Genere, genesi e finalità dell’opera
Tra le opere di Giulio Cesare di cui si ha notizia, possiamo leggerne per intero solo due, il De bello Gallico (La guerra in Gallia) e il De bello civili (La guerra civile). Nel De bello Gallico, la prima ad essere composta, l’autore racconta dettagliatamente la campagna di conquista e pacificazione della Gallia Transalpina di cui fu personalmente al comando come proconsole negli anni tra il 58 e il 50 a.C. Il De bello Gallico viene definito con il termine latino commentarii, che significa “memoria, appunti”. Si tratta infatti di un testo che, prima di essere un prodotto letterario pensato per il pubblico, non appartiene a un preciso genere tradizionale e che, avvicinandosi all’autobiografia, alla cronaca, alla monografia storica e alla trattazione etnografica, può probabilmente essere considerato un vero e proprio “diario”, una specie il quaderno di appunti di un comandante che aveva tra i suoi doveri anche quello di informare il Senato del suo operato e non poteva quindi affidarsi solo alla memoria.
Verosimilmente Cesare ebbe modo di rielaborare questo “diario di guerra” privato facendone un’opera destinata al pubblico solo dopo essere tornato trionfante dalla Gallia: rese gli appunti omogenei sotto il profilo stilistico, li arricchì di particolari, di riflessioni e anche di una certa retorica a suo favore, allo stesso tempo nascosta ed enfatizzata dalla scelta di parlare di sé in terza persona. Questo artificio permette infatti al Cesare “scrittore” di scindersi dal politico e condottiero militare, presentandone i grandi trionfi nella maniera più sobria ed “oggettiva” possibile, senza negare i propri meriti ma anche senza autocelebrarsi in maniera esplicita (attirandosi quindi possibili antipatie, soprattutto da quella classe senatoria che mal sopportava la sua ascesa politica). Anche per questo, il De bello Gallico non si lascia ridurre a un’opera di mera propaganda, poiché nasce con l’intento sincero di lasciare una testimonianza il più possibile realistica su un evento cruciale della storia di Roma: non a caso costituisce per noi un documento storico di grande importanza, che permette di ricostruire puntualmente la campagna romana in Gallia e di delineare la personalità del suo autore.
Struttura e contenuto
Il De bello Gallico, così come ci è tramandato dalla tradizione medievale, è suddiviso in otto libri, uno per ciascun anno della campagna militare in Gallia, secondo lo schema tipico dell’annalistica tradizionale: solo i primi sette libri (che arrivano fino al 52 a.C.), però, sono opera di Cesare, mentre l’ottavo libro, che copre gli eventi del 51-50 a.C., è spurio e fu composto da Irzio, luogotenente di Cesare, per esigenze di completezza e per creare una continuità con il De bello civili, che inizia con il racconto degli avvenimenti del 49 a.C.
L’opera si presenta come una minuziosa cronaca militare, tesa a descrivere nei dettagli la campagna di Cesare in Gallia, con particolare attenzione sia per la tecnica e la strategia militare, sia per l’individuazione dei nessi di causa-effetto tra gli avvenimenti. Il resoconto di guerra, però, lascia spazio anche a digressioni etnografiche sui barbari e, spesso sotto forma di sententiae (e cioè di massime di sapore filosofico), a sporadiche riflessioni teoriche sull’esercizio del potere e sul rapporto tra Roma e lo straniero. Tuttavia, l’opera di Cesare è aliena dal moralismo che caratterizza gran parte della storiografia latina e si avvicina di più all’idea di “storiografia pragmatica” di Polibio.
L’opera si apre con una breve descrizione fisica della Gallia (libro I), abitata da popolazioni differenti per lingua, istituzioni e leggi e tra loro in rapporti di ostilità. Sono poi indicate le cause dell’intervento romano nella regione, presentandolo come un atto di difesa dei territori della provincia romana della Gallia Narbonense, sede degli Allobrogi, e di quelli degli Edui, alleati di Roma, dagli Elvezi, intenzionati a lasciare i propri territori per conquistare tutta la Gallia. L’intervento militare di Cesare costringe gli Elvezi alla resa e pone i Romani in una posizione di forza, tanto che i diversi popoli della Gallia iniziano a intrecciare rapporti diplomatici con Cesare. Nei libri successivi (libri II-III) si descrive il procedere delle operazioni militari e la sconfitta romana di altre popolazioni della Gallia (Belgi, Veneti, Aquitani) che, anziché sottomettersi ai Romani, tentavano di opporvisi. Una volta conclusa la conquista della Gallia, Cesare cerca di rafforzarne i confini e di sottomettere anche i popoli vicini, per evitare che possano portare aiuto ai Galli e sobillarne la ribellione. Cesare compie quindi delle campagne nei territori dei Germani, al di là del Reno, e in Britannia (libri IV-V). L’invasione della Britannia, però, è interrotta dallo scoppio di una rivolta generale in Gallia, dove si è formata una lega antiromana formata da Galli e Germani. La ribellione è faticosamente repressa da Cesare, che riesce a sottomettere tutti i popoli ribelli, i Treviri, gli Atuatuci, i Nervi, gli Eburoni e, infine, in seguito alla presa della città di Alesia, anche gli Averni di Vercingetorige (libri VI-VII).
