8'

Montale, “Dissipa tu se lo vuoi”: parafrasi e commento

La lirica conclusiva di Mediterraneo segna una chiusura circolare del poemetto, la cui fine coincide grossomodo con l'inizio (A vortice s’abbatte): in entrambi i testi l'io lirico spera nell'unione con il mare. Dopo un preciso cammino, egli ripensa alla strada percorsa e si accorge di quanto poco abbia realmente fatto o ottenuto, così come si accorge di quanto il mare conti veramente per lui. Curiosamente, dopo il quinto movimento (Giunge a volte repente), nasce una descensio idealistica che porta l'io lirico a considerare sempre meno ciò di cui è convinto (l'emancipazione dal mare) e sempre più ciò da cui vorrebbe fuggire (l'unione con il mare).

Sin dai primi versi, la caratterizzazione del sé risulta mordente: si trova infatti, in similitudine, il “frego | effimero” che deve essere cancellato, con molta facilità, dalla “spugna”, cioè il mare. La sottomissione è quindi notevole, ed oltre a questa la metafora indica la condizione di precarietà dell'io lirico, la pochezza esistenziale che lo caratterizza e la poca stima che ha di sé. Come una spugna che elimina innumerevoli tratti di gesso con una ferma spazzata, l'io lirico chiede al mare di essere cancellato alla stessa maniera.

È inutile ripensare alla strada percorsa fino ad ora: sembra che con il quinto movimento nasca, oltre alla finta scintilla di ribellione, una dimenticanza progressiva dell'“ordine” a cui l'io lirico voleva sottostare, la fede cieca che mai ha conosciuto e che è ora stufo di non conoscere. Il mare, invece, è sempre rimasto un punto saldo: la “dolce risacca” ha sempre causato “sbigottimento”, affascinando puntualmente l'io lirico e favorendo in lui la nascita di un sentimento di appartenenza totalizzante (lo “scemato di memoria | quando si risovviene del suo paese”). In questo momento conclusivo, quindi, il protagonista non può che darsi al suo principio vitale, ragionando sul fatto che a lui deve rimettersi per quanto da lui ha imparato. L'ultima presa di coscienza, poi, indica la precarietà della vita e la pochezza, di nuovo, dell'io lirico, il quale percepisce la sua esistenza come una fugace scintilla e nulla più.

E il mare, potrà evitare tutto ciò?

Metro: ventitré versi in cui ritorna l’alternanza tra endecasillabi e settenari, arricchita comunque dall’aggiunta di altri versi brevi e pochi versi lunghi. Gli enjambements sono di minore importanza fino al v. 10, dopo il quale tornano ad essere sintomatici del dialogo con il mare, il quale frastaglia la corrispondenza tra metro e lingua. Da notare è il rallentamento della chiusa: tramite asindeto, la lirica termina speculando sulle ultime affermazioni, che assumono un carattere lapidario. Le schema rimico è evidente, soprattutto dopo l’avversativa del v. 11 ed il tessuto fonico si adegua senza particolari picchi espressivi.

  1. Dissipa tu se lo vuoi
  2. questa debole vita che si lagna,
  3. come la spugna il frego
  4. effimero di una lavagna 1.
  5. M'attendo di ritornare nel tuo circolo,
  6. s'adempia lo sbandato mio passare 2.
  7. La mia venuta era testimonianza
  8. di un ordine che in viaggio mi scordai 3,
  9. giurano fede queste mie parole
  10. a un evento impossibile, e lo ignorano 4.
  11. Ma sempre che traudii
  12. la tua dolce risacca su le prode
  13. sbigottimento mi prese 5
  14. quale d'uno scemato di memoria
  15. quando si risovviene del suo paese 6.
  16. Presa la mia lezione 7
  17. più che dalla tua gloria
  18. aperta, dall'ansare
  19. che quasi non dà suono
  20. di qualche tuo meriggio desolato 8,
  21. a te mi rendo in umiltà 9. Non sono
  22. che favilla d'un tirso 10. Bene lo so: bruciare,
  23. questo, non altro, è il mio significato.
  1. Cancella, se vuoi,
  2. questa vita debole che si lamenta,
  3. come la spugna cancella il gesso
  4. che non resta sulla lavagna.
  5. Aspetto di tornare al tuo circolo,
  6. che finisca il mio cammino senza senso.
  7. La mia vita era testimonianza
  8. di una logica che durante il viaggio dimenticai,
  9. queste mie parole sperano
  10. in un evento impossibile, e non sanno qual è.
  11. Ma ogni volta che sentii
  12. la tua dolce risacca sulle (tue) sponde
  13. mi prese una meraviglia
  14. come quella di uno privo di memoria
  15. che si ricordi del suo paese.
  16. Imparata la mia lezione
  17. più che dalla tua onnipotenza
  18. infinita, dal respirare
  19. che quasi non fa rumore
  20. di un meriggio solitario presso di te,
  21. a te mi restituisco con umiltà. Non sono
  22. altro che la scintilla di una torcia. Lo so bene: bruciare,
  23. questo, nessun altro, è il mio significato.

