Il poemetto Mediterraneo, subito conseguente alla sezione Ossi di seppia ed articolato in nove “movimenti”, è l'omaggio più bello che Montale fa all'omonimo mare nella sua raccolta poetica.
Nella prima sezione di questo, il poeta introduce il soggetto privilegiato con un moderato espressionismo linguistico, con preziosi termini incastonati su frasi dalla sintassi aulica. Sintomatica sin dal primo momento è l'apparizione irruenta della natura, rappresentata da striduli suoni misteriosamente provenienti da sopra la testa dell'io lirico. Questi non può che ascoltare i rumori che lo circondano, e fa ciò con assoluta attenzione: è probabile che siano proprio gli “agri lazzi”, posti in apertura, a suggerirgli il pensiero della lirica. Il “capo reclinato”, comunque, osserva cosa sottostà al cielo, luogo non ancora sondato con lo sguardo. Ciò che sta in basso è una terra quasi desolata: riscaldata eccessivamente dal calore del sole di mezzogiorno, mostra le ombre di pini sgualciti, sentori di un paesaggio sterile e sciupato. Nell'osservarle, l'io lirico rifugge il paesaggio guardando “là in fondo”, dove sta ciò che egli sente davvero vivo: il mare. Di questo sopraggiungono i rumori, di cui l'io lirico ascolta i dettagli, dopo aver percorso le gole costiere all'indietro, spinti dai venti che dal mare spirano verso l'entroterra. Il concentrarsi con minuzia sui rumori ristora l'io lirico, il quale si sente ora in grado di rialzare il capo e guardare il cielo. Quasi a rispondere al gesto volitivo, la natura si manifesta nel volo di due ghiandaie, le quali sfrecciano verso il “fondo” dove sta il mare.
Proprio da questo punto parte l'iter montaliano di questo poemetto. Qui vengono chiarificate le posizioni di partenza: da un lato l'io lirico, costretto alla calura e all'aridità; dall'altra, separato, il mare, il quale risuona tanto forte da raggiungere la lontananza da cui l'io lirico lo ascolta. Sfondo di tutto questo è la natura, madre e matrigna leopardiana dipinta grazie al lessico dantesco e dannunziano tramite veloci pennellate pascoliane, con la quale l'io lirico brama riconciliarsi panisticamente.
Metro: diciassette versi con prevalenza di endecasillabi, notevole presenza di versi brevi come settenari, ottonari e novenari. Il puntuale ritorno sulla vibrante /r/ aiuta a rendere fonosimbolicamente l’arsura; a questo è da aggiungere il periodare lungo ed estenuante, rafforzato dall’alternanza di versi lunghi e versi brevi, che richiama la stanchezza dell’io lirico.
- A vortice 1 s'abbatte
- sul mio capo reclinato
- un suono d'agri lazzi.
- Scotta 2 la terra percorsa
- da sghembe ombre di pinastri 3,
- e al mare là in fondo 4 fa velo
- più che i rami, allo sguardo, l'afa 5 che a tratti erompe
- dal suolo che si avvena 6.
- Quando più sordo o meno il ribollio dell'acque
- che s'ingorgano 7
- accanto a lunghe secche mi raggiunge 8:
- o è un bombo talvolta ed un ripiovere
- di schiume sulle rocce 9.
- Come rialzo il viso 10, ecco cessare
- i ragli sul mio capo; e scoccare
- verso le strepeanti acque,
- frecciate biancazzurre, due ghiandaie 11.
- Si abbatte vorticando
- sulla mia testa rivolta in giù
- un suono di versi acuti e striduli.
- È bollente la terra su cui si proiettano
- le ombre storte di pini avvizziti,
- e cela (allo sguardo) la vista del mare laggiù in fondo,
- di più rispetto ai rami, l'afa che a tratti erompe
- dal suolo che si disidrata.
- A volte più lieve e a volte più forte il fragore dell'acqua
- che gira formando dei gorghi
- passando lungo i costoni di roccia arriva fino a me:
- produce anche un tonfo, a volte, ed il posarsi
- della schiuma marina sugli scogli.
- Non appena rialzo il volto, ecco che non battono più
- i raggi del sole sulla mia nuca; e volano veloci
- verso l'acqua che produce uno strepito,
- come formando scie bianche e azzurre, due ghiandaie.
