latinismo. Il tono del canto diventa via via più solenne.
26 s'io meritai di voi: l'anafora, e cioè la ripetizione di una stessa parola o delle stesse parole ad inizio verso, è la figura retorica che introduce qui un'ulteriore figura retorica, la captatio benevolentiae con cui Virgilio cerca di cogliere il favore e la testimonianza dei due illustri personaggi.
27 Lo maggior corno de la fiamma antica: ovviamente, Ulisse.
28 crollarsi mormorando...pur come quella cui vento affatica: nella selva dei suicidi (cfr. Inferno, XIII) anche le anime racchiuse nella vegetazione della selva si affaticano parlando.
29 prima che sì Enëa la nomasse: secondo la tradizione la maga Circe dimorò sul monte Circello, presso Gaeta. Il nome alla città fu dato da Enea, il quale chiamò quel luogo come la sua nutrice, Gaeta, quando questa vi morì (Eneide, VII 1-2). Ciò avvenne a posteriori rispetto all'approdo di Ulisse.
30 pieta: Lo spostamento di accento sulla penultima sillaba, per ragioni di rima, è detto sistole.
31 vincer potero...valore: la figura di Ulisse che Dante decide di restituire in questi versi, si compone di una tradizione che da Cicerone passa per Ovidio e Seneca fino a qualche possibile leggenda medievale a noi sconosciuta. Ulisse è qui l'eroe che, dopo il suo lungo pellegrinare, una volta tornato in patria non resiste alla tentazione di intraprendere un nuovo viaggio verso l'ignoto, oltre i confini del mondo.
32 legno: metonimia divenuta per antonomasia forma poetica per indicare un'imbarcazione.
33 L'un lito... bagna: la rotta è chiaramente quella che da levante si dirige verso ovest, a ponente.
34 foce stretta: lo stretto di Gibilterra.
35 dov' Ercule segnò li suoi riguardi: lo stretto di Gibilterra, un tempo chiamato “freto Gaditano”, è sovrastato da due monti: Calpe, in Europa, e Abila, in Africa, i quali, secondo il mito, furono posti da Ercole per delimitare il territorio oltre il quale non si poteva procedere. "Nec plus ultra": questa la scritta che, sempre secondo il mito, fu apposta da Ercole per ammonire chi volesse procedere al di là.
36 di retro al sol: e cioè, “navigando sempre verso ponente”, come inseguendo il Sole nel suo tragitto verso il tramonto.
37 O frati... canoscenza: l'assai nota "orazion picciola" di Ulisse fu vista da alcuni commentatori come il massimo inganno dell'eroe greco. È anche un piccolo capolavoro di retorica che ad una captatio benevolentiae iniziale fa seguire un convincente incitamento, che culmina nella breve ma felicissima definizione della differenza della natura umana rispetto agli altri esseri viventi.
38 ali al folle volo: i remi, pur essendosi trasformati metaforicamente in "ali", non sono di supporto al "volo" di Ulisse e dei suoi compagni, poiché questo è "folle", e cioè non è sorretto dalla grazia divina.
39 Cinque volte... luna: cioè erano trascorsi circa cinque mesi.
40 una montagna: è il Monte Purgatorio che, secondo la morfologia dantesca (che segue quella dei geografi medievali), si trova nell'emisfero a sud dell'Equatore.