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“De brevitate vitae” (IV, 1 - V, 1) di Seneca: Cicerone e Augusto

Introduzione

 

All’interno del dialogo De brevitate vitae, Seneca aveva svolto una vera e propria requisitoria contro il negotium, ovvero quell’insieme di attività pubbliche e politiche che venivano viste come indispensabili per un buon cittadino romano. In controtendenza col resto della società, il filosofo afferma in quest’opera il primato dell’otium 1, dal momento che solo nel tempo libero l’uomo si può dedicare alla filosofia, e solo nella filosofia si trova il coronamento della vita umana e la possibilità di diventare simili agli dei. Per questo motivo all’interno del De brevitate vitae quanti si dedicano ossessivamente al negotium vengono chiamati in maniera quasi spregiativa “occupati”; ed è proprio a un “occupato”, il cavaliere Paolino, che è rivolta tutta quanta l’opera. Quale miglior modo per convincere questi “occupati” della grandezza del loro errore che mostrare l’esempio di due uomini che possono essere considerati come i più occupati tra gli occupati, ovvero l’imperatore Augusto e il retore Cicerone?

Con una tecnica retorica incalzante, composta da frequenti elencazioni poste a climax e rese ancor più incisive da citazioni dirette delle opere dei due celebri uomini, Seneca riesce a dimostrare che la vita di entrambi, pur lodata e invidiata da molti, era stata in realtà una sorta di incubo a occhi aperti. Tutti e due erano infatti stati incalzati dagli impegni ufficiali, erano stati assediati da nemici terribili e implacabili, derubati ogni giorno del tempo vitale. In questa situazione angosciante l’imperatore Augusto finisce necessariamente per desiderare l’otium più di ogni altra cosa, invocandolo addirittura nelle lettere ufficiali. Come per contrasto, dopo la descrizione dell’angosciosa vita di Augusto, Seneca si concede un veloce riassunto della vita di Cicerone. Il retore, dopo aver raggiunto forzatamente l’otium in seguito alla vittoria di Cesare, si lamentò di essere “semilibero”. Questa frase viene usata come uno strumento per criticare il celebre retore, che pure in quel periodo si era interessato alla filosofia stoica e aveva scritto alcuni dei saggi filosofici più celebri nella letteratura latina. Secondo Seneca infatti un vero saggio non si sarebbe mai lamentato di essere semilibero, dal momento che - secondo uno dei più celebri paradossi stoici - un uomo che segue pienamente la filosofia è libero in qualunque situazione si trovi. L’utilizzo di esempli tratti dalla storia era del resto tipico della diatriba popolare di tradizione cinico-stoica, di cui Seneca si serve spesso come modello per la composizione dei suoi dialoghi.

 

Testo

 

(IV. 1) Potentissimis et in altum sublatis hominibus excidere 2 voces videbis, quibus otium optent, laudent, omnibus bonis suis praeferant 3. Cupiunt interim ex illo fastigio 4suo, si tuto liceat, descendere. Nam ut 5 nihil extra lacessat aut quatiat, in se ipsa fortuna ruit. (2) Divus Augustus, cui di 6 plura quam ulli praestiterant, non desiit quietem sibi precari et vacationem a re publica petere. Omnis eius sermo ad hoc semper revolutus est, ut 7speraret otium. Hoc labores suos, etiamsi falso 8, dulci tamen oblectabat solacio, aliquando se victurum sibi 9. (3) In quadam ad senatum missa epistula 10, cum requiem suam non vacuam fore 11dignitatis 12 nec a priore gloria discrepantem pollicitus esset 13, haec verba inveni: “Sed ista fieri speciosius quam promitti possunt 14. Me tamen cupido temporis optatissimi mihi provexit, ut quoniam rerum laetitia moratur adhuc, praeciperem aliquid voluptatis 15ex verborum dulcedine”. (4) Tanta visa est res otium, ut illam, quia usu non poterat, cogitatione praesumeret 16. Qui 17 omnia videbat ex se uno pendentia 18, qui 19 hominibus gentibusque fortunam dabat, illum diem laetissimus cogitabat, quo 20 magnitudinem suam exueret. Expertus erat quantum illa bona per omnis terras fulgentia sudoris 21 exprimerent 22, quantum occultarum sollicitudinum 23 tegerent: (5) cum civibus primum, deinde cum collegis, novissime cum adfinibus 24 coactus armis decernere mari terraque 25sanguinem fudit: per Macedoniam, Siciliam, Aegyptum, Syriam Asiamque 26 et omnis prope oras bello circumactus Romana caede lassos 27 exercitus ad externa bella convertit. Dum Alpes placat 28 immixtosque mediae paci 29 et imperio hostes perdomat, dum ultra Rhenum et Euphraten et Danuvium terminos movet, in ipsa urbe Murenae, Caepionis, Lepidi, Egnati, aliorum 30 in eum mucrones acuebantur. (6) Nondum horum effugerat insidias: filia et tot nobiles iuvenes 31 adulterio velut sacramento adacti iam infractam aetatem territabant. Paulusque et iterum timenda cum Antonio mulier 32. Haec ulcera cum ipsis membris absciderat: alia subnascebantur. Velut grave multo sanguine corpus parte semper aliqua rumpebatur. Itaque otium optabat. In huius spe et cogitatione labores eius residebant. Hoc votum erat eius, qui voti 33 conpotes facere poterat.