1 Vortice: il moto circolare, nella fattispecie vorticoso, è il movimento tipico della natura ligure del Montale degli Ossi, e deriva molto probabilmente dal moto dei gorghi marini. In questo caso, si riferisce al movimento delle due ghiandaie, segnale privilegiato del mondo naturale.
2 Scotta: la terra ligure del Montale degli Ossi è descritta molto spesso nella fase del “meriggio”, cioè mezzogiorno, ovvero il momento della giornata in cui il caldo è più soffocante, quando il sole è nel punto più alto del cielo. Durante queste ore, il paesaggio sembra bollire per il caldo, inaridendosi al massimo e diventando incandescente; per di più, forma una leggera coltre di nebbia, pesante e ferma, a causa dell'afa soffocante. Per un altro esempio di questa arsura, cfr. Meriggiare pallido e assorto, ma anche Non chiederci la parola.
3 Pinastri: l'immagine, quasi raccapricciante, è uno dei prodotti più notevoli dell'arsura montaliana. Da notare è il fonosimbolismo che la ripetizione della lettera /b/ e della lettera /r/ generano, configurando la stortezza delle ombre proiettate a terra e l'aridità dei pini.
4 Fondo: da notare è la collocazione del mare: “là in fondo” segna la fine della discesa intrapresa dal poeta in Mediterraneo, la quale coincide con la spiaggia e l'immediata prossimità del mare, al momento lontano. La lontananza è accentuata nei versi subito successivi: il motivo del “velo” di rami che occlude la vista (presente anche in Meriggiare pallido e assorto) rinforza l'idea di lontananza, la quale porta ad un'osservazione distorta.
5 Afa: si richiama il soggetto della nota 2, espresso qui tramite una metafora per cui tanto è il caldo che, manifestandosi sotto forma di nebbiolina, sembra comporre un velo che impedisce la chiara vista del mare.
6 Avvena: in quest'ultimo periodo, spezzato dell'enjambement, viene descritta la rottura del terreno e la formazione di crepe a causa del caldo ardente. In particolare, “erompe” descrive etimologicamente la sfaldatura della terra e la fuoriuscita del calore da essa; in “avvena”, invece, è possibile vedere una sorta di personificazione che richiama il corpo umano e i vasi sanguigni che lo percorrono.
7 Ingorgano: oltre ad ingorgarsi, l'acqua del mare “ribolle” dantescamente e produce dei suoni (qui trasposti fonosimbolicamente dal ritorno della /r/), assumendo una connotazione irrequieta e piena di vita. Da notare è la disposizione all'interpretazione della persona parlante: quasi come un attento ascoltatore, egli presta attenzione ai rumori del mare, che cerca di inquadrare con precisi termini fonici. Il mare, quindi, è sinonimo di vita scalpitante.
8 Raggiunge: emerge qui il pieno spirito ermeneutico che sembra tendere ad una unione panica, di chiara ispirazione dannunziana, con il mare, al quale vengono opposti gli aridi costoni di roccia costiera che vengono attraversati dal suo richiamo.
9 Rocce: il momento di ascolto chiude con una finesse: il “bombo”, che ricorda “rombo”, ed il “ripiovere” dell'acqua delle onde sugli scogli indicano quanto sia attento l'orecchio dell'io lirico, in grado di cogliere minuziosamente questi suoni (sotto ispirazione pascoliana) sebbene a notevole distanza (segnata dalle “lunghe secche”).
10 Viso: è da notare il movimento improvviso dell'io lirico, quasi rinvigorito dall'ascolto, il quale sembra infondergli forza sufficiente ad uno scatto improvviso nell'arsura meridiana.
11 Ghiandaie: il meccanismo descrittivo, che spinge alla ricerca del soggetto situato in chiusura, disegna la fuga dell'occhio, il quale segue il volo veloce dei due uccelli. In questi, l'io lirico, con la risposta della natura al proprio movimento, ritrova una voglia di vita che da tanto non avverte, cui non è abituato a causa della cocente (e cogente) arsura. Ciò è confermato dallo “scoccare”, in evidente riferimento ad una coppia di frecce, delle ghiandaie, primi volatili che si incontrano in Mediterraneo. Da notare, infine, è il ritorno fonico a cui “strepeanti” conduce: ancora la /r/, consonante che scandisce il movimento delle acque, quindi la loro vitalità.