Lingua e stile
Dal punto di vista stilistico il De bello Gallico mira alla chiarezza e alla razionalità, con l’intento di comunicare con il lettore in modo chiaro e diretto. Per questo, la prosa di Cesare è scorrevole, simmetrica e ordinata, quasi militarmente “schierata” sulla pagina: è fatta di periodi piuttosto brevi, con coordinate e subordinate al massimo al secondo grado, e di frasi che presentano quasi sempre la medesima struttura, con il verbo collocato in fondo. Il ritmo della narrazione è scandito dall’uso continuo dei costrutti participiali, in particolare dell’ablativo assoluto, e dalla presenza di formule fisse che descrivono alcuni episodi ricorrenti.
Per quanto riguarda la scelta dei tempi verbali, Cesare alterna l’uso del perfetto, che dà profondità storica alla narrazione, e quello del presente, che mira a coinvolgere maggiormente il lettore nei fatti narrati, senza però creare effetti drammatici. Lo stile di Cesare, infatti, tende alla sobrietà e alla precisione: la narrazione in terza persona evita per l’uso del discorso diretto (assai raro) e delle figure retoriche, mentre le scelte lessicali sono oculate e mai volutamente difficili; i dati numerici, fondamentali per un generale sul campo, sono sempre offerti con estrema puntualità.
Modelli e fortuna
In quanto commentario, il De bello Gallico appartiene a una tipologia testuale che, prima di Cesare, non costituiva un vero genere letterario: nel mondo greco, infatti, esistevano gli hypomnemata, che però consistevano in memorie private di comandanti militari scritte sotto forma di appunti, senza alcuna pretesa di letterarietà, e anche nel mondo latino si ha notizia di altri commentarii, come ad esempio quelli di Silla, che parimenti non miravano a ottenere dignità letteraria. I modelli letterari di Cesare vanno piuttosto cercati nella storiografia sia greca sia latina: egli, infatti, da un lato segue l’impostazione della storiografia monografica di Tucidide - che selezionava un singolo argomento e lo trattava con la maggiore obiettività possibile - e l’impostazione teorica della storiografia pragmatica di Polibio - interessata solo ai fatti politici e militari -, dall’altro si rifà anche alla tradizione romana degli Annali, che descrivevano gli eventi storici in ordine rigorosamente cronologico, anno per anno. Per le digressioni etnografiche, invece, i modelli sono altri: Erodoto, il modello lontano, e Posidonio di Apamea 1, quello più vicino.
Il De bello Gallico ebbe successo tra i contemporanei, ma presto la fama di Cesare come scrittore venne oscurata dalla sua celebrità come uomo politico. Infatti, nella letteratura successiva si trova spesso il ricordo della la figura storica di Giulio Cesare (che è, ad esempio, personaggio della Commedia di Dante e protagonista della tragedia Julius Caesar di Shakespeare), non delle sue opere. Tuttavia, in coppia con il De bello civili ma pure in modo autonomo, il De bello Gallico fu conservato dalla tradizione medievale e fu letto fin dal Rinascimento. Tra gli estimatori di Cesare come scrittore e modello di una prosa latina elegante e sobria, troviamo Michel De Montaigne nel Cinquecento e Alessandro Manzoni, nell’Ottocento.
Bibliografia
Le guerre in Gallia (De bello Gallico), a cura di C. Carena, Milano, Mondadori, 1984.
La disfatta in Gallia (De bello Gallico), a cura di G. Cipriani, Venezia, Marsilio, 1994.
L. Canali, Personalità e stile di Cesare, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1966.
1 Filosofo stoico vissuto tra la fine del II e l’inizio del I secolo a. C., autore, tra l’altro, di alcune descrizioni geo-etnografiche della Gallia, oggi perdute.