(V. 1) Marcus Cicero inter Catilinas, Clodios iactatus Pompeiosque et Crassos, partim manifestos inimicos, partim dubios amicos 34, dum fluctuatur cum re publica et illam pessum 35euntem tenet, novissime abductus, nec secundis rebus quietus nec adversarum patiens, quotiens illum ipsum consulatum suum non sine causa, sed sine fine laudatum detestatur 36? (2) Quam flebiles voces exprimit in quadam ad Atticum epistula 37 iam victo patre Pompeio 38, adhuc filio in Hispania fracta arma refovente 39? “Quid agam”, inquit, “hic, quaeris? Moror in Tusculano meo 40 semiliber”. Alia 41 deinceps adicit, quibus et priorem aetatem conplorat et de praesenti queritur et de futura desperat. (3) Semiliberum se dixit 42 Cicero: at me hercules 43 numquam sapiens in tam humile nomen procedet, numquam semiliber erit, integrae semper libertatis 44et solidae 45, solutus, et sui iuris 46 et altior ceteris. quid enim supra eum potest esse, qui supra fortunam est?

 

Traduzione

 

(IV. 1) Tu vedrai scappare di bocca a uomini potentissimi e portati in alto alcune parole, con cui desiderano e lodano l’ozio e lo preferiscono a tutti i loro beni. Talvolta desiderano allontanarsi da quel loro onore, se sia possibile farlo in sicurezza. Infatti anche se nessuna cosa la colpisce o scuote dall’esterno, la fortuna crolla da sola. (2) Il divino Augusto, a cui gli dei diedero più che a chiunque, non smise di chiedere il riposo per sé e di chiedere l’esonero dallo stato. Ogni suo discorso si rivolgeva sempre a questa cosa, ovvero di sperare nell’ozio. Rallegrava le sue fatiche con questo dolce sollievo, anche se falso, ovvero che prima o poi sarebbe vissuto per se stesso. (3) In una lettera inviata al senato, dopo aver promesso che il suo riposo non sarebbe stato privo di dignità e non in disaccordo con la precedente gloria, ho trovato queste parole: “Ma queste cose possono essere fatte in maniera più bella di quanto possano essere promesse. Tuttavia il desiderio di questo tempo da me desideratissimo mi spinse a tal punto che, poiché la gioia reale ritarda ancora, io pregusti un qualche piacere dalla dolcezza delle parole”. (4) L’ozio sembrò una cosa tanto grande che lo pregustava con il pensiero, dal momento che non poteva farlo nella realtà. Quello che vedeva tutte le cose dipendere da sé solo, che dettava la sorte a uomini e popoli, pensava felicissimo a quel giorno in cui si sarebbe spogliato della sua grandezza. Aveva sperimentato quanto sudore cavano fuori quei beni che risplendono in tutte le terre, quante nascoste sollecitudini nascondano; (5) costretto a scontrarsi con le armi per mare e per terra dapprima coi cittadini, poi con i colleghi, infine con i parenti, sparse sangue; condotto dalla guerra attraverso la Macedonia, la Sicilia, l’Egitto, la Siria e l’Asia e quasi tutte le coste, volse gli eserciti stanchi per il massacro di romani verso le guerre esterne. Mentre pacifica la Alpi e doma i nemici mescolati in mezzo alla pace e all’impero, mentre muove i confini al di là del Reno e dell’Eufrate e del Danubio, all’interno della stessa città le punte della spada di Murena, di Cepione, di Lepido, di Egnazio e di altri venivano appuntite contro di lui. (6) Non era ancora sfuggito alle insidie di costoro: la figlia e tanti nobili giovani, spinti dall’adulterio come da un giuramento, terrorizzavano la sua età già piegata. E Paolo e una donna insieme ad un Antonio devono di nuovo essere temuti. Aveva tagliato queste ferite insieme con le stesse membra: ne nascono altre al loro posto. Come un corpo pesante per il molto sangue si spaccava sempre in qualche punto. E così desiderava l’ozio. Nella speranza e nel desiderio di questo si acquietavano le sue fatiche. Questo era il voto di colui che poteva esaudire i voti degli altri.