1 Lavagna: la condizione di sottomissione dell'io lirico è davvero notevole. Nella similitudine, il poeta richiama la riga di gesso disegnata su una lavagna e chiede alla spugna (corrispondente al mare) di cancellarla, indicando la resistenza nulla e, propriamente, l'effimerità che lo caratterizzeranno da qui in poi. Come nella lirica precedente, l'io lirico richiama i suoi lamenti e chiede l'assoluzione per essi, cedendo al principio a cui non ha voluto affidarsi in passato.

2 Passare: in questi due versi crolla, istantaneamente, tutta la resistenza che l'io lirico ha cercato di organizzare nel corso dell’interno poemetto. Il suo cammino, che poteva sembrare un tentativo di autodeterminazione, si rivela invece privo di meta, sconclusionato ed insensato. Antiteticamente, il “circolo” del mare richiama un'idea di perfezione e di armonia, a cui il protagonista non può che guardare meravigliato e sognarne l'inclusione.

3 Scordai: si rincara la dose di cinismo che smonta il percorso dell'io lirico: non solo uno “sbandato […] passare”, bensì anche la perdita di un “ordine”, di nuovo opposto per antitesi alla ferrea rigorosità che caratterizza il mare. Ragionando su di sé, quindi, l'io lirico osserva di aver avuto importanza e forza per autodeterminarsi, ma di averle misteriosamente perse lungo la strada.

4 Ignorano: progredendo lungo l'analisi della sua vita prima della resa, all'io lirico resta da inquadrare il principio che, prima di questo momento, gli permetteva di vivere. Ragionandoci, sembra quasi che non riesca ad arrivarci. Addirittura, sembra che non possa fare altro che smontare la propria convinzione: la “fede”, dal notevole peso semantico, perde significato a causa dell'“evento impossibile”, a cui è collegata tramite un accostamento ossimorico, e dell'incapacità delle parole, le quali “ignorano” il miracolo laico in cui l'io lirico spera. Impossibilitato nei suoi mezzi, perciò, egli si abbandona alla grande presenza in grado di dare un senso alla propria vita (come sembrava si preannunciasse in Scendendo qualche volta e Ho sostato talvolta nelle grotte).

5 Mi prese: crollata una certezza, o meglio, decostruita una certezza stabile soltanto in apparenza, l'io lirico ricorda l'unica cosa che sia riuscita, nel corso del poemetto, a dare stabilità alla sua mente: il mare. La caratterizzazione della sua rinsacca, innanzitutto, è molto indicativa del sentimento provato verso di esso; lo “sbigottimento”, che si ritrova in forma diversa in quasi ogni lirica precedente, è il segno tangibile dell'effetto vitale e spontaneo che il contatto con esso dà al protagonista.

6 Paese: coerentemente a Ho sostato talvolta nelle grotte, segnata dall'emersione della città perduta dalle acque del mare, l'io lirico si immedesima nel movimento dei flutti marini e si sente nuovamente a casa, proprio come se il mare fosse la sua patria.

7 Lezione: da notare è il termine a cui Montale ricorre: “lezione” sembra indicare una conoscenza che viene trasmessa, proprio come se il mare potesse insegnare all'io lirico la vita ed i principi di essa (riprendendo quindi il tema dei “libri” di Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale). Non è la prima volta, comunque, che il mare viene elevato a una simile posizione: questo verso può effettivamente ricollegarsi al rapporto padre-figlio che l'io lirico designa nelle liriche precedenti tramite le frequenti personificazioni, sempre indicando la subordinazione del secondo nei confronti del primo.

8 Desolato: chiaramente il compito dell'io lirico è ancora di natura ermeneutica. Così come osservando le correnti e la “tesa” marina egli ha imparato la “lezione”, ricorda l' “ansare” del mare (che va di pari passo con le voci attribuitegli) come qualcosa da ascoltare e fare proprio perché contenente informazioni preziose. Il quadro disegnato è un momento tipico (e topico) degli Ossi, vale a dire il meriggio bollente e spento, caratteristico per esempio di Meriggiare pallido e assorto.

9 Umiltà: come già osservato in precedenza, la sottomissione è completa e incondizionata. Questa “umiltà” dell'io lirico potrebbe collegarsi con la “fede” dei versi precedenti, contribuendo a descrivere il mare come un'entità divina a cui chiedere misericordia, una presenza da omaggiare e a cui affidarsi per essere salvati. In effetti, questo è quanto l'io lirico afferma chiaramente nei primi versi, specialmente quando aspira al ritorno nel “tuo circolo”.

10 Tirso: questa metafora conclusiva, sotto il segno della diminutio, è molto importante perché delinea un chiaro sostrato religioso nel lessico della lirica. Il tirso era il bastone che nell'antica Grecia si usava nelle celebrazioni in onore di Bacco: esso veniva acceso durante i rituali e bruciava in suo onore. Allo stesso modo, l'io lirico sente di essere uno strumento votivo del mare, ma nell'esprimersi non dimentica di riferirsi anche alla brevità della propria esistenza e di ricordare come soltanto a ciò egli sia destinato (ricordando, quindi, la fine del “ciottolo / róso” di Ho sostato talvolta nelle grotte, o il “pietrisco” di Giunge a volte, repente, oppure ancora i “ciottoli” di Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale), contrariamente al principio a cui vuole affidarsi.