(V.1) Marco Cicerone, sballottato tra i Catilina e i Clodio e i Pompei e i Crassi, in parte nemici manifesti, in parte amici di dubbia fedeltà, mentre viene sballottato insieme allo Stato e lo tiene fermo mentre va in rovina, infine, essendo stato condotto via, né quieto per le cose favorevoli né tollerante di quelle avverse, quante volte detestò persino quel suo consolato, lodato non senza motivo, ma senza fine? (2) Quante flebili parole espresse in una lettera inviata ad Attico, dopo che Pompeo padre era già stato vinto, e mentre il figlio rinvigoriva le armi distrutte in Spagna? Egli disse “Tu mi chiedi che cosa faccia qui? Passo il tempo nella mia villa di Tusculo semilibero”. Aggiunse inoltre altre parole, con cui compiange l’età precedente e si lamenta del presente e non spera alcunché riguardo alle cose future. (3) Cicerone disse di essere semilibero: ma, per Ercole!, mai il sapiente arriverà a un nome tanto basso, mai sarà semilibero, lui che è sempre di libertà integra e monolitica, libero, padrone di se stesso, e più alto degli altri. Che cosa infatti può esserci al di sopra di lui, che si trova al di sopra della fortuna?

1 Degli effetti filosoficamente benefici dell'otium Seneca tratta acnhe in moltissime delle Lettere morali a Lucilio.

2 excidere: è un verbo composto dal prefisso ex-  e il verbo cado, cadis, cecidi, cadere (“cadere”); quindi il significato letterale della parola è “cadere fuori”, che rende bene l’idea delle parole che vengono fuori quasi involontariamente dalla bocca degli uomini impegnati. Questo verbo, excĭdo, non deve essere confuso con excīdo, composto di caedo, caedis, cecidi, caesum, caedere, (“tagliare, uccidere”), che possiede una significato molto più netto e violento.

3 optent [...] laudent [...] praeferant: si tratta di tre congiuntivi presenti. Fanno tutti parte di subordinate relative e sono al congiuntivo per attrazione modale, in quanto dipendenti da una reggente con l’infinito (quando una relativa dipende da una reggente al congiuntivo o all’infinito modifica il proprio modo verbale dall’indicativo al congiuntivo).

4 fastigio: per fastigium si intende solitamente la parte più alta di qualcosa,come un monte o un edificio (nel qual caso si indicherà con questo termine il tetto di una casa o il frontone di un tempio). In questo contesto il termine indica più in generale la parte più alta di una vita, e quindi si può tradurre come “onore”, “dignità”, “alta condizione sociale”.

5 ut: in questo caso possiede valore concessivo.

6 di: nominativo plurale di Deus. Questo sostantivo presenta una declinazione parzialmente irregolare: manca di vocativo singolare, mentre per il nominativo e vocativo plurale esistono ben tre varianti: Dei, Dii e Di. Stessa cosa per il dativo e ablativo plurale (Deis, Diis, Dis) mentre per il genitivo plurale esistono due forme: quella regolare (Deorum) e quella irregolare (Deum).

7 ut: la dichiarativa introdotta da ut ha valore esplicativo del pronome hoc.

8 falso: Seneca sapeva bene che Augusto morì mentre era ancora al potere, il 19 agosto del 14 d.C. L’otium tanto sperato non sarebbe mai giunto, e da queste parole sembra di capire che l’imperatore fosse consapevole di questo fatto.

9 se victurum sibi: “victurum” sottintende esse ed è l’infinito futuro del verbo vivo, vivis, vixi, victum, vivere. Possiede come soggetto il pronome riflessivo se (come succede tutte le volte in cui il soggetto di una infinitiva coincide con quello della reggente). L’infinitiva ha valore di esplicativo di “solacio”.

10 epistula: non sappiamo niente di più preciso su questa lettera. Sappiamo però che l’imperatore era solito “fingere” il proprio ritiro, probabilmente per evitare di sembrare un tiranno. Così a esempio aveva fatto nel 27 a.C., quando restituì formalmente i poteri al Senato, salvo poi vederseli confermati in altra forma. Può essere che questa lettera seguisse una tale strategia.

11 fore: infinito futuro del verbo esse, retto da “pollicitus esset”. Il suo soggetto è “requiem”.

12 non vacuam fore dignitatis: si tratta di una citazione ciceroniana (De oratore I, 1, 1). Quello dell’otium cum dignitate era un termine ideato dal retore per indicare il proprio ritiro dalla vita politica. L’accostamente dei due termini doveva apparire come un ossimoro, dal momento che la dignitas coincideva per un romano con il negotium e non con l’otium.

13 cum […] pollicitus esset: si tratta di un cum narrativo. Pollicitus esset è congiuntivo piucheperfetto del verbo deponente polliceor, polliceris, pollicitus sum, polliceri.

14 Il senso della frase è che l’ozio è meglio viverlo che prometterlo.

15 aliquid voluptatis: “voluptatis” è genitivo partitivo retto da “aliquid”.

16 ut […] praesumeret: subordinata consecutiva che ha come antecedente l’aggettivo “tanta”(“tanto grande”).

17 qui: questo pronome relativo dipendende dal pronome personale is sottinteso; è il fenomeno della ellissi del dimostrativo.

18 pendentia: si tratta di un participio predicativo dell’oggetto. Questo costrutto, molto più frequente in greco che in latino, prevede che il participio si traduca come un infinito.

19 qui: si tratta di un’altra ellissi del dimostrativo.

20 quo: si tratta di un pronome relativo con valore di complemento di tempo determinato.

21 quantum […] sudoris: “sudoris” è genitivo partitivo retto da “quantum”.

22 quantum […] exprimerent: si tratta di una subordinata interrogativa indiretta.

23 occultarum sollicitudinum: è genitivo partitivo retto da “quantum”.

24 Usando una suggestiva climax, Seneca elenca velocemente le guerre civili combattute da Augusto in ordine cronologico. La guerra “cum civibus” è un riferimento agli scontri contro Antonio avvenuti subito dopo la morte di Cesare a Modena (43 a.C.) e alla sconfitta dei cesaricidi Bruto e Cassio avvenuta l’anno dopo a Filippi. Augusto combatté poi con i colleghi Antonio e Lepido in occasione della guerra di Perugia (41-40 a.C.), mentre si scontrò con i suoi parenti in occasione dello scontro finale con Antonio, divenuto nel frattempo suo cognato. Gli scontri diventano pian piano più mostruosi e innaturali e dimostrano gli sforzi che il principe affrontò pur di ottenere quel potere di cui, alla fine, lo stesso Augusto non sapeva che farsene.

25 mari terraque: è stato notato che questa formula veniva sempre recitata in forma fissa terra marique. Il ribaltamento dei due termini è dovuto probabilmente al fatto che Seneca voleva dare maggiore evidenza alla guerra per mare, dal momento che la vittoria più gloriosa di Augusto, quella contro Antonio nella battaglia di Azio (2 settembre 31 a.C.), era stata combattuta proprio per mare.

26 Vengono elencati questa volta i luoghi che funsero da ambientazioni delle guerre combattute da Augusto: la Macedonia, dove avvenne la battaglia di Filippi contro i cesaricidi (42 a.C.); la Sicilia, dove il futuro principe si scontrò contro Sesto Pompeo, figlio del rivale di Cesare; l’Egitto, l’Asia e la Siria dove Ottaviano pose termine alle ambizioni di Antonio e Cleopatra.

27 lassos: questo aggettivo si può intendere come una accusa rivolta al governo di Augusto, ritenuto troppo sanguinario. Un esercito come quello di Cesare, che aveva sempre favorito la clementia nei confronti del nemico vinto, non si sarebbe mai stancato per la strage dei concittadini.

28 Alpes placat: nelle Alpi erano annidate tribù ostili a Roma, contro cui Augusto fu costretto a combattere varie guerre. In questa occasione venne fondata l’odierna città di Aosta (Augusta praetoria).

29 mediae paci: medius, media, medium è un aggettivo molto particolare, che non si può tradurre letteralmente in italiano. Il termine indica infatti la parte centrale del sostantivo con cui l’aggettivo stesso concorda.

30 Si tratta di un elenco di cittadini romani che complottarono in varie occasioni contro Augusto.

31 filia et tot nobiles iuvenes: Giulia, figlia di Augusto e moglie prima di Marcello, poi del generale Agrippa, venne accusata di adulterio con un numero molto elevato di amanti, tra cui si trovava anche Giulio Antonio, figlio del più famoso Marco Antonio. Probabilmente anche questo fu causa della condanna all’esilio della stessa Giulia, che fu costretta a rimanere il resto della sua vita a Pandataria, l’attuale isoal di Ventotene. Era la cosiddetta relegatio ad insulam, una legge voluta dallo stesso Augusto per questo tipo di reati. In realtà dall’ultima congiura di cui Seneca aveva parlato poco prima e la condanna di Giulia erano passati ben diciasette anni. Ma il filosofo trascura volutamente il dato storico, preferendo dare l’impressione che le minacce alla vita di Augusto fossero state continue e ininterrotte.

32 [Il Paolo qui citato era Lucio Emilio Paolo, marito di Giulia minore, figlia della Maggiore e nipote di Augusto. Come la madre anche lei fu accusata di aver congiurato contro il principato. Il brano mostrerebbe l’incubo che avrebbe colpito un Augusto ormai vecchio: rivedere di nuovo un Antonio (il figlio del triumviro) complottare contro di lui insieme a una donna (un tempo Cleopatra, ora la nipote). Ma la presenza del figlio di Antonio tra gli amanti della figlia e non della nipote sembra una svista da parte di Seneca, che forse aveva confuso tra loro le due Giulie.

33 votum […] voti: si tratta di un poliptoto.

34 partim manifestos inimicos, partim dubios amicos: i nemici manifesti erano chiaramente Catilina, contro cui scrisse le celebri Catilinarie, e Clodio, luogotente di Cesare a Roma, che fu responsabile dell’esilio di Cicerone. I “dubbi” amici erano Pompeo e Crasso, triumviri insieme a Cesare nel 60 a.C., con cui Cicerone mantenne sempre un rapporto ambiguo.

35 pessum: è un avverbio; vuol dire “in rovina”.

36 Durante il suo consolato Cicerone aveva sconfitto Catilina, che aveva tentato un pericoloso colpo di stato contro il senato. Cicerone passò il resto della sua vita a vantarsi per questa impresa: tra le altre cose compose anche un poema epico su questo argomento, il De consulatu suo, purtroppo non pervenutoci. L’intero costrutto senechiano appare come ironico nei confronti del retore, criticato di essere troppo generoso nelle lodi verso se stesso.

37 Si tratta della lettera 13, 31, 2, in cui appare il termine semiliber (usato solo in questo contesto). Nella lettera in questione però il termine non era riferito a Cicerone. Probabilmente Seneca citava a memoria, senza controllare la fonte di riferimento, o forse modificando volutamente il contenuto del testo. Del resto, in questo brano l’autore ha modificato anche altri dati storici per rendere più incalzante la propria narrazione.

38 victo patre Pompeio: ablativo assoluto. Si tratta di un riferimento alla battaglia di Farsalo (9 agosto 48 a.C.) in cui Pompeo (qui chiamato “padre” per distinguerlo dal figlio, accanito rivale di Augusto), fu definitivamente sconfitto da Giulio Cesare.

39 filio […] refovente: Si tratta di un altro ablativo assoluto. La fase finale della guerra civile tra Cesare e Pompeo terminò in Spagna, dove il figlio di Pompeo aveva radunato i resti degli eserciti repubblicani. Questo vuol dire che la lettera di Cicerone venne scritta prima della battaglia di Munda (45 a.C.). In realtà la lettera citata è leggermente successiva a questo evento, ma si tratta probabilmente di una svista di Seneca, che cita a memoria.

40 in Tusculano meo: si tratta della famosa villa di Tusculo, in cui Cicerone ambientò molti dei suoi dialoghi più famosi.

41 alia: è sottinteso verba.

42 È sottinteso un esse.

43 me hercules: si tratta di una tipica esclamazione latina, molto frequente nel linguaggio parlato e quindi anche nella commedia (come in Plauto, ad esempio).

44 libertatis: con il termine semiliber Cicerone probabilmente si riferiva a una libertà di tipo politico e non morale come la intende Seneca, che evidentemente non ha compreso o finge di non aver capito quale era il vero dramma dell’esistenza di Cicerone. Seneca insomma distorce il dato biografico reale per perorare la causa dello stoicismo, inteso come l’unica dottrina filosofica che può condurre l’uomo alla vera sapienza e al vero otium.

45 integrae semper libertatis et solidae: genitivo di qualità.

46 sui iuris: genitivo di qualità.